Immunità al Covid dipende dalle cellule di memoria


E’ nelle cellule di memoria che sta il segreto dell’immunità al Covid-19, mentre gli anticorpi scompaiono nel tempo: lo rivela un nuovo studio

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“Si parla della terza dose di vaccino e di vaccinare anche chi ha avuto il Covid ma non si parla delle cellule di memoria. Lì va ricercata l’immunità. Studi dimostrano la forza della memoria immunitaria contro il Cororonavirus”. Lo afferma Claudio Giorlandino, Direttore Scientifico dell’Istituto Clinico Diagnostico di Ricerca Altamedica.

Qual è la differenza tra “anticorpi circolanti”, che tendono a calare in modo significativo (IgG), e le “Cellule B” di memoria? “Le cellule B cosiddette mature sono le fabbriche della memoria immunitaria, sono quelle pronte a produrre nuovi anticorpi (classi M e soprattutto G) una volta che vengono a contatto con lo stesso antigene ed averlo riconosciuto. Un soggetto che ha una libreria di memoria contro un certo virus, per esempio il Covid perché lo ha già avuto o perché ha già fatto il vaccino, una volta che questo si ripresenta viene riconosciuto da “sentinelle” linfoidi circolanti (detti APC) e presentato alle librerie che, riconoscendolo, vanno in rapida proliferazione (una mitosi ogni 6-12 ore) nel centro germinativo dando vita a cloni di cellule B specifiche per quell’antigene virale. Così, nel giro di 24-48 ore, riprendono a produrre anticorpi trasformandosi, in parte, in plasmacellule (le cellule-fabbrica delle immunoglobuline specializzate), e ricaricando la “libreria” di nuove cellule B e T di memoria”, spiega il prof Giorlandino.

Secondo Giorlandino “le cellule B di memoria sono indipendenti dagli anticorpi circolanti, e hanno cicli di vita diversi.  Mentre, gli anticorpi “circolanti” hanno una emivita di 28 giorni, per cui a cicli di 28 giorni calano, le cellule B hanno altri tempi e possono durare anche per la vita attraverso cicli riproduttivi. Qui, posso fare un ragionamento per analogia, abbiamo esempi con Sars1 e Mers, e si è visto che queste cellule B ci sono sempre, anche a distanza di 17 anni sono state trovate”.

“Recentemente una delle più importanti case farmaceutiche che ha prodotto uno dei vaccini contro il Covid ha sponsorizzato uno studio dove ammetteva che l’immunità per la variante Delta era scesa i 5 volte nei vaccinati – ha aggiunto Giorlandino – In pieno conflitto di interessi però concludeva che tale calo era dovuto alla riduzione dell’immunità dopo il vaccino per la perdita di anticorpi. Non hanno cercato le cellule di memoria ma solo gli anticorpi, che certamente scendono. Se avessero cercato le cellule B di memoria le avrebbero trovate perché durano anni, decenni. Quindi se un individuo ha cellule di memoria non deve essere vaccinato ulteriormente”.

“I nostri studi sulle cellule di memoria Covid impiegano uno strumento il citometro a flusso (cell sorter) che è in grado di misurare contemporaneamente alcuni parametri morfologici derivanti dall’attraversamento di singole cellule da parte di un fascio di luce laser. Lo strumento è detto a flusso perché le cellule fluiscono velocemente e singolarmente attraverso il raggio di luce che le colpisce. Noi lo stiamo utilizzando per primi per riconoscere i linfociti B di memoria per la SARS-Cov2 – conclude l’esperto – ciò che bisogna fare per comprendere se l’immunità è presente, non è solo dosare gli anticorpi ma è bisogna dosare il linfociti B di memoria per il virus dal quale si è guariti o si è vaccinati”.