Tumore al polmone rallentato da bevacizumab ed erlotinib


Cancro polmonare non a piccole cellule EGFR-mutato, bevacizumab aggiunto a erlotinib ritarda la progressione secondo un nuovo studio

Cancro polmonare non a piccole cellule EGFR-mutato, bevacizumab aggiunto a erlotinib ritarda la progressione secondo un nuovo studio

Nel trattamento di prima linea dei pazienti con carcinoma polmonare non a piccole cellule non squamoso, portatore di mutazioni di EGFR, l’aggiunga dell’anti-angiogenetico bevacizumab a erlotinib conferma di fornire un significativo beneficio di sopravvivenza libera da progressione (PFS) rispetto alla monoterapia con erlotinib. Lo evidenzia l’analisi finale dei dati dello studio di fase 3 BEVERLY (NCT02633189), presentata al congresso ESMO 2021.

I dati hanno mostrato che a un follow-up mediano di 36 mesi, la PFS mediana valutata dagli sperimentatori nel braccio trattato con bevacizumab più erlotinib è risultata di 15,4 mesi (IC al 95% 12,2-18,6) rispetto a 9,6 mesi (IC al 95% 8,2-10,6) nel braccio di controllo, trattato con erlotinib da solo [hazard ratio (HR) aggiustato 0,66; IC al 95% 0,47-0,92; P = 0,015).

Questi dati sono stati confermati nell’analisi centralizzata effettuata da revisori indipendenti in cieco (BICR), in base alla quale il trattamento con la doppietta ha determinato una PFS mediana di 14,8 mesi (IC al 95% 12,0-18,3) rispetto a 9,6 mesi (IC al 95% 7,1-10,6) con la monoterapia (HR aggiustato 0,68; IC al 95% 0,48-0,96; P = 0,027).

«La differenza statisticamente significativa è stata confermata in un’ analisi multivariata di Cox, nella quale i dati sono stati aggiustata in base a età, sesso, performance status ECOG, storia di fumo e tipo di mutazione», ha spiegato l’autrice principale dello studio, Maria Carmela Piccirillo, dell’Istituto Nazionale Tumori Fondazione ‘G. Pascale’ IRCCS, di Napoli.

Il background dello studio
L’angiogenesi tumorale è nota per essere un potenziale meccanismo di resistenza agli inibitori delle tirosin chinasi (TKI) nei pazienti con tumore del polmone non a piccole cellule i cui tumori presentano mutazioni dell’EGFR. I risultati di studi precedenti hanno indicato che l’aggiunta di anticorpi monoclonali anti-VEGF, come bevacizumab, ai TKI come erlotinib può prolungare la PFS.

«I dati di uno studio giapponese di fase 2 hanno mostrato che la combinazione di bevacizumab ed erlotinib ha determinato una PFS mediana di 16,0 mesi rispetto a 9,7 mesi con il solo erlotinib (HR 0,54; IC al 95% 0,36-0,79) in questa popolazione di pazienti. Questi dati ci hanno indotto alla realizzazione dello studio di fase 3 BEVERLY», ha spiegato Piccirillo.

Lo studio BEVERLY
Lo studio BEVERLY ha arruolato un totale di 160 pazienti, di cui 80 assegnati a erlotinib e 80 assegnati a bevacizumab più erlotinib; questi pazienti rappresentavano la popolazione intention-to-treat (ITT) per l’efficacia. Un totale di 79 pazienti nel braccio di controllo e 80 pazienti nel braccio sperimentale hanno costituito la popolazione ITT per la valutazione della sicurezza.

Sono stati inclusi pazienti di età pari o superiore a 18 anni con tumore del polmone non a piccole cellule con istologia non squamosa in stadio IV o IIIB, con mutazioni dell’EGFR e un performance status ECOG da 0 a 2. Criteri di esclusione erano la presenza di un tumore portatore della mutazione EGFR T790M e di inserzioni nell’esone 20, la presenza di una componente squamosa, di metastasi cerebrali e di patologie concomitanti, alterazioni dei parametri di laboratorio o uso concomitante di farmaci controindicati per entrambi gli agenti in studio.

I partecipanti sono stati suddivisi in modo casuale in rapporto 1:1 e trattati con erlotinib per os a una dose giornaliera di 150 mg più bevacizumab 15 mg/kg per via endovenosa ogni 21 giorni oppure con erlotinib da solo alla stessa dose.

Il follow-up mediano è stato di 36 mesi. Il trattamento è stato somministrato fino alla progressione della malattia, al manifestarsi di una tossicità intollerabile o alla decisione del paziente o del medico di interromperlo.

I fattori di stratificazione includevano il punteggio del performance status (da 0 a 1 vs 2), e il tipo di mutazione (delezione dell’esone 19 vs 21 L858R vs altre)

L’endpoint primario dello studio era la PFS. Altri endpoint includevano la sopravvivenza globale (OS), la qualità della vita (QoL), il tasso di risposta obiettiva (ORR) secondo gli sperimentatori, secondo la BICR e in conformità con i criteri RECIST v1.1, e la sicurezza.

Caratteristiche dei pazienti
L’età mediana dei partecipanti era di 67 anni (range: 59,5-73,0) e il 63,8% dei pazienti era di sesso femminile. Inoltre, il 51,9% dei pazienti non era mai stato fumatore e il resto era ex o attuale fumatore.

