Individuata la sorgente del terremoto del 1349 in Appennino


Ricercatori dell’Istituto di geologia ambientale e geoingegneria (Igag) del Cnr hanno individuato la sorgente del devastante terremoto del 1349 in Appennino centrale

Individuata la sorgente del terremoto del 1349

Nuovi studi paleosismologici e nuovi dati sulla faglia del Gran Sasso hanno consentito all’Istituto di geologia ambientale e geoingegneria (Igag) del Cnr di ipotizzare che la medesima faglia possa essere considerata la sorgente sismogenetica del disastroso terremoto del 1349, che colpì severamente l’aquilano, con danneggiamenti anche nell’area laziale e in particolare a Roma.

Petrarca, a pochi anni dal terremoto epocale del 1349, scrive a Papa Urbano V ad Avignone, piangendo la rovina a Roma delle basiliche di San Giovanni, San Pietro, San Paolo e dei SS Apostoli, a cui si devono aggiungere i crolli delle torri dei Conti e delle Milizie, delle chiese di Santa Maria in Aracoeli e di San Lorenzo al Verano, della Basilica Ulpia e di Massenzio, del Teatro Marcello e finanche del Colosseo.

Il terremoto del 1349, si sa, non fu un unico evento, ma piuttosto una sequenza con almeno due scosse catastrofiche, avvenute forse nello stesso giorno (il 9 settembre), una originata dalla faglia delle Aquae Iuliae, presso Venafro, e l’altra da qualche parte in Abruzzo, tra Sulmona e L’Aquila, quest’ultima rasa al suolo con 800 morti.

Notizie inedite sugli effetti dell’evento in Abruzzo e nuovi dati paleosismologici sulla faglia del Gran Sasso, hanno finalmente permesso a ricercatori del Cnr-Igag e del Dipartimento della Protezione civile di ipotizzare che sia proprio quest’ultima la sorgente del disastroso terremoto aquilano e quindi dei danneggiamenti nell’area laziale, cumulatisi con quelli della scossa venafrana che molti danni fece anche a Napoli.

La faglia del Gran Sasso è un sistema composto da numerosi segmenti che complessivamente si estendono per ben 45 km, una lunghezza di rottura compatibile con una Magnitudo 7, sufficiente a spiegare gli effetti distruttivi ed estesi del terremoto del 1349. Una lunghezza che pone la faglia del Gran Sasso tra le più pericolose, se non la più pericolosa dell’Appennino, almeno in termini di potenziale sismogenico. Le evidenze nelle trincee paleosismologiche hanno anche permesso di datare l’evento precedente a 2800 anni fa ed un altro a 6100 anni fa.

Ancora una volta, è la geologia di terreno che ha permesso di risolvere uno dei più intricati rebus sismologici italiani, quello relativo al più catastrofico e complesso terremoto medievale dell’Italia centrale, fornendone con precisione epicentro e magnitudo delle due scosse principali.

Lo studio del Cnr-Igag, in collaborazione con il Dipartimento della Protezione civile, è stato pubblicato sulla rivista Tectonophysics con i seguenti riferimenti: Galli G., Galderisi A., Messina P., Peronace E., 2022. The Gran Sasso fault system: Paleoseismological constraints on the catastrophic 1349 earthquake in Central Italy, Tectonophysics, 822, 229156, https://doi.org/10.1016/j.tecto.2021.229156.

Didascalia immagine – In alto: la distribuzione degli effetti nelle due scosse principali del 1349 (faglia delle Aquae Iuliae a sud e del Gran Sasso a nord), così come ricostruita ed interpretata dagli autori. In basso: uno dei tratti più spettacolari della faglia oltre lo spartiacque di Campo Imperatore dove ne raddoppia la cresta immergendo contromonte nelle morene e nei circhi successivi all’ultimo massimo glaciale.

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