Allattamento al seno: meno infezioni per il bambino


Allattamento al seno e supplementazione di vitamina D aiutano a prevenire le infezioni pediatriche secondo un nuovo studio

allattamento al seno latte materno

Il latte materno rappresenta l’alimento migliore nei bambini sotto i due anni di età e vi sono numerose documentazioni dell’esistenza di un’associazione tra l’allattamento al seno e la riduzione del rischio di andare incontro ad infezioni virali e batteriche nella prima infanzia.

Se, però, il latte materno contiene il mix ottimale di nutrienti necessaria per promuovere la crescita dei bambini nei primi 2 anni di vita, non contiene di per sé vitamina D, un fattore cruciale per il metabolismo del calcio e la salute ossea, oltre che dotato di proprietà extra-scheletriche, come un effetto positivo sull’ìmmunità innata e quella adattativa.

E’ alla luce di queste considerazioni e di una rassegna sistematica della letteratura sull’argomento, che gli autori italiani di una review pubblicata su International Journal of Environmental Research and Public Health (1) suggeriscono la promozione dell’allattamento al seno e della supplementazione con vitamina D come un obiettivo importante di salute pubblica da perseguire, ipotizzando l’esistenza, ancora da dimostrare, di un effetto sinergico di queste due misure ai fini della profilassi contro le infezioni pediatriche.

Cenni sugli obiettivi della review e la strategia di ricerca bibliografica
La review appena pubblicata si è focalizzata sul ruolo dell’allattamento al seno e della supplementazione vitamina D nel ridurre il rischio di infezioni in età pediatrica.
A tal scopo, è stata effettuata una ricerca bibliografica dettagliata su Medline di tutti gli articoli pubblicati in inglese fino a dicembre dello scorso anno. La ricerca dei termini da utilizzare nella ricerca di letteratura si è focalizzata sulle parole relative all’allattamento al seno, alla vitamina D e alle comuni infezioni pediatriche.

Per valutare il ruolo della vitamina D nel prevenire le infezioni in età pediatrica, la ricerca si è limitata alle sole metanalisi, in ragione del numero considerevole di studi pubblicati sull’argomento.

Per ovvie ragioni di spazio, e rinviando il lettore per i dovuti approfondimenti al testo originale, proponiamo in questa sede una breve disamina dei principali risultati emersi dalla ricerca di letteratura.

Allattamento al seno e infezioni respiratorie
Alcuni studi hanno valutato l’associazione tra l’allattamento al seno e il rischio di infezioni pediatriche del tratto respiratorio (superiore e inferiore), dimostrando in tutti i casi un ruolo significativamente protettivo del latte materno, nonostante la diversa metodologia di studio impiegata e le differenze di popolazioni reclutate.

In uno di questi è emerso, ad esempio, che l’allattamento al seno per 3-6 mesi si associa ad una riduzione significativa nel contrarre infezioni respiratorie durante i primi 6 mesi di vita (2).

In modo analogo, uno studio di coorte iberico (580 bambini valutati dalla nascita fino a 14 mesi) ha confermato che l’allattamento al seno per 4-6 mesi si associa ad un rischio minore di sibili respiratori, infezioni a carico del tratto respiratorio inferiore ed eczema atopico tra i 7 e i 14 mesi di vita (3).

Un ampio studio longitudinale prospettico Usa, condotto su 6.681 bambini e che prevedeva un follow-up di 4 anni, ha individuato l’esistenza di un’associazione inversa significativa tra l’allattamento al seno e il rischio di infezioni respiratorie con febbre (OR= 0,82) e otite media (OR= 0,76) a 3-6 mesi di vita. Non solo: l’allattamento al seno nel corso di un trimestre è risultato inversamente associato al rischio di otite, laringite e tracheite anche a 6-18 mesi di vita. Da ultimo, la durata dell’allattamento esclusivo al seno è risultata inversamente associata, anche se in modo non significativo, al rischio di otite media fino a 48 mesi di età (OR=0,97). Presi nel complesso, tali risultati suggeriscono che l’allattamento al seno è in grado di assicurare una lieve protezione contro le infezioni anche dopo i primi 6-12 mesi di vita (4).

Il ruolo protettivo dell’allattamento al seno contro le bronchioliti si è dimostrato particolarmente rilevante durante la prima ondata pandemica di Covid-19. Nello specifico, alcune stime hanno riportato una forte riduzione delle ospedalizzazioni per bronchioliti associate a virus respiratorio sinciziale (RSV), in concomitanza con l’incidenza di infezioni da SARS-Cov-2 (5-7).