La maggior parte dei pazienti (61,9%) aveva un performance status ECOG pari a 0, seguito da 1 (34,4%) e 2 (3,8%).

Per quanto riguarda il tipo di mutazione di EGFR, il 55% presentava una delezione dell’esone 19, il 41,3% la mutazione L858R dell’esone 21 e il 3,8% aveva un’altra mutazione.

Inoltre, il 95% percento dei pazienti aveva una malattia in stadio IV e il restante 5% aveva una malattia in stadio IIIB.

Dati di efficacia dello studio
Al di là del beneficio significativo di PFS,  il trattamento con la doppietta si è associato a un aumento numerico dell’OS rispetto alla monoterapia, con una mediana di 33,3 mesi (IC al 95% 24,3-45,1) contro 22,8 mesi (IC al 95% 18,3-33,0), rispettivamente (HR aggiustato 0,72; IC al 95% 0,47-1,10; P = 0,132); tuttavia, ha riferito Piccirillo, la differenza fra i due bracci non ha raggiunto la significatività statistica.

«Il beneficio dell’aggiunta di bevacizumab è stato confermato in tutti i sottogruppi», ha detto l’autrice. «Inoltre, abbiamo riscontrato un’interazione significativa tra l’effetto del trattamento e l’anamnesi di tabagismo, con un effetto maggiore dell’aggiunta di bevacizumab in pazienti che erano ex o attuali fumatori al momento della diagnosi». Infatti, l’HR per la PFS in questo sottogruppo è risultato pari a 0,49 (IC al 95% 0,28-0,82; P = 0,0323) e l’HR per l’OS pari a 0,41 (IC al 95% 0,21-0,80; P = 0,0077).

La combinazione fra i due farmaci ha migliorato in modo significativo anche il tasso di risposta. Infatti, l’ORR valutato dallo sperimentatore è risultato pari al 70,0% (IC al 95% 60,0-80,0) con bevacizumab più erlotinib contro 50,0% (IC al 95% 39,0-60,9) con erlotinib da solo (P = 0,01). Tra i responder nel braccio trattato con la combinazione, l’1,3% ha avuto una risposta completa, il 68,8% una risposta parziale e il 22,5% una stabilizzazione della malattia. Inoltre, il 7,5% ha avuto una progressione della malattia.

L’ORR è risultato più elevato con la doppietta rispetto al solo erlotinib anche secondo la valutazione centralizzata: 71,3% (IC al 95% 61,3-81,2) contro 53,8% (IC al 95% 42,8-64,7) (P = 0,02).

Per quanto riguarda la QoL, il 60,0% dei pazienti del braccio bevacizumab più erlotinib ha avuto una migliore risposta dello stato di salute globale rispetto al 49,3% di quelli del braccio di controllo (P = 0,14). Sebbene i pazienti nel braccio trattato con la doppietta abbiano avuto esiti leggermente migliori, non è stata rilevata alcuna differenza significativa in nessuno degli elementi della QoL esaminati nello studio.

Il profilo di scurezza dei trattamenti
In termini di sicurezza, gli effetti avversi riportati più frequentemente nel braccio bevacizumab più erlotinib sono stati diarrea (gradi 0-2: 95,0%; grado 3 o superiore: 5,0%), affaticamento (grado 3 o superiore: 6,3,), innalzamento dell’aspartato aminotransferasi (AST) (gradi 0-2: 98,8%; grado 3 o superiore 1,3%), proteinuria (gradi 0-2: 93,8%; grado 3 o superiore: 6,3%), ipertensione (gradi 0-2: 76,3%; grado 3 o superiore: 23,8%,), evento tromboembolico (gradi 0-2: 95,0%; grado 3 o superiore 5,0%) ed eruzione cutanea (gradi 0-2: 66,3%; grado 3 o superiore: 33,8%).

Nel braccio erlotinib da solo, l’effetto più comune di grado 0-2 è stato l’affaticamento (100%), seguito dalla proteinuria e gli eventi tromboembolici (entrambi 98,7%), la diarrea (96,2%), l’aumento dell’AST e l’ipertensione (entrambi 94,9%) e il rash cutaneo (83,5%). Gli effetti di grado 3 o superiore riportati in questo braccio sono stati rash (16,5%), aumento dell’AST e ipertensione (5,1% ciascuno), diarrea (3,8%), proteinuria ed eventi tromboembolici (1,3% ciascuno).

Il commento degli autori
«Nello studio BEVERLY su pazienti italiani con carcinoma polmonare non a piccole cellule non squamoso e mutazioni di EGFR, l’aggiunta di bevacizumab a erlotinib di prima linea ha significativamente prolungato la PFS, e aumentato significativamente il tasso di risposta, ma non ha prolungato in modo significativo l’OS, non ha modificato la QoL e non ha prodotto problemi di sicurezza imprevisti», ha commentato Piccirillo.

«La combinazione bevacizumab più erlotinib potrebbe essere considerata come un’opzione terapeutica di prima linea nei pazienti che non possono ricevere osimertinib» ha concluso l’autrice.

Bibliografia
M.C. Piccirillo, et al. Bevacizumab + erlotinib vs erlotinib alone as first-line treatment of pts with EGFR mutated advanced non squamous NSCLC: Final analysis of the multicenter, randomized, phase III BEVERLY trial. Annals of Oncology (2021) 32 (suppl_5): S949-S1039. 10.1016/annonc/annonc729. Link