Le due facce della Luna dipendono da un gigantesco impatto


L’impatto che ha prodotto, miliardi di anni fa, un enorme bacino sulla faccia nascosta della Luna sarebbe anche responsabile delle differenze tra i due lati del corpo celeste

impatto luna

Quella del “lato oscuro” della Luna è un’immagine suggestiva, immortalata dai Pink Floyd nel titolo del leggendario album The Dark Side of the Moon quasi cinquant’anni fa. In termini astronomici, però, il lato oscuro della Luna non esiste: nel suo moto di rotazione intorno al proprio asse e di rivoluzione intorno alla Terra, la Luna volge al Sole, una dopo l’altra, tutte le sue “facce” e così – a meno di alcuni crateri in prossimità dei poli, dove la luce solare non fa mai capolino – non esistono porzioni della superficie lunare in perpetua oscurità.

Esiste, invece, il “lato lontano” o “nascosto” del nostro satellite naturale, che – a noi sulla Terra – mostra sempre la stessa faccia. Rimasto sconosciuto fino agli albori dell’era spaziale, il lato lontano della Luna è puntellato di crateri e privo di mari, le vaste distese di colore scuro che caratterizzano il lato a noi vicino, resti di antiche colate laviche. Da decenni i ricercatori indagano sul perché le due facce della Luna siano così diverse: una nuova spiegazione arriva ora da uno studio guidato dalla Brown University, negli Stati Uniti, insieme a collaboratori della Purdue University, del Lunar and Planetary Science Laboratory in Arizona, della Stanford University e del Jet Propulsion Laboratory della Nasa.

Secondo la ricerca, queste marcate differenze avrebbero a che fare con il colossale impatto che, oltre quattro miliardi di anni fa, ha creato il gigantesco bacino Polo Sud–Aitken (Spa), sulla faccia nascosta della Luna. L’impatto avrebbe generato un enorme zampillo di calore che si sarebbe propagato attraverso l’interno del corpo celeste, trasportando una serie di materiali – tra cui le cosiddette “terre rare” (elementi intermedi nella tavola periodica) e altri elementi che producono calore – sul lato opposto, ovvero la faccia rivolta verso Terra. La concentrazione di questi elementi, a sua volta, avrebbe poi influenzato i fenomeni vulcanici che hanno creato i mari lunari visibili in questa porzione del satellite.

«Sappiamo che grandi impatti come quello che ha formato [il bacino] Spa producono molto calore», afferma Matt Jones, dottorando presso la Brown University e primo autore dello studio, i cui risultati sono pubblicati su Science Advances. «La domanda è come quel calore influenzi le dinamiche interne della Luna. Quello che mostriamo è che, in una qualsiasi delle condizioni plausibili all’epoca in cui si è formato [il bacino] Spa, questi elementi che producono calore finiscono per concentrarsi sul lato vicino. Ci aspettiamo che questo abbia contribuito allo scioglimento del mantello che ha prodotto i flussi di lava che vediamo in superficie».

Le discrepanze tra lato vicino e lontano della Luna sono state rivelate per la prima volta negli anni Sessanta dalle missioni del programma sovietico Luna e dello statunitense Apollo. Se le differenze tra i depositi vulcanici sono ben evidenti, le disparità nella composizione geochimica sono emerse dalle osservazioni di missioni spaziali successive.

Il lato vicino, per esempio, ospita un’anomalia che interessa la distribuzione di alcuni elementi che gli scienziati chiamano Kreep: K sta per potassio, Ree per rare-earth elements (in italiano, terre rare) e P per fosforo. Si tratta di una concentrazione di questi elementi, insieme ad altri che producono calore, come il torio, osservata in particolare all’interno e nei pressi dell’Oceanus Procellarum – l’Oceano delle tempeste, il più vasto dei mari lunari – e per questo chiamata, in gergo geologico, Procellarum Kreep terrane (Pkt).

Da tempo si sospettava una connessione tra l’anomalia Pkt e gli antichi flussi di lava osservati sul lato vicino della Luna: il nuovo studio fornisce finalmente una spiegazione, che collega questa irregolarità al bacino Spa, il più grande cratere da impatto confermato sulla Luna e il secondo più grande di tutto il Sistema solare. «Come si sia formato il Pkt è probabilmente la domanda aperta più importante nella scienza lunare», commenta Jones. «E l’impatto del Polo Sud–Aitken è uno degli eventi più significativi della storia lunare. Questo lavoro unisce queste due cose e penso che i nostri risultati siano davvero entusiasmanti».

È attraverso le simulazioni al computer, eseguite per diversi scenari di impatto, che Jones e colleghi hanno calcolato l’effetto del calore generato dall’evento sugli andamenti convettivi nell’interno lunare e la conseguente redistribuzione del materiale Kreep nel mantello lunare. Si pensa che questo materiale sia stato l’ultimo, nel mantello, a solidificarsi dopo la formazione della Luna, dando origine allo strato più esterno del mantello, proprio sotto la crosta. I modelli dell’interno lunare suggeriscono una distribuzione più o meno uniforme sotto la superficie, uniformità che – secondo il nuovo modello – sarebbe stata interrotta dallo zampillo di calore a seguito dell’impatto. Gli elementi Kreep avrebbero infatti cavalcato l’onda di calore, un po’ come una tavola da surf sulle onde dell’oceano, per andare a finire, con la diffusione dello zampillo di calore sotto la crosta, sul lato vicino della Luna.

Pur producendo andamenti diversi del calore e influenzando in modo differente il trasporto del materiale Kreep, tutti gli scenari simulati dal team sono in grado di produrre, sul lato vicino, concentrazioni di questi elementi in accordo con le misure dell’anomalia Pkt. Secondo i ricercatori, l’impatto che ha generato il bacino Polo Sud–Aitken sarebbe dunque una spiegazione plausibile per l’origine delle differenze osservate tra le due facce della Luna.

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