Long Covid: come la riabilitazione può dare una mano


Con la sindrome da Long Covid la riabilitazione può aiutare. Strenghetto (ospedale Villa Bellombra) spiega in che cosa consiste

coronavirus variante omicron

L’infezione da Covid-19 lascia notevoli segni e strascichi che possono durare mesi e avere conseguenze sull’apparato motorio, cardiorespiratorio e su quello psicofisico in generale. L’incapacità per molti pazienti di tornare alla vita normale, a muoversi e a deglutire con facilità sono disturbi frequenti quando il virus ha colpito in modo più severo. Per recuperare le disabilità lasciate dal long Covid, è fondamentale la riabilitazione in ospedale e da proseguire se necessario anche a casa. La presa in carico di questi pazienti è multidisciplinare ma il ruolo di coordinatore è affidato al fisiatra.

Per capire in che modo il paziente con long Covid è avviato al percorso riabilitativo, quali sono i tempi di guarigione e qual è l’identikit dei soggetti che riportano maggiori esiti anche da sars-Cov2 l’agenzia di stampa Dire (www.dire.it) ha raggiunto telefonicamente la dottoressa Carla Strenghetto, fisiatra presso ospedale Villa Bellombra a Bologna.

– Qual è la vostra esperienza maturata durante le varie fasi della pandemia nella riabilitazione dei pazienti che si sono positivizzati?

Da luglio 2020 abbiamo avuto in trattamento oltre 50 pazienti che erano stati ricoverati precedentemente nel reparto di terapia intensiva– risponde Strenghetto- e che riportavano ancora gli esiti dell’infezione da Covid-19. Ricorrente è stata la sensazione riferita dai pazienti di ‘essere vivi per miracolo’ soprattutto nei primi mesi della pandemia. Al contrario oggi possiamo dire che il percorso e il trattamento della malattia è noto e dunque le persone sono maggiormente preparate e serene nell’affrontarlo. I pazienti più complessi sono stati quelli che avevano una storia clinica contraddistinta da un lungo ricovero e che erano affetti da comorbilità precedenti. L’età media dei pazienti negli ultimi mesi è diminuita: 40-50 anni circa rispetto ai primi pazienti che erano più anziani“.

“Come sappiamo- continua Strenghetto- la forma grave di infezione sars-Cov2 provoca insufficienza respiratoria che può complicarsi con sovrainfezioni batteriche, con sepsi con quadro di shock e danno renale e degli arti organi. Questi sintomi richiedono il trattamento in terapia intensiva, la sedazione e l’intubazione. Al recupero del respiro spontaneo oltre ai danni del prolungato allettamento, con le problematiche deglutitorie legate all’intubazione protratta, tipici di tutti i pazienti provenienti dalla rianimazione, abbiamo riscontrato frequentemente in questi pazienti una polineuropatia specifica con quadro di paralisi dei nervi periferici e importanti problematiche cognitive e psicologiche“.

– Perché è necessario un ciclo riabilitativo per quei pazienti che escono dalla rianimazione?

“Il paziente decritto è complesso e non è ancora in grado di rientrare al domicilio. È quindi necessaria una riabilitazione in regime di ricovero in ospedale e una presa in carico multidisciplinare: l’internista per i problemi degli organi e delle loro funzioni; il logopedista che si occupa dei problemi di deglutizione e fonazione; lo psicologo per affrontare i problemi psichici. Sappiamo infatti che frequentemente queste persone anche una volta negativizzate soffrono di ansia e di depressione, talvolta di allucinazioni e di delirio. All’interno della nostra equipe trova posto anche il neuropsicologo per affrontare gli altri esiti che possono sussistere dopo l’infezione, come i problemi di memoria e la facile distraibilità, la famosa ‘nebbia cognitiva’. Ovviamente non può mancare in questa squadra di lavoro il fisioterapista che si occupa della rieducazione neuromotoria per far fronte non solo alla perdita di forza muscolare, all’astenia, all’affaticabilità, alla dispnea, ma anche ai danni neurologici alle retrazioni tendinee e alla impossibilità a deambulare. Gli infermieri sono coinvolti nella gestione del paziente e nel trattamento delle lesioni da pressione e, coadiuvati dagli Oss- precisa la fisiatra- nella mobilizzazione nel letto: molti di questi pazienti hanno difficoltà a cambiare posizione nel letto e hanno riportato danni cutanei nei punti di appoggio”.

Infine il fisiatra è la “figura che coordina tutte le varie componenti, qui elencate, in accordo con i caregiver. Il paziente è al centro del percorso riabilitativo che è assolutamente personalizzato sulle esigenze del soggetto. Vengono utilizzate varie scale di valutazione per misurare il livello di disabilità, scegliere il miglior percorso per il paziente e valutare i risultati raggiunti. In particolare- ricorda Strenghetto- in questi casi usiamo la ‘scala di Borg’ e il ‘Six minut walking test’ (6MWT). Ancora non abbiamo analizzato con criteri statistici i nostri dati, ma c’è materiale per uno studio che intendiamo produrre”.

– Una volta dimesso il paziente continua a svolgere in ambulatorio o a casa la riabilitazione?

“Il tempo medio del ricovero dei nostri pazienti è stato pari ai 20-40 giorni. Per alcuni il rientro a casa ha coinciso con il recupero dell’autonomia completa. Nei casi più complessi, il percorso riabilitativo, è proseguito anche a domicilio. Lavoriamo perché ci sia una continuità con il territorio. La dimissione viene pianificata e concordata con i familiari che, a volte, si trovano a dover far fronte ad una situazione di disabilità ancora presente. Nei casi più complesso contattiamo i medici di medicina generale per condividere il percorso. Attiviamo i servizi infermieristici territoriali per tutte le medicazioni necessarie per le lesioni da pressione e per altre esigenze infermieristiche. Prescriviamo gli ausili necessari per favorire la capacità muoversi all’interno della propria casa e attiviamo percorsi di continuità riabilitativa territoriale quando necessario. All’interno di questo percorso sono previsti anche dei controlli clinici pianificati post dimissione in casi specifici. L’obiettivo del nostro lavoro è sempre di non far sentire ‘solo’ il paziente”.

– I pazienti oggi ricoverati a Villa Bellombra con esiti gravi da Covid sono ‘non vaccinati’?

“Gli ultimi pazienti che noi abbiamo ricoverato sono tutti pazienti non vaccinati. Abbiamo davvero la prova che il vaccino contro il Covid protegge dall’infezione in forma grave e di conseguenza dagli esiti più pesanti derivanti dalla malattia”, conclude Strenghetto.