Acido urico: la gotta è solo la punta dell’iceberg


Alti livelli di acido urico: la gotta è solo la punta di un iceberg costituito da rischio cardiovascolare e ipertensione arteriosa

Alti livelli di acido urico: la gotta è solo la punta dell'iceberg costituito da rischio cardiovascolare e ipertensione arteriosa. Parla l'esperto

Negli ultimi anni l’attenzione verso l’acido urico è andata sempre più aumentando, principalmente perché questa molecola si è rivelata associata a un incremento del rischio cardiovascolare – sia nella popolazione generale sia nella popolazione ipertesa – e ha dimostrato di essere un fattore di rischio indipendente per lo sviluppo dell’ipertensione arteriosa.

Ne ha parlato il Prof. Claudio Borghi, Ordinario di Medicina Interna all’Università degli Studi di Bologna, nel corso di un incontro virtuale sul tema “Acido urico e ipertensione uricemica”.

I motivi di una rinnovata attenzione verso l’acido urico e la sua modulazione plasmatica
«Occorre sottolineare che – nonostante sia riconosciuto da tempo un ruolo cardiolesivo di questo metabolita e soprattutto che l’iperuricemia sia un fattore di rischio cardiovascolare – la “riscoperta” dell’acido urico in questo ambito clinico è relativamente recente, così come la necessità di modulare i suoi livelli plasmatici» premette Borghi. «In termini terapeutici, va considerato che alcuni farmaci hanno come attività principale la riduzione dei livelli di acido urico, mentre per altri questo potrebbe essere considerato un effetto secondario. Utilizzare questi ultimi per la loro indicazione principale può comportare un approccio più integrato alla gestione del rischio cardiovascolare per il paziente».

A tale proposito, si ricorda che losartan è l’unico antipertensivo, appartenente alla classe dei sartani, che ha un’azione fortemente ipouricemizzante (20-25%, più che doppia rispetto ai calcio-antagonisti), caratteristica che, associata a un’epidemiologia che indica come dal 25 al 60% dei pazienti ipertesi in terapia farmacologica abbia un’uricemia alterata, induce a ritenere che – nell’ambito dell’iperuricemia – l’assunzione di losartan come strategia per il trattamento dell’ipertensione arteriosa, nell’ampia porzione di pazienti ipertesi e lievemente iperuricemici, sembra essere quella più adeguata.

I livelli di acido urico e il rischio cardiovascolare
«I meccanismi alla base dell’iperuricemia sono fondamentalmente due: aumentata produzione oppure ridotta eliminazione» spiega l’internista. «La principale causa di iperuricemia (i cui valori medi nel mondo occidentale sono passati da 3,5 mg/dl nel 1920 a 6,5 mg/dl) è il consumo di bevande edulcorate con fruttosio. Nell’80% dei casi l’iperuricemia è legata però a una ridotta escrezione più che a un eccessivo apporto» spiega l’internista. Ed è proprio sull’escrezione renale che agisce losartan, farmaco antipertensivo che ha anche un effetto uricosurico.

«In caso di diminuita escrezione, aumenta la concentrazione plasmatica di acido urico; data la sua solubilità relativamente bassa, una concentrazione superiore a 6,5 mg/dl determina la precipitazione del relativo sale solido, cioè l’urato monosodico, a livello articolare. Si formano così depositi (tofi) responsabili della sintomatologia clinica della gotta, che fino a qualche anno fa era considerata l’unica manifestazione clinica dell’accumulo di questa sostanza» ricorda Borghi.

«Le problematiche articolari, insieme ai calcoli renali, rappresentano solo una parte del problema: la punta dell’iceberg; l’enorme massa sommersa riguarda le patologie cardiovascolari, che sono presenti indipendentemente o meno dalla gotta» precisa il professore..«È noto che, correlato all’aumento dei livelli circolanti di acido urico (già sopra a 5mg/ml si comincia a parlare di livelli elevati rispetto alla norma) si verifica un aumento del rischio di ipertensione, diabete e malattie cardiovascolari». (fig.1)

Fig. 1 – Curve di Kaplan-Meier che evidenziano come livelli di acido urico sierico oltre la soglia di 5-6 mg/dl siano predittivi di mortalità generale e cardiovascolare.

