Carcinoma epatocellulare: nuovi dati su impiego cemiplimab


Carcinoma epatocellulare resecabile: il trattamento con cemiplimab prima della chirurgia ha provocato la necrosi del tumore in un terzo dei casi

Tumori: più casi e maggiore mortalità entro il 2040

In pazienti con carcinoma epatocellulare resecabile, il trattamento con l’immunoterapia a base dell’anti-PD-1 cemiplimab prima della chirurgia ha provocato la necrosi del tumore in un terzo dei casi, in un trial di fase 2 (NCT03916627), i cui risultati sono stati recentemente pubblicati su The Lancet Gastroenterology & Hepatology.

Secondo i ricercatori del Mount Sinai che hanno condotto lo studio, il trattamento neoadiuvante con cemiplimab non solo uccide il tumore, ma potrebbe eliminare anche le cellule tumorali sfuggite alla chirurgia che potrebbero in seguito dare origine a e recidive o metastasi. Di fatto, l’immunoterapia ‘istruisce’ il sistema immunitario affinché possa contrastare eventuali recidive.

«In pratica, pensiamo che per il paziente sia più vantaggioso fare l’immunoterapia prima della chirurgia, perché quando non ci sono ancora metastasi le sue condizioni generali e il suo sistema immunitario sono in condizioni migliori per combattere il cancro», ha dichiarato il primo autore della pubblicazione, Thomas Marron, direttore della Early Phase Trials Unit presso l’Icahn Cancer Institute al Mount Sinai di New York. «I risultati di questo studio insieme a quelli degli altri trial in cui i pazienti con vari tipi di tumore sono stati trattati con l’immunoterapia neoadiuvante, rappresentano un incoraggiamento a continuare nella ricerca sull’immunoterapia perioperatoria per ridurre i tassi di recidiva».

E ancora, ha aggiunto: «Di solito, la recidiva del tumore non è più una malattia curabile. In futuro, studi più ampi contribuiranno a definire l’utilità, la sicurezza e i risultati di sopravvivenza dell’immunoterapia neoadiuvante, in particolare con il blocco di PD-1».

Un bisogno di cura insoddisfatto
Il tumore al fegato, il cui tipo più comune è il carcinoma epatocellulare, è la terza causa di morte per cancro nel mondo.

Sebbene l’immunoterapia abbia migliorato la prognosi dei pazienti con carcinoma epatocellulare avanzato, per la maggior parte di essi l’esito resta ancora infausto. Inoltre, la chirurgia del tumore al fegato spesso sembra avere successo, ma in più della metà dei pazienti il cancro si ripresenta, a causa della malattia micrometastatica residua o, in alcuni casi, di un tumore completamente nuovo. Per queste ragioni, è evidente il potenziale beneficio della terapia neoadiuvante nel migliorare la sopravvivenza.

I risultati di questo studio sono, dunque, particolarmente significativi, perché, fino ad oggi, nessuna terapia somministrata prima o poco dopo l’intervento chirurgico aveva dimostrato un reale miglioramento della sopravvivenza nei pazienti con cancro al fegato.

Lo studio 
Lo studio è stato disegnato per valutare le risposte al trattamento con cemiplimab neoadiuvante nei pazienti con carcinoma epatocellulare, tumore del polmone non microcitoma, o carcinoma testa-collo a cellule squamose, tutti resecabili.

Nella coorte dei pazienti con carcinoma epatocellulare, sono stati arruolati 21 pazienti con tumore in stadio iniziale.

I pazienti eleggibili erano di età pari o superiore ai 18 anni, presentavano un carcinoma epatocellulare resecabile confermato, un ECOG performance status di 0 o 1, una funzione epatica adeguata. Inoltre per questi pazienti l’intervento doveva avere intento curativo. Erano esclusi dallo studio i pazienti con malattia metastatica, con un’altra neoplasia nota che richiedeva un trattamento attivo, o che richiedevano un trattamento sistemico con steroidi o qualsiasi altra terapia immunosoppressiva.

I pazienti arruolati hanno quindi ricevuto due cicli di cemiplimab alla dose di 350 mg endovena ogni 3 settimane, prima dell’intervento chirurgico. Di questi, 20 sono stati sottoposti con successo alla resezione e dopo l’intervento sono stati sottoposti a terapia adiuvante con altri otto cicli di cemiplimab 350 mg per via endovenosa ogni 3 settimane.

L’endpoint primario dello studio era rappresentato da una significativa necrosi tumorale valutata all’intervento, definita come oltre il 70% di necrosi del tumore. Gli endpoint secondari includevano il ritardo all’intervento chirurgico dopo la somministrazione dell’ultima dose di cemiplimab, il tasso di pazienti con una risposta complessiva, la variazione di densità delle cellule T CD8+ e gli eventi avversi.

Gli sperimentatori hanno valutato la necrosi del tumore e l’attivazione del sistema immunitario contro il cancro per mezzo delle immagini di risonanza magnetica e l’analisi di campioni biologici di sangue, feci e tessuto tumorale.

