Al congresso della SIGENP focus sull’intestino corto


La gestione del paziente con intestino corto al centro del congresso della SIGENP (Società Italiana di Gastroenterologia, Epatologia e Nutrizione Pediatrica)

Intestino corto: una malattia rara e poco conosciuta

La gestione della insufficienza intestinale cronica benigna determinata dall’intestino corto è decisamente cambiata negli anni grazie alla ricerca sia su nuovi marcatori di malattia, sia sull’ottimizzazione della nutrizione parenterale ma anche nella ricerca di opzioni farmacologiche. E’ molto importante considerare caratteristiche soggettive dell’individuo affetto e parametri fisici specifici che possono aiutare a capire la risposta del paziente e il decorso della malattia. Ne ha parlato la dottoressa Antonella Lezo, S.S. Dietetica e Nutrizione Clinica, Ospedale Infantile Regina Margherita, Città della Salute e della Scienza, Torino durante la ventottesima edizione del congresso della SIGENP (Società Italiana di Gastroenterologia, Epatologia e Nutrizione Pediatrica).

Cosa è la sindrome dell’intestino corto
Si parla di intestino corto quando, indipendentemente dalla causa (sia esso un infarto intestinale, patologie croniche come la malattia di Crohn o un tumore intestinale particolarmente invasivo), la porzione di intestino che rimane è inferiore a 200 cm nell’adulto e in misura proporzionale nel bambino.
L’intestino corto determina insufficienza intestinale cronica benigna (IICB) che comporta la riduzione della funzione intestinale sotto il minimo necessario per l’assorbimento di macronutrienti, acqua ed elettroliti, tale da richiedere la supplementazione per via venosa al fine di mantenere lo stato di salute e la crescita” (1).

L’autonomia dalla nutrizione parenterale è l’obiettivo comune tra i medici che si occupano di questi pazienti e non può prescindere da una serie di altri fattori tra cui la crescita, la qualità di vita, la riduzione delle complicanze etc.

La gestione dell’insufficienza intestinale: qualche cenno storico 
Si possono riconoscere alcuni momenti importanti nella gestione dell’insufficienza intestinale.
Nel 1968 negli USA è stata utilizzata per la prima volta la nutrizione parenterale, mentre nel 1980 è stato realizzato il primo intervento di allungamento Intestinale, effettuato dal prof. Adrian Bianchi ed è del 1988 il primo trapianto di intestino. Nel 1996 viene istituito il primo centro per la gestione multidisciplinare di questa grave patologia a Pittsburgh, negli USA.

Nella gestione dell’insufficienza intestinale è fondamentalmente evitare la colonizzazione batterica dei cateteri; risale al 2003 l’utilizzo di etanolo, ma è stato l’avvento delle soluzioni lock di taurolidina che hanno consentito di limitare l’uso degli antibiotici consentendo una corretta profilassi delle infezioni e dell’occlusione del lume del catetere.

Grande importanza ha assunto anche l’inizio dell’utilizzo degli acidi grassi a base di olio di pesce per la regressione dell’IFAD (insufficienza intestinale associata a danno epatico) e poi l’approvazione da parte dell’Fda della teduglutide che quest’anno è stata approvata anche da Aifa in pazienti pediatrici.

Gli obiettivi del trattamento e la gestione della malattia
“Grazie a una gestione specialistica multidisciplinare, all’innovazione tecnologica e al progresso scientifico, la possibilità di sopravvivenza di questi pazienti nel tempo è molto migliorata e si è passati da una situazione che presentava elevata mortalità, ad una condizione cronica con una qualità di vita accettabile e, in determinati casi, la possibilità di una completa riabilitazione e la sospensione della nutrizione parenterale.- ha dichiarato la dr.ssa Antonella Lezo, S.S. Dietetica e Nutrizione Clinica, Ospedale Infantile Regina Margherita, Città della Salute e della Scienza, Torino.

Gli obiettivi di uno svezzamento dalla nutrizione parenterale o di una gestione in sicurezza della nutrizione parenterale a domicilio sono obiettivi perseguibili, insieme eventualmente al trapianto di intestino, nell’ambito di un percorso che prevede diversi momenti, a cominciare dalla fase acuta, dove l’obiettivo di cura deve essere preservare la massima lunghezza intestinale possibile, di prevenire le infezioni e gli accessi venosi, molto frequenti nel primo anno, ma anche stabilizzare la funzione epatica e renale e di garantire l’omeostasi metabolica.”