Va sottolineato, prosegue Borghi, che è l’acido urico in quanto tale che si correla con un aumentato rischio cardiovascolare, e non la presenza di precipitati. Occorre soprattutto considerare che, attualmente, i farmaci ipouricemizzanti hanno come uniche indicazioni la gotta; in tutti gli altri casi non è possibile un intervento farmacologico con un inibitore della xantino ossidasi. «In questo quadro, diventa interessante la possibilità di utilizzare un farmaco in grado di ridurre non solo il rischio cardiovascolare – come azione principale – ma anche i livelli circolanti di acido urico: un tipo di approccio terapeutico peraltro raccomandato dalle attuali linee guida, in quanto consente di controllare un fattore di rischio come l’ipertensione e contestualmente ridurre i livelli circolanti di acido urico».

Aspetti epidemiologici dell’uricemia e conseguenze pressorie
Dati italiani mostrano una prevalenza di iperuricemia (> 6 mg/dl) che nel quinquennio dal 2005 al 2009 è passata dall’8,5% al 12% nella popolazione generale; se questi dati sono analizzati anche in relazione all’età, si può osservare che la popolazione maschile di oltre 75 anni presenta iperuricemia nel 40% dei casi, mentre quella femminile nel 25%. Un altro studio condotto sulla popolazione generale italiana segnala che un terzo degli individui presenta livelli circolanti di acido urico superiore a 6 mg/dl. «La diffusione dell’iperuricemia è provocata fondamentalmente dalla modificazione delle abitudini alimentari» commenta il docente.

Un ulteriore studio condotto su una popolazione giapponese di soggetti non trattati con farmaci antipertensivi o ipouricemizzanti consente inoltre di osservare che i livelli di acido urico sono leggermente inferiori nella popolazione femminile rispetto a quella maschile (5 mg/dl per le donne, 5,5 mg/dl per gli uomini), grazie all’effetto degli estrogeni sui valori dell’uricemia. (fig.2)

Fig. 2 – Studio condotto su una popolazione giapponese. Livelli inferiori di acido urico e minore prevalenza di ipertensione nel genere femminile.

«Un’altra osservazione, clinicamente rilevante, riguarda il parallelismo esistente tra livelli circolanti di acido urico e il rischio di ipertensione arteriosa: più alti sono i livelli circolanti di acido urico, più è elevata la prevalenza dell’ipertensione arteriosa, nella popolazione sia maschile sia femminile» sottolinea Borghi. «È fondamentale la dimostrazione dell’importante quota di popolazione coinvolta da questo tipo di problema e il fatto che il rischio, in termini cardiovascolari, tende a manifestarsi per livelli di acido urico che non vengono presi in considerazione perché considerati distanti dai livelli più elevati, tradizionalmente considerati pericolosi. Tali livelli sono ampiamente modulabili da strategie non dedicate espressamente al trattamento dell’iperuricemia».

Va inoltre ribadito, aggiunge l’accademico, che il rischio cardiovascolare non è correlato solo ai valori pressori, ma che sono coinvolti numerosi altri fattori, come diabete, obesità, fattori di tipo dismetabolico, alterazioni della funzione renale. Tutte queste condizioni aumentano il rischio cardiovascolare e questi pazienti spesso non possono utilizzare farmaci ipouricemizzanti tradizionali, per l’assenza di indicazioni autorizzate. Per questo è importante disporre di una soluzione alternativa, quale appunto losartan.

