Covid: terapia antitrombotica inutile per cure ambulatoriali


Covid: nei pazienti ambulatoriali stabili ma sintomatici la terapia antitrombotica non è necessaria. Dati inattesi ma rassicuranti dallo studio ACTIV-4b

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La terapia antitrombotica non offre un beneficio ai pazienti ambulatoriali clinicamente stabili ma sintomatici affetti da COVID-19. È quanto emerge dai risultati dello studio ACTIV-4b, pubblicati online su “JAMA”.

Né l’acido acetilsalicilico né apixaban – a dosi profilattiche o terapeutiche – hanno ridotto quelli che erano già tassi molto bassi di esiti avversi maggiori cardiopolmonari rispetto al placebo, ed entrambi hanno aumentato modestamente il sanguinamento, riferiscono i ricercatori guidati da Jean Connors, del Brigham and Women’s Hospital di Boston, sotto la supervisione dell’autore senior Paul Ridker, della stessa struttura nosocomiale.

Possibili spiegazioni dei risultati inaspettati
Il risultato era inatteso, ammettono gli autori, perché si pensava che i trattamenti avrebbero contrastato gli altissimi tassi di trombosi arteriosa e venosa osservati nel contesto dell’infezione acuta da SARS-CoV-2 nelle prime fasi della pandemia.

Il motivo per cui ciò non è stato riscontrato è probabilmente da porre in correlazione ai cambiamenti nella tipologia dei pazienti colpiti dal virus con il progredire della pandemia, suggeriscono Ridker e colleghi.

Per esempio, la prima ondata di infezioni ha colpito principalmente individui più anziani con molte comorbilità, con picchi successivi che hanno coinvolto pazienti sempre più giovani con minori caratteristiche ad alto rischio. Inoltre, la soglia di gravità per l’ammissione ospedaliera dei pazienti con COVID-19 è scesa nel tempo, il che a sua volta ha abbassato il profilo di rischio – e i tassi degli eventi – di coloro i quali sono rimasti in regime ambulatoriale.

In questo contesto, il risultato di ACTIV-4b è molto rassicurante ed «è quello che chiameremmo un risultato neutrale molto informativo» affermano Ridker e collaboratori. I medici sono ‘bloccati’ dal problema relativo a come comportarsi con i pazienti ambulatoriali sintomatici con COVID-19, sostengono gli autori, sottolineando come questo trial rappresenti uno degli esempi in cui si è imparato nel modo più “duro” che forse “less is more”» (cioè fare di meno è meglio).

Un caveat importante, aggiungono, risiede nel fatto che c’era un sottogruppo di pazienti (il 3,3% di quelli randomizzati) che sono stati ricoverati in ospedale per COVID-19 prima di ricevere il trattamento.

«Per questo piccolo gruppo di persone si deve essere molto vigili perché hanno bisogno di essere ospedalizzate» sottolineano, osservando che durante la fase attuale della pandemia tale gruppo è costituito principalmente da persone immunocompromesse o che non sono state vaccinate.

Reclutamento interrotto anticipatamente per bassi tassi di eventi
Il partenariato pubblico/privato ACTIV stato lanciato dal governo federale degli Stati Uniti nell’aprile 2020 per stimolare lo sviluppo di vaccini e terapie per COVID-19. Una serie di studi sono stati avviati per valutare gli approcci antitrombotici in diverse fasi della malattia, tra i quali l’ACTIV-4a volto a studiare i pazienti ospedalizzati e il trial ACTIV-4c, in corso, che studia i pazienti dopo la dimissione ospedaliera.

L’ACTIV-4b, in ogni caso, può essere il più rilevante per la cura del paziente, perché la stragrande maggioranza degli individui con COVID-19 non richiede il ricovero in ospedale, rilevano gli autori.

Lo studio si era prefissato di arruolare 7.000 pazienti ambulatoriali con COVID-19 clinicamente stabile ma sintomatico in 52 centri negli Stati Uniti, anche se è stato interrotto in anticipo a causa di tassi di eventi inferiori al previsto dopo che sono stati reclutati solo 657 pazienti (età media: 54 anni; 59% donne). I partecipanti sono stati randomizzati in quattro gruppi per 45 giorni di trattamento con:

  • placebo;
  • acido acetilsalicilico 81 mg/die;
  • apixaban in dose profilattica da 2,5 mg due volte al giorno;
  • apixaban  in dose terapeutica da 5,0 mg due volte al giorno.

L’endpoint primario era un composito di mortalità per tutte le cause, tromboembolia venosa o arteriosa sintomatica, infarto miocardico, ictus o ricovero ospedaliero per cause cardiovascolari (CV) o polmonari a 45 giorni.