Dopo il primo momento di gestione della fase acuta della malattia, il management si orienta verso un percorso definito per il singolo paziente, unico nelle sue specificità e nei suoi obiettivi. Tra queste caratteristiche del management occorre ricordare la necessità di massimizzare la compliance alle cure, garantire una nutrizione parenterale domiciliare di qualità, supportare la crescita, prevenire le complicanze croniche, come IFALD ma anche trombosi, malattie metaboliche dell’osso e stati carenziali, massimizzare l’adattamento intestinale e assicurare una buona qualità di vita.

I marcatori della gravità della malattia
Fra fattori prognostici favorevoli per lo svezzamento, la lunghezza di intestino tenue (>10% dell’atteso) e del colon in transito è la più rilevante. La presenza della valvola ileocecale, il colon in continuità e l’enterocolite necrotizzante come patologia di base sono quelle quotate sia nei diversi lavori sia in base alle evidenze. E’ oramai definito con certezza che l’alimentazione orale enterale, il programma multidisciplinare di riabilitazione, lo sviluppo o meno di complicanze impattano altrettanto significativamente sulla prognosi, come ribadito anche nella pubblicazione di Venick [1] in cui gli autori precisano quando la SBS (sindrome dell’intestino corto) sia una malattia rara con un andamento molto soggettivo e dove è necessario calarsi in modo personalizzato.

Non è corretto riferirsi solo ai centimetri di intestino, in quanto l’ileo, per le sue funzioni di assorbimento, ha un ruolo più significativo del digiuno; fondamentale è anche la valvola ileocecale, in quanto la sua presenza comporta anche la presenza dell’ileo terminale e il colon; questa valvola inoltre agisce da freno ileale e consente che la flora colica non risalga nel tenue, con tutte le conseguenze del caso, soprattutto a livello epatico. Il colon è chiaramente utile perché a questo livello avviene l’assorbimento dell’acqua, degli elettroliti e degli acidi grassi a catena corta. La sua presenza rende possibile ridurre il fabbisogno infusionale.

Alcuni marcatori biochimici sono in grado di consentire la valutazione della funzione intestinale residua e definire le possibilità di recupero. Tra questi il gold standard è il dosaggio plasmatico della citrullina, ma anche il GLP-2 postprandiale superiore a 15 e l’apoliproteina A4.

Due anni fa è stato proposto, da gruppo canadese, uno score di valutazione della possibilità di svezzarsi dalla nutrizione parenterale. Nell’articolo pubblicato sul Journal of Parenteral and Enteral Nutrition (JPEN), Christina Belza e coll. hanno proposto degli score per identificare a gravità della malattia; i parametri presi in considerazione sono la percentuale di intestino corto (più del 50% in transito), cui è attribuito il valore di due punti, la presenza della valvola ileocecale (1 punto), la concentrazione di bilirubina superiore a 30 µmol/L (2 punti) e la nutrizione enterale superiore a 50% (3 punti), per un totale massimo di 8 punti che identifica le forme meno gravi (2).

In base al punteggio attribuito da questo score, è possibile stimare la probabilità di svezzamento dalla nutrizione parenterale, possibilità che passa dal 25% nel caso di punteggio grave (da 0 a 2) e che arriva quasi al 100% nelle forme più lievi (punteggio da 6 a 8).

Very short e ultra-short bowel
Anche quando l’intestino è ultra corto, nei very e ultra short bowel, ci sono dei pazienti che possono essere svezzati e precisamente nei very short, quindi con intestino inferiore ai 35 centimentri, possono essere svezzati fino al 38% dei pazienti ma anche negli ultra short bowel, quelli con meno di 10 centimetri, una percentuale di circa il 10% riesce a svezzarsi. Sottolineiamo che anche la sopravvivenza in nutrizione parenterale con intestini così corti è veramente alta.

La sopravvivenza, ad esempio, di pazienti short bowel afferenti al Regina Margherita è del 97% a 20 anni e lo svezzamento da parenterale dopo non si modifica più e si arriva al 37% di pazienti che rimangono in nutrizione parenterale. Questo è lo spazio dove bisogna ancora lavorare per ridurre le complicanze e migliorare la qualità della vita.

1. Venick RS. Predictors of Intestinal Adaptation in Children. Gastroenterol Clin North Am. 2019 Dec;48(4):499-511. doi: 10.1016/j.gtc.2019.08.004. Epub 2019 Oct 4. PMID: 31668179
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2. Belza C, et al. Early Predictors of Enteral Autonomy in Pediatric Intestinal Failure Resulting From Short Bowel Syndrome: Development of a Disease Severity Scoring Tool. JPEN J Parenter Enteral Nutr. 2019 Nov;43(8):961-969.
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