La conferma meta-analitica: non associazione casuale ma nesso di causalità
«La letteratura scientifica si esprime con chiarezza: avere un aumento dei livelli circolanti di acido urico comporta un aumento del rischio di ipertensione arteriosa; tutte le metanalisi vanno in questa direzione: un aumento dei livelli circolanti di acido urico, cioè superiore a 6 mg/dl, comporta un aumento del rischio di ipertensione arteriosa. Si tratta evidentemente di un criterio importante dal punto di vista epidemiologico: se tutti i dati vanno in una direzione, evidentemente si deve pensare a qualcosa che va oltre la semplice casualità, ma diventa un rapporto causale» rileva Borghi.

Livelli di acido urico intorno a 6 mg/dl, inferiori a quelli medi di saturazione, determinano un aumento del rischio di ipertensione arteriosa. La conferma viene dal fatto che ridurre l’uricemia con un uricosurico nel ragazzo non sovrappeso riduce la pressione arteriosa, confermando che l’iperuricemia è un determinante fisiopatologico dell’aumento della pressione arteriosa, afferma l’internista. «Peraltro» prosegue «già nel 1879 Frederick Akbar Mohamed ipotizzò che l’acido urico potesse avere un ruolo nello sviluppo dell’ipertensione essenziale»

Come già segnalato, resta il problema di come intervenire in caso di livelli di acido urico elevati, dal momento che i farmaci ipouricemizzanti sono indicati solo nel caso di gotta, ribadisce Borghi. Losartan, antipertensivo altamente ipouricemizzante, consente di correggere intervenire sui valori pressori e al contempo migliorare anche i valori di acido urico.

Il meccanismo d’azione di losartan
L’acido urico è filtrato a livello del glomerulo renale e viene continuamente riassorbito attraverso diversi meccanismi; uno dei principali è il trasportatore degli urati, URAT1, che rappresenta il bersaglio di diversi composti farmacologici. Losartan, inibendo questo trasportatore, interferisce con il riassorbimento di una quota parte di acido urico con conseguente effetto uricosurico; l’acido urico non riassorbito prosegue il percorso nel tubulo renale e viene eliminato con le urine.

La riduzione dell’uricemia che si può osservare varia dal 20% al 25%, in relazione alla tipologia di paziente. Il paziente sovrappeso/obeso, iperinsulinemico, tende a ritenere molto acido urico a livello renale; in questa tipologia di pazienti si può ottenere una riduzione dei livelli di acido urico che arriva al 35%. In generale la riduzione si può attestare intorno al 10-15%. Se i valori di uricemia di partenza sono 6 mg/dl, si ottiene una diminuzione di 6-7 mg/dl; questo comporta, in termini di riduzione del rischio cardiovascolare a lungo termine, un dato concretamente molto rilevante sotto il profilo clinico.

«Occorre sottolineare che losartan non va considerato direttamente una terapia ipouricemizzante, ma un farmaco pressorio che comporta anche una riduzione dell’uricemia come vantaggio addizionale a lungo termine. Quella di riduzione dei valori di acido urico va considerata un’azione ancillare a quella primaria, anti ipertensiva» rimarca l’internista. «In quest’ottica, non si ricercano variazioni percentuali altamente significative, quanto piuttosto un vantaggio anche piccolo mantenuto nel tempo. Non è l’obiettivo di questa terapia ottenere un valore di uricemia inferiore a 3 mg/dl, ma piuttosto un valore che potrebbe essere intorno ai 5-5,5 mg/dl».

Le raccomandazioni delle linee guida ESH, ESC, ISH ed EULAR
A fronte di un nesso tra i livelli circolanti di acido urico e un aumento del rischio cardiovascolare, ci si trova a decidere con cosa trattarli perché gli inibitori della xantina ossidasi, in assenza di malattia da deposito di urati, non possono essere usati. Questo nonostante varie linee guida e documenti di consenso attribuiscano dignità all’acido urico come fattore di rischio associato all’ipertensione, osserva Borghi.

