Diabete: la scelta del farmaco è una questione individuale


Diabete: uno studio di confronto ha dimostrato che le caratteristiche cliniche individuali possono essere utilizzate per guidare la scelta del farmaco

Diabete: uno studio di confronto ha dimostrato che le caratteristiche cliniche individuali possono essere utilizzate per guidare la scelta del farmaco

Uno studio di confronto fra tre farmaci ha dimostrato che le caratteristiche cliniche individuali, inclusa la preferenza del paziente, possono essere utilizzate per guidare la scelta del farmaco per trattare il diabete di tipo 2. I risultati del trial TriMaster sono stati presentati al congresso European Association for the Study of Diabetes (EASD).

TriMaster è uno studio crossover di fase IV, multicentrico, randomizzato, in doppio cieco e della durata di 12 mesi che ha esaminato gli effetti di sitagliptin, pioglitazone e canagliflozin come terapia di seconda o terza linea in un totale di 525 pazienti con diabete di tipo 2 che non avevano raggiunto i livelli glicemici target con metformina da sola o in combinazione con una sulfonilurea.

Mentre in generale tutti e tre i farmaci hanno ridotto i livelli di glucosio in modo simile, pioglitazone lo ha fatto in misura più efficace tra i pazienti con un indice di massa corporea (BMI) superiore a 30 kg/m2, mentre sitagliptin ha funzionato meglio nei soggetti con un BMI inferiore a 30. Di contro pioglitazone ha comportato un maggiore aumento di peso.

In un secondo confronto, l’SGLT2 inibitore canagliflozin si è dimostrato più efficace dell’inibitore della DPP-4 sitagliptin nel ridurre la glicemia tra i pazienti con una velocità di filtrazione glomerulare stimata (eGFR) superiore a 90 ml/min/1,73 m2, mentre sitagliptin è stato superiore rispetto a canagliflozin nel ridurre il glucosio tra gli individui con un eGFR di 60-90.

E quando ai partecipanti è stato chiesto quale farmaco preferivano, i risultati sono stati divisi quasi equamente tra i tre, in correlazione con l’efficacia del farmaco e il profilo degli effetti collaterali per ciascun individuo.

«Abbiamo dimostrato che un approccio di precisione ha funzionato utilizzando criteri clinici predefiniti per definire gruppi di pazienti in cui un farmaco è migliore di un altro. Questa è la prima prova in assoluto di un approccio di medicina di precisione nel diabete di tipo 2», ha affermato il ricercatore capo Andrew Hattersley, professore di medicina molecolare presso l’Università di Exeter, nel Regno Unito. «Tuttavia questi risultati non significano che tutti i pazienti con un BMI superiore a 30 dovrebbero essere trattati con pioglitazone o che tutti quelli con un eGFR di 60-90 dovrebbero assumere un inibitore DPP-4. La scelta del farmaco dovrà considerare altre priorità oltre alla glicemia. Ai pazienti con insufficienza cardiaca, malattie cardiovascolari e malattie renali croniche dovrebbero essere prescritti gli SGLT2 inibitori e alcuni pazienti dovranno evitare farmaci specifici a causa dei probabili effetti collaterali».

Qualche riserva sulla scelta di farmaci ormai datati
Caroline Kistorp, professore di endocrinologia presso lo University Hospital Copenhagen, in Danimarca, si è congratulata con i ricercatori ma non ha condiviso l’uso di pioglitazone nello studio, dato che non né più utilizzato in molte parti del mondo a favore di farmaci ipoglicemizzanti più moderni.

«Sto pensando agli agonisti del recettore GLP-1, soprattutto se si desidera trattare pazienti con diabete di tipo 2 obesi con un BMI superiore a 30. Riconosco che c’è un problema di costi, ma penso comunque che dovremmo provare a dare i nostri pazienti i migliori trattamenti, ecco perché non sono sicuro di quanto i tiazolidinedioni saranno usati in futuro, anche con questo studio» ha affermato.

Ha anche fatto notare la non inclusione degli esiti delle malattie cardiovascolari, per i quali la maggior parte degli inibitori SGLT2 ha mostrato benefici. «Dobbiamo discutere e considerare se l’emoglobina glicata (HbA1c) è il parametro più importante per questi pazienti, soprattutto considerando i loro esiti cardiovascolari».

I farmaci funzionano diversamente a seconda del tipo di paziente
Senza stratificazione per tipo di paziente, non è emersa alcuna differenza complessiva nella riduzione della HbA1c tra le tre terapie; tutte hanno raggiunto circa 59-60 mmol/mol (7,5%-7,6%) da una media basale di 69 mmol/mol (8,9%).

Dopo la stratificazione per BMI, la HbA1c era 1,48 mmol/mol più elevata con pioglitazone rispetto a sitagliptin nel gruppo con BMI <30 e 1,44 mmol/mol più basso con pioglitazone rispetto a sitagliptin nel gruppo con BMI >30, portando a una differenza complessiva significativa di 2,92 mmol/mol (p=0,003).

Con la stratificazione in base all’eGFR, la HbA1c era 1,74 mmol/mol più bassa con sitagliptin rispetto a canagliflozin nel gruppo 60-90 e più alto di 1,08 mmol/mol nel gruppo >90, per una differenza significativa di 2,83 mmol/mol (p=0,002).

«Quindi, se dovessimo trattare i pazienti con il farmaco ottimale in base alla loro stratificazione, questo porterebbe a un beneficio di circa 3 mmol/mol rispetto al trattamento con un altro farmaco», ha detto Beverley Shields dell’Università di Exeter, nel Regno Unito, che ha riportato i risultati al congresso.

In base al BMI non sono emerse differenze significative in basa al farmaco o alla stratificazione in termini di tollerabilità, definita come l’assunzione senza interruzioni per almeno 12 settimane, né nella percentuale di pazienti che hanno riportato almeno un episodio ipoglicemico. Tuttavia pioglitazone è stato associato a un aumento di peso più elevato in entrambi i gruppi BMI, con una differenza complessiva di 0,93 kg (p<0,001), anche se risultava maggiore nel gruppo con BMI più alto (1,9 vs 0,97 kg).

Allo stesso modo, per l’eGFR non c’erano differenze nella tollerabilità o negli episodi ipoglicemici tra sitagliptin e canagliflozin, come anche nel peso.