Pemfigoide bolloso: individuati nuovi fattori di rischio


Un’età superiore ai 70 e il cancro della pelle sono risultati essere due fattori di rischio significativi per lo sviluppo di pemfigoide bolloso

Un'età superiore ai 70 e il cancro della pelle sono risultati essere due fattori di rischio significativi per lo sviluppo di pemfigoide bolloso

Tra i pazienti sottoposti alla terapia con inibitori del checkpoint immunitario, un’età superiore ai 70 e il cancro della pelle sono risultati essere due fattori di rischio significativi per lo sviluppo di pemfigoide bolloso, la cui comparsa sembra però essere un marker per una migliore risposta del tumore alla terapia. È quanto emerge da uno studio pubblicato sulla rivista JAMA Dermatology.

Il pemfigoide bolloso, una condizione immuno-mediata caratterizzata da grandi vesciche piene di liquido sulla pelle, è una rara ma grave complicanza della terapia del cancro con inibitori del checkpoint immunitario (ICI) che può causare l’interruzione o la cessazione del trattamento.

Secondo una task force dell’European Academy of Dermatology and Venereology, circa il 40% dei pazienti con cancro trattati con ICI presenta eventi avversi dermatologici immuno-correlati che possono variare da lievi eruzioni cutanee e alterazioni a carico di capelli e unghie fino a complicanze meno comuni ma pericolose per la vita come la sindrome di Stevens-Johnson, una forma di necrolisi epidermica tossica.

Dettagli dello studio
Per identificare i fattori di rischio per il pemfigoide bolloso nei pazienti che ricevevano ICI, i ricercatori hanno condotto uno studio caso-controllo nidificato all’interno di uno studio di coorte retrospettivo.

Hanno valutato i record di tutti i pazienti nei tre ospedali affiliati ad Harvard per identificare i pazienti con pemfigoide bolloso associato a ICI da ottobre 2014 a dicembre 2020. I controlli erano tutti i pazienti nel registro dei tumori Dana-Farber che hanno ricevuto ICI durante il periodo di studio.

Come potenziali fattori di rischio hanno scelto l’età all’inizio della terapia (fino a 69 anni e oltre 70 anni), il sesso, gli agenti ICI impiegati e il tipo di cancro, utilizzando la corrispondenza del punteggio di propensione in base a questi parametri per abbinare due controlli a ciascun paziente.

Età avanzata e cancro della pelle come fattori di rischio
Dei 5.636 pazienti trattati con un inibitore della morte programmata 1 come pembrolizumab o nivolumab o un inibitore citotossico della proteina 4 associata ai linfociti T come ipilimumab durante il periodo di studio, 35 (0,6%) hanno sviluppato il pemfigoide bolloso. L’età media era di 72,8 anni e il 71,4% erano uomini.

In un modello di regressione logistica multivariata che includeva 2.955 pazienti con dati completi nel registro dei tumori, i fattori significativamente associati allo sviluppo di pemfigoide bolloso includevano età di almeno 70 anni (odds ratio, OR, 2,32, P=0,01), melanoma (OR 3.21, P<0,001) e cancro della pelle non melanoma (OR 8,32, P<0,001).

Nel confrontare i 35 soggetti con pemfigoide bolloso con i loro controlli abbinati, una risposta completa o parziale al primo imaging di ristadiazione era significativamente associata allo sviluppo di pemfigoide bolloso (OR 3,37, P=0,01). È stata inoltre rilevata una maggiore probabilità di risposte tumorali agli ICI tra i pazienti con pemfigoide bolloso rispetto ai controlli abbinati (tasso di risposta obiettiva 82,9% vs 61,4%, P=0,03).

«Nonostante lo 0,6% sia un numero piccolo, stiamo vedendo pemfigoide bolloso con una frequenza considerevolmente più alta di quanto ci si aspetta nella popolazione generale» hanno affermato l’autore senior Nicole LeBoeuf e colleghi del Brigham and Women’s Hospital di Boston. «Anche se costituirebbe un motivo per interrompere la terapia, sembra essere un marker di una risposta tumorale positiva al trattamento».

«I risultati suggeriscono che la gestione del pemfigoide bolloso in questi pazienti dovrebbe concentrarsi sulla sua identificazione precoce e sulla sua gestione con terapie dirette contro la tossicità specifica» hanno aggiunto. «Quando si effettua una diagnosi specifica come il pemfigoide bolloso, è possibile trattare quella specifica malattia con terapie molto mirate, come omalizumab, dupilumab o rituximab, che hanno un effetto immunosoppressivo minore rispetto agli steroidi o ad altri agenti che riducono i linfociti T. Gli studi hanno dimostrato che l’esaurimento dei linfociti B con agenti anti-CD20 non è dannoso per la terapia con inibitori del checkpoint immunitario».

Gestione attenta della tossicità
«Questi risultati sollevano interrogativi sulla relazione tra tumori della pelle e gli eventi avversi immuno-correlati» ha commentato Ryan Sullivan del Massachusetts General Hospital Cancer Center, non coinvolto nello studio. «È convincente che il pemfigoide bolloso sia una tossicità cutanea ed è più comune che si verifichi nei pazienti con cancro della pelle. Questa è una scoperta molto interessante perché è difficile capire il motivo per cui un effetto collaterale presumibilmente mediato da anticorpi avrebbe maggiori probabilità di avere quella reattività crociata nel sito dove è iniziato il tumore e dove si è verificata la tossicità».

Ha però osservato che i benefici degli ICI per i pazienti con tumori della pelle superano di gran lunga i rischi di eventi avversi dermatologici come il pemfigoide bolloso e che gli effetti collaterali associati a questo tipo di terapia richiedono una gestione oculata.

«Questo vale per tutto lo spettro delle tossicità: ci sono chiare manifestazioni di tossicità per cui dovremmo essere più attenti su cosa le sta guidando, su cosa in effetti sono e su come trattarle, e non solo utilizzare in questi pazienti steroidi in quantità industriali sperando che tutto vada bene» ha concluso.

Bibliografia

Said JT et al. Risk Factors for the Development of Bullous Pemphigoid in US Patients Receiving Immune Checkpoint Inhibitors. JAMA Dermatol. 2022 Apr 13.  Leggi