Packtin lancia il packaging amico dell’ambiente


La startup Packtin utilizza sottoprodotti e scarti alimentari come le bucce di pomodoro o il pastazzo delle arance e li trasforma in nuovi materiali

Packtin lancia il packaging amico dell'ambiente

“Too good to waste” (troppo buoni per essere buttati) è il nome di una piattaforma tecno-scientifica che vuole valorizzare i cosiddetti scarti agroalimentari, come le bucce di pomodoro o il pastazzo delle arance, trasformandoli in nuove materie prime per l’industria alimentare. Il progetto è stato avviato da “Packtin”, startup di Reggio Emilia, e ha ottenuto il supporto finanziario del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali.

L’impianto pilota costruito a Reggio Emilia scompone questi sottoprodotti, estraendone fibre, vitamine e antiossidanti. L’obiettivo è quello di usarli per produrre rivestimenti per la frutta e la verdura fresca garantendo una serie di importanti benefici. Innanzitutto il nuovo packaging sarà commestibile, biodegradabile e facile da lavare. Sarà inoltre in grado di allungare la shelf-life del prodotto, cioè rallentarne il processo di maturazione e tenere alla larga i batteri, cosa che evita ulteriormente gli sprechi. Infine, consentirà di evitare trattamenti come la ceratura degli agrumi.

«Questi rivestimenti – spiega il co-fondatore di “Packtin”, Andrea Quartieri – migliorano la vita post-raccolta degli alimenti ortofrutticoli, che di solito durano pochi giorni. Il settore ortofrutticolo subisce grosse perdite lungo la filiera, dal campo alla tavola. La nostra tecnologia, allungando la vita a frutta e verdura, permette di migliorare la gestione del prodotto fresco in modo da ridurre gli sprechi durante le fasi di lavorazione, stoccaggio, trasporto, vendita e infine consumo».

Un’altra innovativa applicazione degli scarti alimentari è quella formulata da “Recover Ingredients”, uno spinoff dell’ISTEC-CNR, l’Istituto di Scienza e Tecnologia dei Materiali Ceramici. L’idea in questo caso è altamente tecnologica in quanto trasforma le lische di pesce in filtri solari, i gusci di molluschi in ingredienti per cosmetici e gli scarti di macellazione animale in fertilizzanti.

Anche questa esperienza nasce dalla volontà da un lato di combattere lo spreco alimentare ed dall’altro di ottimizzare le risorse, facendo di più con meno.
Secondo la Fao, un terzo del cibo prodotto viene perso o sprecato lungo la filiera che va dalla produzione al consumo: una prospettiva che è concretamente in aumento tanto che la percentuale potrebbe arrivare al 40% entro il 2030.