Dieta chetogenica: va fatta solo con la guida di un esperto


Dieta chetogenica: pochi carboidrati spengono infiammazioni e contrastano emicrania e ovaio policistico ma va seguita sotto la guida degli esperti

La dieta chetogenica sembra dare benefici per diabete e obesità secondo uno studio indiano: possibile efficacia anche per altre patologie

Una corretta alimentazione non è solo sinonimo di bellezza ma soprattutto di salute. Per indagare in particolare un certo tipo di schema alimentare, quello della dieta chetogenica di cui si sente molto parlare ma che va usato sotto la guida di un esperto, l’agenzia di stampa Dire (www.dire.it) ha intervistato il professor Giovanni Spera, endocrinologo e professore Ordinario di Medicina Interna e Presidente del Comitato Etico Sapienza Università di Roma, Presidente della Società Italiana per lo Studio dei Disturbi del Comportamento Alimentare (SISDCA).

– Sappiamo quanto la cura dell’alimentazione sia centrale per il benessere dell’individuo. In particolare quanto è importante la scelta degli alimenti per disinnescare le infiammazioni. E di conseguenza quali sono i cibi che combattono l’infiammazione e perché? E per quale patologie questo protocollo è indicato?

“La scelta del modello alimentare è importante. In particolare per spegnere le infiammazioni possiamo far riferimento al protocollo che riguarda l’uso delle diete chetogeniche ossia qualunque scelta alimentare che comporta la riduzione dell’apporto calorico quotidiano e l’eliminazione di alcuni cibi che sono considerati più ‘infiammatori’ come gli alimenti grassi, eccessivamente proteici o eccessivamente ricchi di carboidrati soprattutto gli zuccheri semplici.

– Come fare a ridurre quindi l’infiammazione?

“Le diete chetogeniche caratterizzate da un basso apporto calorico e a bassissimo apporto di carboidrati, inducendo la chetosi cioè uno stato fisiologico, hanno come effetto una azione antinfiammatoria. Ce ne sono normo caloriche ed altre che posseggono un alto apporto calorico ma che vantano in ogni caso una bassa quota di carboidrati. L’obiettivo in entrambi è esercitare l’azione antifiammatoria”.

 Come si articola nella pratica questo tipo di dieta, a chi è rivolta, per quanto tempo può essere seguita dal paziente sotto attento monitoraggio del medico? No al ‘fai da te’?

“Le diete chetogeniche sono diventate molto alla moda perché, sulla base di studi clinici e scientifici, si è visto che questi modelli riescono a correggere l’insulino resistenza e quindi il diabete e in più riescono a far dimagrire facilmente. Questo perché possono essere seguite con facilità e il paziente non sente un forte senso di fame. Ecco perché soprattutto sul web si è diffusa una corsa ad applicare liberamente tali diete chetogeniche anche per tempi illimitati e farne uno stile di vita. Questo non è corretto poiché uno strumento, come questo modello alimentare, è prezioso va usato con parsimonia e soprattutto deve essere gestito sotto il controllo di uno specialista che sa quello che fa. Questo è un appello che faccio perché la distorsione nell’applicazione di questo modello, che invece va impiegato per brevi periodi, è scorretto”.

– Quest’ultima si pone come rimedio, in combinazione presumo con altri protocolli terapeutici, ad altre patologie quali l’emicrania, l’epilessia e l’ovaio policistico. È così? Può dare dei riferimenti utili a chi ci sta seguendo e magari è affetto da una di queste problematiche?

“Sono in corso degli studi ad ampio raggio proprio su questi temi soprattutto in merito ad uno studio multicentrico e di recente pubblicazione sulla rivista ‘Nutriens’, che indaga sull’applicazione della dieta chetogenica in patologie come l’emicrania e la cefalea cronica. Il razionale di questo studio su tale dieta chetogenica è legato al fatto che i chetoni, prodotti dall’utilizzo dei grassi come substrato energetico al posto del glucosio, resettano in qualche modo le cellule cerebrali. Elemento conosciuto dal 1920 tanto che tale sistema alimentare veniva usato per curare l’epilessia, resistente ai farmaci, dei piccoli pazienti. Su questa scorta si vuole vedere se tale ‘reset’ è in grado di curare altre patologie. È chiaro ripeto che la dieta chetogenica non deve essere seguita in modo sconsiderato e autonomo dal paziente. Proprio per questo presto arriveranno delle linee guida in tutti i centri che si occupano di cefalea ed emicrania per l’applicazione corretta di questo schema alimentare. Anche rispetto alle altre patologie citate sono tutte applicazioni che stanno dando un buon riscontro in letteratura scientifica ma vanno sempre applicati con prudenza visto che è un mondo tutto nuovo che si apre ma che merita di essere ancora approfondito”.

– Alimentazione e Covid: è vero che c’è un nesso tra il grasso viscerale ed effetti più severi del virus? Quali consigli si sente di dare su questo aspetto, rivolti non solo al grande obeso ma chi anche è in leggero sovrappeso?

“Anche su questo versante sono stati pubblicati lavori interessanti durante il periodo pandemico che hanno dimostrato che le persone giovani, che si sono ammalate e poi morte per l’infezione da Covid-19 nella prima ondata, erano prevalentemente soggetti obesi e in forte sovrappeso. Poi è stato specificato come tali pazienti possedessero una quota molto alta di grasso viscerale. Questo è sinonimo di quel processo d’infiammazione di cui abbiamo parlato prima dell’organismo. Come detto le diete chetogeniche riducono l’infiammazione e agiscono sul microbioma ovvero il batterio intestinale e coaudiuvano la capacità di risposta del sistema immunitario. Cosa che si sapeva già ma che è stata rinforzata ancora attraverso questi studi. Sono stati pubblicati anche altri studi- aggiunge Spera- ai quali ha partecipato anche il professor Matteo Bassetti nati dall’applicazione di un protocollo di diete normocalorica ma chetogenica a pazienti covid ricoverati, che abbattendo i carboidrati introdotti quotidianamente, erano in grado di ridurre il peggioramento dei sintomi dell’infezione e di conseguenza riducevano il ricovero nei centri di terapia intensiva rispetto al resto dei pazienti Covid positivi che però non avevano seguito tale protocollo alimentare. Un elemento suggestivo che vale la pena di studiare. Sicuramente il rapporto tra infiammazione, sistema immunitario e microbioma è una ‘matassa’ che incominciamo a ‘sbrogliare’ in questo periodo e che vale la pena approfondire perché aprirebbe la strada all’applicazione di un nuovo strumento terapeutico”.