Studio Unimore: lo smog aumenta il rischio demenza


Smog e rischio demenza: studio italiano scopre stretta relazione tra polveri sottili e riduzione del volume dell’ippocampo, struttura cerebrale cruciale per la memoria

Smog e rischio demenza: studio italiano scopre stretta relazione tra polveri sottili e riduzione del volume dell'ippocampo, struttura cerebrale cruciale per la memoria

L’inquinamento atmosferico aumenta il rischio di demenza e indebolisce la memoria, dicono i risultati di uno studio Unimore. È stato condotto dai ricercatori del dipartimento di Scienze Biomediche, Metaboliche e Neuroscienze, che hanno pubblicato la prima meta-analisi dose-risposta mai realizzata in merito agli effetti dell’inquinamento atmosferico sull’ippocampo, la struttura cerebrale cruciale per la memoria e quindi per il decadimento cognitivo.

La prima autrice della ricerca è la 24enne modenese Erica Balbonilaureata in Fisica alla stessa Università di Modena e Reggio Emilia, è attualmente specializzanda in Fisica Sanitaria al Policlinico di Modena e assegnista di ricerca al dipartimento di Scienze Biomediche, Metaboliche e Neuroscienze (Bmn) nell’ambito del progetto ministeriale ‘Dipartimenti di Eccellenza 2018-2022’ (precedentemente coordinato dal prof Carlo Adolfo Porro, il rettore Unimore, ora è diretto dal collega Michele Zoli).

Lo studio, dal titolo “The association between air pollutants and hippocampal volume from magnetic resonance imaging” e in corso di pubblicazione sulla rivista internazionale “Environmental Research”, si è proposto dunque di valutare se l’inquinamento atmosferico da polveri sottili e da ossidi di azoto potesse influenzare negativamente il volume dell’ippocampo e di conseguenza le sue importantissime funzioni cognitive e di memoria, aumentando il rischio stesso di demenza.

I risultati ottenuti hanno evidenziato quindi come le polveri sottili e in particolare il cosiddetto particolato fine (PM2,5) siano associati ad “una significativa riduzione del volume di questa fondamentale struttura cerebrale”Assente, invece, viene descritta la relazione tra danni all’ippocampo e biossido di azoto, un altro noto inquinante delle sorgenti di combustione, incluso il traffico autoveicolare.

Comparando inoltre l’effetto dell’inquinamento atmosferico e dell’invecchiamento sulla riduzione di volume dell’ippocampo, gli autori Unimore come spiega la Dire (www.dire.it) hanno stimato come l’incremento dei livelli di inquinamento ambientale di 10 µg/m3 di PM2,5 determini “un effetto simile a quello esercitato da un anno di ‘età anagrafica’, permettendo quindi di individuare un effetto vero e proprio di invecchiamento precoce indotto da elevati livelli di inquinamento dell’aria esterna“. Di conseguenza, si tratta di un risultato che rende ancor più significativi gli effetti positivi sulla salute, ad esempio, dovuti agli interventi di mitigazione ambientale e sanità pubblica. “Tale effetto benefico della riduzione dell’esposizione alle polveri fini è apparso più marcato ad elevati livelli di inquinamento ambientale, evidenziando una relazione definibile sul piano statistico come non-lineare”, aggiungono ancora dall’ateneo emiliano.