I risultati delle valutazioni all’intervento hanno mostrato che dei 20 pazienti con tumori resecati, quattro (20%) mostravano una necrosi tumorale significativa, tre (15%) una risposta parziale e nei restanti pazienti la malattia si è mantenuta stabile.

Nei pazienti il cui sistema immunitario stava già combattendo il tumore è stata osservata più di una risposta all’immunoterapia, suggerendo che in quei pazienti il sistema immunitario è stato attivato maggiormente e avrebbe potuto uccidere qualsiasi residuo tumorale microscopico.

La necrosi del tumore in risposta alla terapia neoadiuvante è un indice di risultati migliori in molti tipi di cancro e gli sperimentatori stanno attualmente seguendo i pazienti per valutare se questo si osserva anche nel carcinoma epatocellulare.

La sicurezza
La sicurezza, analizzata nella popolazione Intention-to-treat (ITT), ha mostrato che 20 pazienti (il 95%) hanno manifestato almeno un evento avverso di qualsiasi grado durante il periodo di trattamento neoadiuvante.

Gli eventi avversi di qualsiasi grado più comuni sono stati aumento dell’aspartato aminotransferasi (quattro pazienti), aumento della creatina fosfochinasi (tre pazienti), stipsi (tre pazienti) e affaticamento (tre pazienti).

Eventi avversi di grado 3 sono stati osservati in sette pazienti e tra questi ci sono stati aumento della creatina fosfochinasi ematica (due pazienti) e ipoalbuminemia (uno). Invece, non sono stati osservati eventi di grado ≥4. Un paziente ha sviluppato polmonite, che ha causato un ritardo dell’intervento di 2 settimane.

Un modo nuovo di valutare la risposta immunitaria
In questo studio, gli autori hanno misurato la risposta del sistema immunitario in un modo nuovo. Marron e colleghi, infatti, hanno utilizzato un nuovo approccio multidisciplinare che consiste nella collaborazione di ricercatori e clinici. La piattaforma neoAdjuvant Research Group to Evaluate Therapeutics o TARGET che si basa sulla profilazione dettagliata e in tempo reale della risposta del sistema immunitario nei pazienti che effettuano l’immunoterapia come trattamento neoadiuvante, infatti permette di massimizzare le informazioni utili ottenute in piccoli studi clinici condotti in queto setting.

Con la piattaforma TARGET è stato mostrato come il blocco di PD-1 ha aumentato il numero di cellule immunitarie attivate che hanno invaso il carcinoma epatocellulare, ha indotto la necrosi tumorale e ha ridotto il tumore prima della chirurgia. Gli autori suggeriscono che sebbene la piattaforma ha consentito di determinare che il blocco PD-1 produce probabilmente un benefico in questo tipo di tumore, tuttavia poiché solo alcuni pazienti hanno ottenuto una risposta robusta, all’immunoterapia dovrebbe essere dovrebbero essere associati altri trattamenti.

L’obiettivo dell’analisi approfondita dei campioni di tessuto è quello di identificare i biomarcatori che aiuteranno a capire chi risponderà più o meno bene a una terapia. Lo scopo di TARGET è quello di identificare la terapia ottimale per ogni paziente e ridurre la probabilità che trattamenti subottimali arrivino a grandi studi di fase 3, sprecando risorse, oltre al tempo e agli sforzi dei pazienti.

«Normalmente non si arriva a capire come funzionano i farmaci in modo così dettagliato negli esseri umani», ha dichiarato un’altra autrice dello studio, Miriam Merad, direttrice del Precision Immunology Institute e dello Human Immune Monitoring Center, presso l’Ichan Mount Sinai. «Quando si fanno singole biopsie, la quantità di tessuto che si ottiene è scarsa e l’analisi spesso non produce informazioni sul tumore o sulla risposta del sistema immunitario così dettagliate. Con l’analisi di questa piattaforma, prima del trattamento si raccolgono diverse biopsie, oltre a campioni di sangue e feci. Successivamente, quando il tumore viene asportato, viene analizzato assieme agli altri campioni biologici, consentendoci di raccogliere molte informazioni approfondite su ciò che sta succedendo a livello microscopico, come mai era successo prima. Questa rappresenta una straordinaria base da cui partire per condurre analisi a quel livello di dettaglio».

«Per quanto ne sappiamo», concludono gli autori «fino ad ora questo è il più grande trial clinico a valutare una monoterapia neoadiuvante anti-PD-1 nel carcinoma epatocellulare. Le risposte patologiche osservate con cemiplimab in questa coorte incoraggiano la progettazione di studi più ampi per individuare la durata ottimale del trattamento e determinare definitivamente il beneficio clinico dell’inibizione di PD-1 a livello preoperatorio nei pazienti con carcinoma epatocellulare».

Bibliografia
T.U. Marron, et al. Neoadjuvant cemiplimab for resectable hepatocellular carcinoma: a single-arm, open-label, phase 2 trial. Lancet Gastroenterol Hepatol. 2022 Mar;7(3):219-229. Link