Dal Cedars-Sinai Medical Center la ricerca a gravità zero


Esperimenti in orbita degli scienziati del Cedars-Sinai Medical Center, che intendono sfruttare lo spazio per la ricerca a gravità zero

Esperimenti in orbita degli scienziati del Cedars-Sinai Medical Center, che intendono sfruttare lo spazio per la ricerca a gravità zero

Se in assenza di peso gli astronauti a bordo della Stazione spaziale fluttuano e si sottopongono a rigorosi esercizi fisici per prevenire la perdita di massa muscolare e la demineralizzazione delle ossa, in ambito medico la microgravità potrebbe facilitare la rapida produzione di grandi quantità di cellule staminali.

Secondo uno studio sullo sfruttamento della microgravità per applicazioni mediche guidato dal Cedars-Sinai Medical Center, in California, e pubblicato sulla rivista Stem cell reports, nello spazio una tale condizione potrebbe essere il segreto per la produzione di massa di cellule staminali. Proprio la bioproduzione – in particolare la produzione di cellule staminali avvalendosi di materiali biologici, per esempio microbi, per fabbricare sostanze e biomateriali adatti ad applicazioni precliniche, cliniche e terapeutiche – risulterebbe più efficiente se condotta in condizioni di microgravità.

«Stiamo scoprendo che il volo spaziale e la microgravità offrono condizioni favorevoli per la bioproduzione», spiega il primo autore dello studio, Arun Sharma, del Cedars-Sinai, «perché conferiscono una serie di proprietà molto speciali ai tessuti e ai processi biologici che possono aiutare la produzione di massa di cellule o altri prodotti in un modo non replicabile sulla Terra. Negli ultimi due decenni abbiamo assistito a notevoli avanzamenti nella medicina rigenerativa, e a progressi esponenziali nelle tecnologie spaziali che hanno aperto nuove opportunità di accesso e commercializzazione dello spazio».

Tra le opportunità individuate dalla ricerca del Cedars-Sinai, le principali riguardano la messa a punto di modelli avanzati di malattie, l’espansione delle capacità di stampa 3D e la produzione di massa di cellule staminali.

Ma andiamo con ordine. Quando il corpo è esposto a condizioni di bassa gravità per lunghi periodi di tempo, subisce cambiamenti che possono tradursi in decondizionamento vascolare, atrofia, perdita ossea e disfunzione immunitaria, riproducendo gli esiti di malattie croniche e dell’invecchiamento, ma a un ritmo accelerato. Effetti che per manifestarsi sulla Terra possono richiedere anni, mentre in condizioni di microgravità possono evolvere in poche settimane. Sviluppando modelli di malattia basati su questi processi è possibile studiarne i meccanismi, nonché la progressione della malattia con i possibili trattamenti. Come? Replicando strutture pienamente funzionali attraverso cellule staminali, organoidi – strutture 3D in miniatura cresciute da cellule staminali che somigliano a tessuti umani – o altri tessuti. «Oltre ad aiutare gli astronauti», aggiunge Sharma, «questo lavoro può anche portarci a produrre ossa o strutture muscolo-scheletriche utilizzabili per malattie come l’osteoporosi e altre forme di invecchiamento osseo accelerato, o atrofia muscolare, alle quali le persone vanno soggette qui sulla Terra».

Una seconda opportunità presa in esame è la stampa 3D come tecnologia di bioproduzione, utilizzando appunto processi di fabbricazione per produrre biomateriali come tessuti e organi. Uno fra i principali problemi della produzione di questi materiali sulla Terra ha a che fare con la densità indotta dalla gravità, che rende difficile l’espansione e la crescita delle cellule. Nello spazio, in assenza di gravità, gli scienziati sperano di poter utilizzare le tecnologie di 3D bioprinting per stampare forme e prodotti unici, come organoidi o tessuti cardiaci.

La terza opportunità, infine, riguarda direttamente la produzione di cellule staminali e, conseguentemente, la comprensione del modo in cui la microgravità influenza alcune delle loro proprietà fondamentali, come la potenza, ovvero la capacità di una cellula staminale di differenziarsi in altri tipi di cellule. Comprendere alcuni degli effetti del volo spaziale sulle cellule staminali potrebbe portare a migliorare e incrementare il numero di cellule prodotte in assenza di gravità. Per verificare se ciò sarà davvero possibile, all’inizio del prossimo anno gli scienziati di Cedars-Sinai – in collaborazione con la Nasa e l’industria aeronautica e aerospaziale privata Space Tango – invieranno cellule staminali sulla Stazione spaziale.

Per saperne di più:

  • Leggi su Stem Cell Reports l’articolo “Biomanufacturing in Low Earth Orbit for Regenerative Medicine”, di Arun Sharma, Rachel A. Clemens, Orquidea Garcia, D. Lansing Taylor, Nicole L. Wagner, Kelly A. Shepard, Anjali Gupta, Siobhan Malany, Alan J. Grodzinsky, Mary Kearns-Jonker, Devin B. Mair, Deok-Ho Kim, Michael S. Roberts, Jeanne F. Loring, Jianying Hu, Lara E. Warren, Sven Eenmaa, Joe Bozada, Eric Paljug, Mark Roth, Donald P. Taylor, Gary Rodrigue, Patrick Cantini, Amelia W. Smith, Marc A. Giulianotti e William R. Wagner