«Le Linee Guida della Società Internazionale dell’Ipertensione (ISH) raccomandano di valutare i livelli di acido urico come parte dello screening del paziente iperteso per un migliore inquadramento ed evidenziano la necessità di trattare i livelli sierici elevati di acido urico con farmaci che ne influenzino il livello, come losartan, fibrati o atorvastatina, o farmaci ipouricemizzanti nel caso di gotta» riporta Borghi. «In particolare, i dati derivati da una grande analisi pubblicata sul “British Medical Journal” parlano di un impatto della dieta sui livelli di uricemia non superiore al 10%; la stessa non può essere quindi la soluzione globale del problema, oltre al fatto che di solito è molto sgradita dal paziente. Nel caso l’iperuricemia sia associata a ipertensione, è allora possibile fornire ai pazienti una risposta convincente senza caricare eccessivamente il loro schema di terapia farmacologica, ma cercando di trarne il massimo vantaggio».

Un riconoscimento al ruolo dell’acido urico, aggiunge il cattedratio, giunge anche dalle ultime linee guida WHO-ISH (World Health Organization-International Society of Hypertension) che, nell’ambito dell’inquadramento diagnostico, inserisce – oltre agli esami obbligatori (esame delle urine, dosaggio di potassio, creatinina, glicemia a digiuno. colesterolo totale, ECG) – tra gli esami facoltativi (sulla base dell’anamnesi e dell’esame obiettivo) la misurazione dell’uricemia. Le stesse linee guida, per la riduzione dei valori pressori, puntano principalmente sulla prevenzione attraverso la modificazione dello stile di vita (corretta alimentazione, attività fisica regolare, ma anche abolizione del fumo e ritenzione sodica) al fine principale di perdere peso.

«Qualora non si ottenessero risultati soddisfacenti e, comunque, nei pazienti a più alto rischio cardiovascolare, si ritenesse opportuno intraprendere un trattamento farmacologico, si specifica che tra le sei principali classi di farmaci antipertensivi (diuretici, betabloccanti, ace-inibitori, calcioantagonisti, alfa-bloccanti, antagonisti dell’angiotensina II [tra cui losartan]) si sottolinea che la scelta dovrebbe cadere sul farmaco che nel singolo paziente meglio risponde ad alcuni criteri, e cioè: profilo di rischio cardiovascolare, presenza di danni d’organo e di complicanze cliniche legate all’ipertensione, oltre alla presenza di altre malattie concomitanti» riporta  Borghi.

Anche nelle ultime linee guida ESC (European Society of Cardiology) del 2018 sulla gestione dell’ipertensione arteriosa è stato riconosciuto un ruolo di rilievo all’acido urico come fattore che influisce sul rischio cardiovascolare nel paziente iperteso e, pertanto, si raccomanda la misurazione della uricemia nelle fasi di valutazione dei pazienti con elevati valori pressori. Quanto alle linee guida EULAR (European League Against Rheumatism), dichiarano di ridurre i livelli circolanti di acido urico, sotto 6  mg/dl o anche sotto 5 mg/dl, ma solo se il paziente ha gotta.

La terapia ipouricemizzante al di là dei farmaci preposti
I farmaci ipouricemizzanti sono soltanto due e sono gli inibitori della xantino-ossidasi. «La dieta apurinica è in grado di ridurre l’uricemia di 1 mg/dl, ma è poco accettata» ricorda il docente. «Gli interventi farmacologici prevedono due diverse categorie: gli inibitori della xantino-ossidasi e i farmaci uricosurici. Gli inibitori della xantino ossidasi sono due, l’allopurinolo (una molecola storica) e febuxostat, più recente. Questi farmaci hanno come indicazione specifica la presenza clinica evidente di malattia da deposito di urati. Negli altri casi, non ci sono farmaci che presentino indicazioni autorizzate».

Per evitare un uso off-label, specifica l’internista, è possibile utilizzare farmaci che presentino anche un effetto uricosurico, sfruttabile come vantaggio addizionale in termini di protezione cardiovascolare. Losartan è l’unico antiipertensivo che possiede proprietà uricosuriche spiccate (rispetto, per esempio, ai calcio-antagonisti): dato che interagisce con il sistema renina-angiotensina-aldosterone ed essendo il recettore dell’angiotensina II il principale determinante di danno nell’ipertensione arteriosa. (fig.3)

Fig. 3 – Confronto tra farmaci che influiscono sui livelli di acido urico sierico.