L’ipotesi più accreditata per spiegare questo dato inatteso presuppone che l’adozione di misure non farmacologiche di contenimento della pandemia (lavaggio mani e distanziamento fisico) abbiano ridotto anche la circolazione di altri agenti infettivi come RSV (6).

Sfortunatamente, questa riduzione osservata è stata transitoria, con una successiva crescita di casi durante la stagione autunnale-invernale 2021-2022 (7-9).

Risultati apparentemente contraddittori a quelli finora osservati sull’associazione “allattamento al seno-riduzione infezioni respiratorie” sono venuti da uno studio italiano caso-controllo, condotto su 496 bambini di età inferiore ai 6 mesi): in questo caso, infatti, l’allattamento esclusivo al seno all’insorgenza dei sintomi di infezione respiratoria è risultato associato ad un rischio maggiore di infezioni virali respiratorie (OR=3,7). Per spiegare questa osservazione è stato ipotizzato che l’allattamento materno abbia rappresentato un proxy di contatti più stretti del neonato con la madre e, potenzialmente, con altri contatti familiari stretti.

Allo stesso tempo, però, dallo studio è emerso che un periodo di allattamento materno più lungo era in gradi di conferire una lieve protezione contro le infezioni respiratorie virali (OR=0,98), a suggerire che il ruolo protettivo dell’allattamento al seno aumenta con la sua durata (10).

Non solo: lo studio suffraga ulteriormente l’importanza di adottare le raccomandazioni del Centro per il Controllo e la Prevenzione delle malattia relative alla prevenzione della trasmissione delle infezioni respiratorie virali ai bambini al di sotto dei 2 anni di vita (le madri sintomatiche dovrebbero ricordare di lavare scrupolosamente le mani con acqua e sapone prima di toccare i loro bimbi e di coprire bocca e naso con un fazzoletto quando starnutiscono o tossiscono a stretto contatto con il bimbo) (11).

Allattamento al seno e infezioni gastrointestinali
Il latte materno sembra essere protettivo contro lo sviluppo e la severità della diarrea, dato che l’allattamento al seno è risultato significativamente associato ad una ridotta incidenza/rischio di gastroenteriti acute.

Una metanalisi di 18 studi ha dimostrato che il mancato allattamento materno è associato ad un aumento del rischio di mortalità per diarrea rispetto all’allattamento al seno esclusivo di bambini di età non superiore ai 5 mesi e rispetto all’allattamento materno non esclusivo di bambini di età compresa tra i 6 e i 23 mesi (RR= 10,52 e 2,18, rispettivamente) (12).

Tali risultati suffragano l’importanza di adottare la raccomandazione OMS a favore dell’allattamento materno esclusivo durante i primi 6 mesi di vita, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo.

Pochi studi, invece, hanno valutato l’associazione tra l’allattamento al seno e l’ospedalizzazione, con risultati confliggenti.

Come per le infezioni a carico del tratto respiratori, la durata dell’allattamento materno sembra influenzare il rischio di contrarre infezioni gastrointerstinali.

Ad esempio, in confronto con il mancato allattamento materno, l’allattamento predominante al seno per 4-6 mesi è risultato associato ad un rischio più basso di gastroenterite nei primi 6 mesi di vita (OR= 0,34) (13).

Da ultimo, una metanalisi di 6 studi (3.466 bambini) ha dimostrato che l’allattamento esclusivo al seno riduce in modo significativo il rischio di infezioni da Rotavirus (OR= 0,62) nei bambini di età inferiore ai 2 anni (14).

Allattamento al seno e Covid-19
Studi recenti hanno suggerito che le donne in gravidanza positive all’infezione da SARS-Cov-2 non espongono la loro prole ad un maggior rischio di infezione attraverso l’allattamento al seno o le cure parentali. Dato che SARS-Cov-2 non è efficacemente trasmesso attraverso il latte materno (15), i neonati infetti potrebbero acquisire l’infezione attraverso le vie respiratorie per contatto post-natale materno.

Per queste ragioni, le organizzazioni internazionali raccomandano l’adozione di  rigorose e accurate misure igieniche e di safety per minimizzare il rischio di infezione del bambino mediante droplet e contatto diretto con la madre infetta (16,17).

Quanto ai vaccini, la vaccinazione anti-Covid è compatibile con l’allattamento al seno, come chiaramente indicato da UNICEF, OMS (18) e da alcune società scientifiche italiane (19).

