HIV: indagine di Fondazione Icona sulle terapie


Un’indagine condotta da Fondazione Icona analizza la terapia antiretrovirale in Italia, quali sono le attese e le preoccupazioni dei pazienti

HIV: oggi si può azzerare il rischio contagio

In cerca di trattamenti su “misura”, di colloquio stretto con l’infettivologo curante per definire il percorso terapeutico e adattarlo alle necessità personali, di approcci terapeutici che in futuro aiutino a far “dimenticare” la malattia, con somministrazione delle cure distanziate tra loro.

Si possono riassumere così i risultati di una indagine recentissima, effettuata nei primi mesi del 2021, condotta su quasi 600 persone con HIV – 531 nella prima analisi e 580 nella seconda – che ha coinvolto i centri della coorte Icona, con il sostegno delle associazioni di pazienti e il supporto di ViiV HC. I dati presentati al congresso ICAR 2021 in corso a Riccione sono stati raccolti in forma anonima attraverso un questionario mirato a capire l’esperienza sulla terapia e sulla gestione della malattia di persone con HIV su tutto il territorio nazionale.

Le richieste sul trattamento
L’indagine ha preso in esame circa 600 persone con infezione da HIV in terapia antiretrovirale, in maggioranza maschi, che assumevano in quasi tre casi su quattro una terapia orale in singola compressa ogni giorno. L’età media della popolazione era di 49 anni, il 42% era laureato, sei persone su dieci avevano un impiego stabile. Sul fronte del trattamento, il 64% era in trattamento con tre farmaci e il 31% con due soli farmaci. Sono stati valutati i diversi aspetti sociali correlati alla condizione, al trattamento e all’impatto del trattamento anti-HIV e di eventuali co-terapie sulla vita di ogni giorno, oltre che sullo stato di salute.

L’indagine ha considerato esclusivamente il punto di vista dei pazienti, con un obiettivo chiaro legato alla comprensione della qualità di vita relativa alla salute percepita. Per misurare i differenti aspetti si è utilizzato un questionario internazionale, adattato alla situazione italiana, con 31 domande mirate (HIV Treatment & Diseases Burden – HTDB, DT Elton et al, Qual Life Res 2017) che considerano molteplici aspetti: dalle condizioni di presa in carico e cura alla gestione del rapporto con il centro clinico, dallo stato di salute generale alle difficoltà a risultare aderente alle terapie, per arrivare alla valutazione del livello di vita sociale e sul lavoro.

Dallo studio è emerso che una persona con infezione da HIV su cinque percepisce in maniera significativa il peso dell’impatto della malattia e della terapia. La giovane età, la non completa soddisfazione del trattamento antiretrovirale assunto e la richiesta di maggiore interazione con un sistema sanitario (medici, infermieri, struttura) più attento alla specifica condizione della persona sono i parametri che più appaiono correlati con il “peso” della malattia.

“Si tratta di dati di grande interesse per il nostro lavoro di ogni giorno – fa sapere la dott.ssa Antonella Cingolani, Università Cattolica S. Cuore, Fondazione Policlinico “A. Gemelli”, Roma. Colpisce che, nonostante la stragrande maggioranza delle terapie anti-HIV oggi disponibili siano racchiuse in un’unica compressa, quasi il 20% dei soggetti riferisca un peso “eccessivo” del trattamento e della malattia. In particolare, l’insoddisfazione al trattamento e lo scarso dialogo con il medico infettivologo minano significativamente il benessere dei pazienti. Questi aspetti, e su questo c’è ovviamente da lavorare anche in termini di comunicazione e attenzione, sono più rilevanti nei più giovani”.

Le terapie a lunga durata d’azione costituiscono una importante opzione
Liberare le persone con infezione da HIV dalla necessità di assumere i farmaci ogni giorno, attraverso formulazioni di farmaci antiretrovirali a lunga durata d’azione, che in base agli studi risultino in grado di controllare la viremia plasmatica con un’unica somministrazione a mesi di distanza è il futuro prossimo del trattamento dell’infezione da HIV. Ma quali sono le ragioni che possono spingere verso questa modalità terapeutica, lasciando il trattamento orale? Comprendere i motivi di questa scelta è stato l’obiettivo della seconda analisi dell’indagine svolta sui dati raccolti tramite il questionario sopracitato, e ha coinvolto 580 persone con infezione da HIV. I fattori di preferenza significativi sono stati l’insoddisfazione per la terapia in corso, la diagnosi recente, la difficoltà nell’organizzazione della routine quotidiana legata all’assunzione della terapia e il livello di frustrazione legato alla dipendenza quotidiana da una terapia. Anche in questo caso la giovane età sembra essere un criterio che caratterizza la preferenza verso le terapie a lunga durata d’azione.

“Si tratta di dati per certi versi attesi, ma che sotto altri aspetti colpiscono – commenta il dott. Alessandro Tavelli, Study Coordinator di Fondazione Icona e data manager dell’indagine, di Milano. Di certo c’è che le terapie antiretrovirali a lunga durata sono molto attese dai pazienti e che occorre capire, almeno in una prima fase, anche grazie a indagini come questa, chi potrà averne un immediato beneficio proprio in termini di miglioramento della qualità di vita, ossia il vero razionale per cui queste formulazioni sono state sviluppate”.

Il valore della coorte Icona
Queste ricerche, oltre a evidenziare i bisogni delle persone con infezione da HIV sui trattamenti e sulla personalizzazione delle cure, conferma una volta di più il valore della rete dei centri Icona, nata oltre 20 anni fa per monitorare i dati clinici e la gestione delle terapie antiretrovirali nelle persone con infezione da HIV che iniziano un percorso terapeutico. E precisano, come del resto emerso già da altre analisi del recente passato come la Positive Perspective 2 (Okoli, C. et al., 2020), che sarà sempre più necessario comprendere i bisogni delle persone con infezione da HIV per poter disegnare percorsi terapeutici mirati e proporre modalità di assistenza adatti alle singole esigenze. “Pur con tutti i limiti metodologici, avere strumenti snelli come le indagini effettuate direttamente sulle persone con infezione da HIV ci consente di fotografare una realtà e riflettere, al fine di poter progettare analisi di coorte più mirate, conclude la Prof.ssa Antonella D’Arminio Monforte, ASST Santi Paolo e Carlo, Milano e Presidente di Fondazione ICONA. La rete ICONA e la collaborazione con le organizzazioni di pazienti ci hanno consentito una raccolta di un campione omogeneo sul territorio e ci offrono informazioni di grande utilità pratica, che ci vengono direttamente dalla percezione delle persone con HIV”.