Dopo l’aggiudicazione nei 558 pazienti che hanno iniziato il trattamento, sono stati osservati solo tre eventi endpoint nei quattro gruppi: un ricovero cardiopolmonare con apixaban a dose profilattica e due con apixaban a dose terapeutica. I tassi degli eventi non differivano tra i bracci dello studio.

Il rischio di qualsiasi evento emorragico era più alto in tutti e tre i gruppi di trattamento rispetto al placebo, sebbene la differenza raggiungesse la significatività solo per la dose terapeutica di apixaban. Non ci sono stati sanguinamenti maggiori nel trial.

«Il basso tasso di eventi e i risultati neutri in questo studio non devono essere interpretati come suggestivi del fatto che i pazienti ambulatoriali con COVID-19 non richiedono cure mediche stringenti» scrivono Connors e colleghi.

«Come riportato, il 3,3% dei soggetti randomizzati è diventato clinicamente instabile e ha richiesto il ricovero ospedaliero durante un periodo mediano di 3 giorni prima che la somministrazione del farmaco in studio potesse essere avviata. Due di questi pazienti sono morti per insufficienza respiratoria correlata al COVID durante il periodo di osservazione di 45 giorni e un altro è deceduto durante il successivo follow-up di sicurezza di 30 giorni» evidenziano.

Poiché questi individui ospedalizzati non hanno iniziato la terapia in studio, questi risultati non affrontano la questione se l’inizio anticipato della terapia profilattica antitrombotica avrebbe giovato a questo piccolo sottogruppo di pazienti, aggiungono.

Ridker e colleghi hanno infine evidenziato la difficoltà di esecuzione di uno studio come ACTIV-4b in cui quasi tutti i contatti tra ricercatori e partecipanti sono stati effettuati virtualmente per garantire la sicurezza da entrambe le parti: un elemento importante, questo, a cui pensare mentre si procede con altri studi clinici.

Molteplici implicazioni per la ricerca futura
In un editoriale di commento, Otavio Berwanger, dell’Hospital Israelita Albert Einstein di São Paulo (Brasile), rileva alcune limiti dello studio, tra cui i bassi tassi di eventi e il fatto che pochi partecipanti sono stati infettati dalla variante Delta o sono stati vaccinati, il che suscita dubbi sulla generalizzabilità rispetto alla situazione attuale.

Tuttavia, afferma, «i risultati dello studio possono aiutare a prendere decisioni di trattamento nella pratica clinica. Dati i risultati nulli per i principali eventi CV e polmonari» prosegue «attualmente l’uso di acido acetilsalicilico o apixaban per pazienti ambulatoriali sintomatici ma stabili con COVID-19 non sembra giustificabile».

Oltre a ciò, i risultati forniscono informazioni utili per futuri studi di pazienti ambulatoriali con COVID-19, scrive Berwanger, osservando che almeno 10 trial randomizzati stanno valutando una varietà di terapie antipiastriniche e anticoagulanti in questo gruppo di pazienti.

I tassi di eventi inferiori al previsto nell’ACTIV-4b secondo Berwanger «dovrebbero spingere i comitati direttivi e i comitati indipendenti di monitoraggio dei dati degli studi in corso a rivedere questioni come il potere statistico, le scelte degli esiti, la fattibilità del reclutamento e persino la futilità».

L’editorialista evidenzia inoltre la necessità di eseguire studi randomizzati per stabilire l’utilità delle terapie, anche durante un’emergenza di salute pubblica, indicando il programma ACTIV come «dimostrazione che tali studi collaborativi sono fattibili nonostante le molteplici sfide associate a una pandemia come quella da COVID-19».

«Un elemento chiave per il successo di queste iniziative è legato al loro disegno di studio innovativo, pragmatico e decentralizzato» afferma Berwanger.

«In questo senso, caratteristiche come i contatti minimi di persona, il consenso informato elettronico, la spedizione diretta del farmaco in studio alle case dei partecipanti e i risultati riportati dai pazienti consentono una condotta di sperimentazione più efficiente. Inoltre, il decentramento amplia l’accesso agli studi per raggiungere una popolazione più vasta e diversificata» conclude.

Bibliografia:
Connors JM, Brooks MM, Sciurba FC, et al. Effect of Antithrombotic Therapy on Clinical Outcomes in Outpatients With Clinically Stable Symptomatic COVID-19: The ACTIV-4B Randomized Clinical Trial. JAMA. 2021 Oct 11. doi: 10.1001/jama.2021.17272. [Epub ahead of print] Link

Berwanger O. Antithrombotic Therapy for Outpatients With COVID-19: Implications for Clinical Practice and Future Research. JAMA. 2021 Oct 11. doi: 10.1001/jama.2021.17460. [Epub ahead of print] Link