Gli studi che hanno valutato la presenza di anticorpi specifici per SARS-CoV-2 nel latte materno dopo vaccino anti-Covid a mRNA hanno mostrato che la maggior parte delle donne che allattavano presentava livelli rilevabili di anticorpi neutralizzanti contro SARS-CoV-2 nel latte materno, a conferma della possibile immunizzazione passiva dei piccoli allattati al seno (20-22).

Supplementazione vitamina D durante l’infanzia
Il termine “vitamina D” è utilizzato comunemente per indicare le due forme differenti che sono presenti in natura: la vitamina D3 (colecalciferolo), proveniente da fonti animali, è la vitamina D2 (ergocalciferolo) proveniente dalle piante.

La vitamina D3 è anche prodotta nell’uomo mediante fotoattivazione a livello della cute in risposta all’esposizione alla luce solare.

La maggior parte della vitamina D che sintetizziamo (90%) deriva dall’esposizione alla radiazione solare ultravioletta B, mentre il contributo proveniente dall’alimentazione (eccezion fatta per i cibi fortificati) è praticamente trascurabile (23,24).

La supplementazione di vitamina D rappresenta la modalità più semplice e sicura per prevenire le rickettsie nutrizionali, e più in generali, le condizioni di deficit di vitamina D ad ogni età.

Nello specifico, la supplementazione di vitamina D è essenziale per garantire livelli vitaminici adeguati durante il primo anno di vita, in quanto bisogna tener conto sia del fatto che i neonati e i bambini al di sotto dei 2 anni di età dovrebbero essere poco esposti alla luce solare, sia che il latte materno contiene quantità insufficienti di questa vitamina (25).

La Società Italiana di Pediatria ha messo a punto una Consensus sull’impiego della vitamina D in età pediatrica, identificando sia i molteplici fattori di rischio di ipovitaminosi D e suggerendo le indicazioni e i dosaggi suggeriti per la supplementazione di questa vitamina durante l’infanzia.

Vitamina D e infezioni
La vitamina D, in ragione delle complesse proprietà immunoregolatorie, è in grado di modulare sia l’immunità innata che quella adattativa, come pure la risposta all’infiammazione.

Numerose sono le metanalisi che hanno valutato l’associazione tra lo stato vitaminico D o la supplementazione vitaminica D con il o la severità delle infezioni pediatriche.
La maggior parte di queste metanalisi ha confermato un ruolo protettivo significativo della supplementazione vitaminica D soprattutto contro le infezioni respiratorie.

I benefici maggiori, in particolare, sono stati documentati nei bambini e negli adolescenti, nei soggetti asmatici, negli individui con deficit grave di vitamina D e in quelli sottoposti a regime di supplementazione vitaminica giornaliera (400-1000 UI/die) per un tempo non superiore ai 12 mesi.

E’ stato dimostrato che l’efficacia preventiva della supplementazione con vitamina D era particolarmente evidenze nei soggetti con deficit vitaminico severo [25(OH)D < 10 ng/mL], mentre la somministrazione di vitamina D non è risultata efficace come trattamento aggiuntivo delle infezioni respiratorie acute (26-28).

I risultati di una consensus implementata dalla the World Association of Infectious Diseases and Immunological Disorders hanno confermato che la vitamina D potrebbe giocare un ruolo nei bambini con infezioni respiratorie frequenti. Ciò detto, gli estensori del documento sollecitano la messa a punto di studi di dimensioni numeriche e metodologiche appropriate per identificare i livelli sierici più bassi di vitamina D associati ad un incremento significativo del rischio di infezioni respiratorie, insieme  alla determinazione dei dosaggi vitaminici e della durata dell’intervento di supplementazione più efficacia (29).

In modo analogo, una consensus italiana inter-societaria sulla prevenzione delle infezioni respiratorie ricorrenti ha mostrato che livelli  ridotti di vitamina D sono associati ad un aumento di incidenza di infezioni respiratorie virali nei primi anni di vita (30).

Anche se le evidenze disponibili erano troppo scarse per raccomandare la supplementazione vitaminica D nella prevenzione delle infezioni respiratorie, il documento suggerisce che le popolazioni con tenore di vita più ridotto e deficit severo di vitamina D, nonché i bambini con otiti acute ricorrenti, potrebbero trarre beneficio dall’intervento di supplementazione vitaminica per tale scopo.

Vitamina D e Covid-19
Alcuni ricercatori hanno suggerito che lo status vitaminico D potrebbe essere considerato un indicatore prognostico di morbilità e mortalità nei pazienti con Covid-19 (31).