Da notare peraltro che la riduzione dei livelli di acido urico garantita da losartan è graduale, non eccessiva e non comporta il rischio di ipouricemia, correlata a sua volta a un aumento del rischio di eventi cardiovascolari. In prevenzione cardiovascolare losartan è il farmaco che vanta il miglior effetto uricosurico.

Riduzione dei livelli di acido urico e del rischio cardiovascolare, le prove in letteratura
Sono presenti in letteratura dati sulla reversibilità del rischio cardiovascolare in relazione a diminuiti livelli di acido urico, soprattutto in caso di pazienti con iperuricemia gottosa, spiega l’esperto. «Sono state inoltre raccolte evidenze nei pazienti con iperuricemia che vanno incontro a una riduzione di acido urico nel tempo; se si valuta la curva di diminuzione dei livelli di iperuricemia invece che il valore in assoluto, si osserva una riduzione dell’incidenza di ipertensione, diabete e complicanze cardiovascolari rispetto a chi si muove nella direzione opposta. Si tratta quindi di considerazioni clinico-epidemiologiche che mostrano come esista una correlazione tra eventi cardiovascolari e variazione dei livelli di acido urico, sia quando quest’ultimo aumenta sia quando si riduce».

Riguardo agli studi clinici controllati randomizzati che hanno valutato l’effetto della terapia ipouricemizzante, va detto che questi sono stati effettuati prevalentemente nel paziente gottoso e appaiono piuttosto rudimentali dal punto di vista metodologico, soprattutto per un’inadeguata stratificazione dei pazienti. I dati dello studio LIFE, però, hanno consentito di identificare l’impatto della riduzione dell’uricemia, dimostrando l’entità del beneficio globale conseguente alla riduzione dei livelli di acido urico sia per losartan sia per gli inibitori di SGLT2, attraverso un meccanismo d’azione analogo. Lo studio LIFE ha dimostrato che, nei pazienti trattati con beta bloccante, si osserva una crescita progressiva dei livelli circolanti di acido urico, crescita molto più rallentata nel caso di losartan. (fig. 4)

Fig. 4 – Studio LIFE. Confronto tra losatan e atenololo in termini di effetto ipouricemizzante.

I MESSAGGI CHIAVE

  1. Avere livelli circolanti elevati di acido urico nel plasma comporta un aumentato rischio di sviluppare ipertensione.
  2. Le due condizioni sono fra loro strettamente collegate. Molte meta-analisi e vari studi hanno evidenziato che non si tratta solo di un’associazione casuale ma che vi è un nesso di causalità-
  3. Tutte le principali linee guida europee e internazionali riconoscono nell’iperuricemia un fattore di rischio per l’ipertensione arteriosa e, quindi, per la salute cardiovascolare. Tale analita deve essere quindi misurato e monitorato tra gli altri esami di laboratorio, specie nei pazienti a più alto rischio.
  4. Una gestione ottimale dell’ipertensione arteriosa non può non passare da una gestione ottimale dell’uricemia: Le curve pressorie e quelle dell’uricemia sono parallele: quanto più aumenta l’ipertensione, tanto più aumenta l’uricemia, e viceversa.
  5. È stato dimostrato che un’azione ipouricemizzante nel tempo permette di migliorare i valori pressori.
  6. Losartan è l’unico antiipertensivo che possiede proprietà uricosuriche spiccate (rispetto, per esempio, ai calcio-antagonisti) e consente di controllare un fattore di rischio come l’ipertensione e contestualmente ridurre i livelli circolanti di acido urico.
  7. Occorre sottolineare che losartan non va considerato direttamente una terapia ipouricemizzante, ma un farmaco pressorio che comporta anche una riduzione dell’uricemia come vantaggio addizionale a lungo termine. Quella della riduzione dei valori di acido urico va considerata un’azione ancillare a quella primaria, antipertensiva.