Pediatra come antenna sociale: la propost SIPPS


Pediatra antenna sociale: la proposta della SIPPS arriva dopo che la pandemia ha peggiorato la vita di molte famiglie e allentato di più le reti informali di sostegno

Pediatra antenna sociale: la proposta della SIPPS arriva dopo che la pandemia ha peggiorato la vita di molte famiglie e allentato di più le reti informali di sostegno

“Con il COVID-19 è diventato ancora più importante intercettare le difficoltà: ci sono un milione e 700mila famiglie in povertà assoluta, secondo l’ISTAT, e circa 1 milione di bambini vive in estrema povertà. Laddove c’è una difficoltà, le famiglie più numerose, quelle che hanno figli più piccoli e quelle che vengono dall’estero si trovano a sormontare difficoltà ancora più grandi. Per questa ragione, SIPPS ha proposto e rilanciato due volte nel giro di pochi mesi l’idea del pediatra come antenna sociale”. Lo ha detto al Congresso della Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale, Leo Venturelli, pediatra, responsabile per l’educazione e la comunicazione per SIPPS, nonché garante per i diritti dell’infanzia dell’adolescenza del Comune di Bergamo.

La proposta della SIPPS arriva in un momento in cui la pandemia ha peggiorato la vita di molte famiglie dal punto di vista economico e allentato di più le reti informali di sostegno, laddove queste ancora esistevano. Venturelli spiega, infatti, che il ruolo del pediatra come antenna sociale “non può essere svolto da solo. Proponiamo che il medico, oltre a svolgere i bilanci di salute, momenti chiave per lo sviluppo e il benessere del bambino, visitando i bimbi ma anche i genitori nel proprio studio, possa portare un contributo anche domiciliare con una rete funzionale a supporto sia sociale che di tutta la famiglia. Questo perché le patologie acute (tosse, febbre) non giustificano visite a domicilio se non in casi eccezionali- sottolinea- ma queste visite possono essere utili per intercettare difficoltà e problemi sociali. Il pediatra può essere coinvolto insieme ad altre figure, come l’infermiere di comunità o un operatore di home visiting che si rechi presso le famiglie. La nostra idea, già realizzata in Paesi come il Regno Unito, è quella di arrivare preventivamente alla chiamata dei genitori e ai bisogni di salute del bambino”.

Si tratterebbe di istituire un servizio universale per tutti i nuovi nati nel Comune, incrociando le banche dati dell’anagrafe e garantendo così la visita a domicilio di un operatore apposito, formato per intervenire: “Deve ascoltare, osservare l’ambiente, chiedere se ci sono problemi, informare la famiglia dei servizi sul territorio”, aggiunge Venturelli. In questo modo l’operatore è in grado di svolgere il ruolo di antenna sociale, comunicando anche ai servizi sociali i bisogni della famiglia, la necessità di un assegno familiare o di un servizio specifico. Le figure professionali che sono state individuate, attualmente già attive in alcune Regioni, sono l’ostetrica, ma soprattutto l’infermiere di comunità. L’ostetrica interviene spesso quando c’è già una necessità e agisce quindi su chiamata, mentre l’infermiere di comunità, figura introdotta dal decreto Rilancio del precedente governo, interviene sul territorio in modo preventivo. A dare una cornice di progettualità, struttura e anche di risorse economiche dovrebbe intervenire il Piano nazionale di ripresa e resilienza che, spiega Venturelli, “già prevede le case di comunità dove questi operatori possono fare riferimento e dove i genitori e i caregiver del bambino troveranno anche i pediatri di famiglia”.

L’idea che tutti questi servizi possano avere una referenza nella casa di comunità è un’evoluzione del servizio al territorio e alla persona, perché permette di dare alle famiglie risorse e risposte, anche fornendo supporto educativo, sociale e sanitario. Tutto questo può avvenire con il contributo del terzo settore, della Caritas, della Croce Rossa, per rafforzare quelle reti informali che sono venute meno negli ultimi anni. “Si deve passare da una medicina di attesa ad un’idea di partecipazione attiva sul territorio. Un passaggio fondamentale per tutto questo però- avverte Venturelli- è avere una banca dati, perché mantenere un servizio di questo tipo significa consentire alle famiglie di trovare gli operatori di home visiting. Ci vuole l’informazione e la comunicazione affinché tutto questo funzioni”, conclude.