Non si può escludere, però, che il legame osservato tra il deficit vitaminico D e Covid-19 grave sia meramente casuale e non frutto di una relazione causa-effetto, dato che entrambe le condizioni summenzionate condividono alcuni fattori di rischio quali la condizione di sovrappeso-obesità, l’età avanzata e l’appartenenza a minoranze etniche (32).

La pandemia di SARS-Cov-2 è stata proposta da alcuni autori come un nuovo fattore di rischio di deficit vitaminico D durante l’infanzia (136,164), dato che le misure adottate per contenerne la diffusione (es. lockdown, quarantena ripetuta, chiusura delle scuole, didattica a distanza) hanno aumentato il tempo di permanenza davanti agli schermi dei PC dei bambini e degli adolescenti, riducendo invece il tempo di esposizione alla luce solare (33).

A dicembre del 2020, il NICE britannico ha pubblicato una linea guida su vitamina D e Covid-19, che raccomanda di prendere in considerazione la supplementazione di 400 UI/die di vitamina D durante la stagione fredda (da ottobre a marzo) a tutti gli adulti (comprese le donne in gravidanza o quelle che allattano) ai giovani e ai bambini fino all’età di 4 anni

Inoltre, l’intervento di supplementazione, stando a questo documento, dovrebbe essere offerto tutto l’anno ai soggetti con insufficiente esposizione alla luce solare (anche come conseguenza delle restrizioni dovute alla pandemia di Covid-19) o con pigmentazione scura della pelle (34).

Considerazioni conclusive
Alla luce di questa rassegna della letteratura, gli autori della review sottolineano come la promozione dell’allattamento materno possa essere considerata la strategia di prevenzione primaria più semplice, più economica e più sicura per ridurre il rischio di contrarre malattie infettive nel corso dell’infanzia.

Sia l’esclusività che la durata dell’allattamento al seno rappresentano i fattori principali alla base dell’effetto protettivo del latte materno, a partire dai primi giorni di vita, indipendentemente dall’età gestazionale, dalla tipologia di parto e dal peso alla nascita.

Anche se la maggior parte degli studi ha dimostrato che la protezione offerta dall’allattamento materno è limitata ai primi 6-12 mesi di vita, alcuni autori hanno documentato la persistenza del beneficio fino alla prima età scolastica.

Al contempo, recenti studi hanno suggerito l’esistenza di un’associazione significativa tra lo stato vitaminico D e la severità o l’incidenza delle varie malattie infettive dell’infanzia, con particolare riferimento alle infezioni respiratorie. Ciò detto, però, i ricercatori hanno anche sottolineato come, alla luce delle evidenze disponibili, non vada raccomandata la supplementazione vitaminica D a tutti allo scopo esclusivo di prevenire le malattie infettive, compresa la Covid-19.

Gli autori della review, invece, suggeriscono il controllo attento e periodico dei fattori di rischio di deficit vitaminico D da parte dei pediatri, offrendo la possibilità della supplementazione vitaminica a tutti i bambini a rischio, particolarmente durante la stagione fredda, per prevenire l’ipovitaminosi D severa (175).

Allo stato attuale, le metanalisi e gli studi disponibili non consentono di trarre informazioni su un possibile effetto sinergico della supplementazione di vitamina D e dell’allattamento al seno sulla prevenzione delle infezioni pediatriche.

Di qui, la necessità, secondo gli autori, di approfondire le ricerche sull’argomento, al fine di suggerire, in modo definitivo, l’importanza di promuovere queste due semplici strategie di salute pubblica.

I Key point  riassuntivi del punto di vista degli autori della review
– Sarebbe opportuno prendere in considerazione come obiettivi fondamentali di salute pubblica la promozione, la protezione e il supporto all’allattamento materno
– Ogni bambino ha il diritto di trarre vantaggio dai molteplici benefici dell’allattamento materno, compresa la riduzione significativa del rischio di infezioni pediatriche
– Durata ed esclusività dell’allattamento al seno rappresentano i principali determinanti del ruolo protettivo del latte materno contro le infezioni
– Il deficit di vitamina D potrebbe essere considerato un fattore di rischio modificabile per lo sviluppo di malattie infettive pediatriche
– La supplementazione di vitamina D rappresenta la strategia più semplice ed efficace per prevenire il deficit di vitamina D
– La supplementazi0one con 400 UI/die di vitamina D dovrebbe essere proposta ad ogni bambino nel primo anno di vita. I bambini in età più avanzata, invece, dovrebbero essere sottoposti a supplementazione con almeno 600 UI/die in presenza di fattori di rischio di deficit vitaminico D

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