Neoplasie mieloproliferative: più sanguinamenti con i DOAC


Neoplasie mieloproliferative: l’uso di anticoagulanti orali ad azione diretta (DOAC) sembra essere associato a un’incidenza di sanguinamenti più alta

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L’uso di anticoagulanti orali ad azione diretta (DOAC) sembra essere associato a un’incidenza di sanguinamenti più alta rispetto a quella attesa tra i pazienti affetti da neoplasie mieloproliferative (policitemia vera, mielofibrosi e trombocitemia essenziale) trattati con questi farmaci. A suggerirlo è uno studio retrospettivo statunitense presentato al 63° congresso dell’American Society of Hematology (ASH).

I risultati della ricerca vanno interpretati con cautela, ma evidenziano la necessità di studi più rigorosi che valutino la sicurezza dei DOAC in questi pazienti, ha precisato una delle autrici, Chi-Joan How, del Brigham and Women’s Hospital di Boston. Pertanto, ha detto la How, «i pazienti che iniziano un trattamento con DOAC devono essere monitorati attentamente per i sanguinamenti e sottoposti a una valutazione del loro rischio di sanguinamento».

Pochi dati su efficacia e sicurezza dei DOAC nei pazienti con neoplasie mieloproliferative
I DOAC sono agenti ampiamente utilizzati per il trattamento di molteplici condizioni, tra cui il tromboembolismo venoso (TEV) e arterioso (ATE) e la fibrillazione atriale, sia nella popolazione generale sia nei pazienti oncologici. Tuttavia, ci sono ancora pochi dati sulla sicurezza e l’efficacia di questi farmaci nelle persone con neoplasie mieloproliferative.

Peraltro, i pazienti con neoplasie mieloproliferative sono a rischio più alto di tromboembolia arteriosa e venosa, ma non ci sono ancora linee guida chiare per la scelta della terapia anticoagulante in questa popolazione.

«I DOAC vengono utilizzati sempre di più nei pazienti con neoplasie mieloproliferative, poiché sono più facili da usare rispetto al warfarin, che è lo standard storico in questi pazienti», ha spiegato la How. «Tuttavia, davvero non ci sono dati validi che orientino il clinico nell’impiego dei DOAC in questa specifica popolazione e le neoplasie mieloproliferative sono caratterizzate da un rischio di sanguinamento e di trombosi unico, che può essere diverso anche da quello di altre popolazioni di pazienti oncologici».

Pertanto, i ricercatori hanno effettato uno studio retrospettivo su pazienti con neoplasie mieloproliferative trattati con DOAC per una varietà di indicazioni e  hanno valutare i pattern di impiego dei DOAC nella pratica clinica reale e l’incidenza delle trombosi e dei sanguinamenti nei pazienti trattati con questi farmaci.

Studio retrospettivo su 133 pazienti
L’analisi ha coinvolto 133 pazienti (età mediana 71 anni; 56,4% di sesso femminile) ai quali era stato prescritto un trattamento con DOAC all’interno del Massachusetts General Hospital, del Brigham and Women’s Hospital e del Dana-Farber Cancer Institute di Boston tra il 1995 e il 2020.

I pazienti erano affetti da policitemia vera (57,1%), trombocitemia essenziale (26,3%), mielofibrosi (8,3%) e neoplasie mieloproliferative non altrimenti specificate (8,3%); inoltre, la maggior parte dei pazienti era portatrice di mutazioni di JAK2 (88,7%).

Le analisi hanno evidenziato che la maggior parte dei pazienti era stata trattata con apixaban (62,4%), seguito da rivaroxaban (31,6%), mentre il 5,3% aveva ricevuto dabigatran e lo 0,8% edoxaban.

Le indicazioni per cui i pazienti erano stati messi in terapia con un’anticoagulante comprendevano TEV (56,4%), fibrillazione atriale (34,6%) e ictus (9,1%) e gli eventi più comuni verificatisi nei pazienti con TEV erano trombosi venosa profonda (43%), embolia polmonare (31%) e trombosi venosa splancnica (21%).

Più della metà dei pazienti (55,6%) non aveva una storia precedente di TEV o tromboembolia atriale, il 26,3% aveva una storia di sola tromboembolia atriale, il 12,8% una storia di TEV e il 5,3% una storia di entrambi gli eventi.

Inoltre, meno di un terzo della coorte era stata trattato con un altro tipo di terapia anticoagulante in precedenza (23,3% dei pazienti con warfarin, 4,5% con fondaparinux, 3% con eparina a basso peso molecolare e 0,8% con altro).

La durata mediana del trattamento anticoagulante è stata di 37 mesi, senza differenze significative tra i pazienti trattati per la fibrillazione atriale e quelli trattati per il TEV. Venti pazienti (15%) hanno completato un ciclo finito di trattamento anticoagulante, 13 (9,8%) hanno avuto una riduzione della somministrazione a scopo profilattico, 66 (49,6%) hanno assunto aspirina in concomitanza con l’anticoagulazione e 110 (82,7%) sono stati sottoposti a una citoriduzione con terapia anticoagulante.

Incidenza di trombosi simile ai dati di letteratura, incidenza di sanguinamenti più alta del previsto
Dopo un follow-up mediano di 37 mesi, sono stati registrati 12 eventi trombotici (sette arteriosi, tre venosi e due occlusioni dello shunt portosistemico intraepatico transgiugulare) e 28 episodi di sanguinamento, sei dei quali maggiori. Quattro degli episodi di sanguinamento maggiore hanno contribuito al decesso del paziente.

L’incidenza cumulativa stimata di trombosi a un anno è risultata del 5,5% (IC al 95% 1,5-9,5), simile a quanto riportato nella letteratura precedente, mentre l’incidenza cumulativa stimata di sanguinamento a un anno è risultata del 12,3% (IC al 95% 6,4-18,2), notevolmente superiore ai tassi riportati in precedenza, compresi fra l’1% e il 3%.

Dato che lo studio è stato effettuato in un centri di eccellenza e di riferimento, molti dei pazienti trattati molto probabilmente erano più complessi e più malati – e, quindi, a più alto rischio di sanguinamento  – rispetto a quelli considerati in altri studi di letteratura, ha osservato la How. Inoltre, ha aggiunto l’autrice, gli outcome di sanguinamento, anche se valutati con le misure standard raccomandate, sono spesso molto soggettivi da riportare, per cui potrebbe esserci una certa variabilità fra una misura e l’altra.

L’analisi univariata e multivariata hanno evidenziato un’associazione significativa fra l’uso di dabigatran o edoxaban, così come una precedente storia di trombosi, e un rischio aumentato di trombosi (P < 0,05). Inoltre, l’analisi multivariata ha identificato un’età inferiore ai 65 anni come fattore di rischio di trombosi ricorrente (P = 0,04).

I ricercatori hanno osservato una tendenza verso un aumento dei sanguinamento associato all’uso di dabigatran o edoxaban, ma per il resto non hanno identificato fattori di rischio significativi per il sanguinamento.

Tuttavia, ha ribadito la How, il tasso di sanguinamenti superiore al previsto indica la continua necessità di una valutazione rigorosa.

«Questa è un’area di ricerca attiva e apre molte altre domande: quali pazienti con neoplasie mieloproliferative sono a maggior rischio di sanguinamento? E che cosa si può fare per prevenirlo?» ha detto la How, rimarcando che uno studio randomizzato rappresenterebbe il gold standard per valutare la sicurezza e l’efficacia dei DOAC in questa specifica popolazione.

Bibliografia
How CJ, et al. High Incidence of Bleeding Found with Direct Oral Anticoagulant Use in Myeloproliferative Neoplasm Patients. Blood (2021) 138 (Supplement 1): 3632. Link