Statine in prevenzione: i benefici superano i rischi


Utilizzo di statine in prevenzione primaria: il favorevole rapporto rischio/beneficio è confermato da una nuova meta-analisi

L'uso di statine tra i pazienti con insufficienza cardiaca è associato a un rischio inferiore del 16% di sviluppare il cancro rispetto ai non utilizzatori

È stata pubblicata sul “BMJ” una meta-analisi volta a valutare il bilancio danno/beneficio delle statine, il cui risultato dovrebbe placare le diffuse preoccupazioni sugli eventi avversi dei diffusi ipocolesterolemizzanti quando impiegati in prevenzione primaria, cioè in persone che non hanno già avuto un evento cardiovascolare (CV).

«Mano a mano che i pazienti invecchiano, i danni potenziali delle statine e di altri farmaci aumentano e in alcuni pazienti può succedere che i danni derivanti dal trattamento possano iniziare a superare i potenziali benefici» premettono i ricercatori, coordinati  da James Sheppard, dell’Università di Oxford (UK), autore senior dell’articolo. «Quindi, ci può essere qualche paziente che ha minore probabilità di voler assumere questo tipo di farmaci».

«Nella pratica clinica, peraltro, il problema per i medici è che non sanno davvero chi potrebbero essere questi pazienti» sottolineano gli autori «e al momento non ci sono grandi prove empiriche sugli esiti. In particolare, per le statine si è creata un’area piuttosto controversa in cui qualche studio sostiene che le statine hanno molti effetti collaterali e altri concludono che non ne hanno».

Lo studio di Sheppard e colleghi, tra cui Ting Cai (dello stesso Ateneo) quale autore principale, ha mostrato – con l’uso delle statine – riduzioni assolute pari a 19, 9 e 8% del rischio, rispettivamente, di infarto del miocardio (IM), ictus e morte CV.

Effetti collaterali come sintomi muscolari e disfunzione epatica erano «davvero molto rari e, da quello che abbiamo potuto vedere, certamente non erano allo stesso livello della quantità dei benefici che si ottengono assumendo una statina» affermano i ricercatori.

I risultati, in dettaglio
Per la meta-analisi, Sheppard e colleghi hanno incluso 62 studi sulle statine per un totale di oltre 120.000 pazienti senza storia di malattie CV i quali sono stati seguiti per una media di 3,9 anni.

Le statine sono state associate a maggiore rischio dei seguenti effetti collaterali:

  • sintomi muscolari auto-riportati (21 studi): OR 1,06; 95% IC 1,01-1,13;
  • disfunzione epatica (21 studi): OR 1,33; 95% IC 1,12-1,58;
  • insufficienza renale (8 studi): OR 1,14; 95% IC 1,01-1,28;
  • disturbi oculari (6 studi): OR 1,23; 95% IC 1,04-1,47.

Non hanno invece dimostrato di essere correlati all’uso di statine né disturbi muscolari clinicamente confermati né il diabete. D’altra parte, come già accennato, le statine hanno ridotto significativamente i rischi di IM (OR 0,72; IC 95% 0,66-0,78), ictus (OR 0,80; 95% IC 0,72-0,89) e morte CV (OR 0,83; 95% IC 0,76-0,91) rispettivamente in 22, 17 e 22 studi.

Tre interpretazioni dell’articolo
1) Gli autori: «dati obiettivi, utili a rassicurare il paziente»
«La popolazione che abbiamo esaminato era costituita da persone a basso rischio di eventi CV, quindi le possibilità di beneficiare di una statina erano più basse» rilevano Sheppard e colleghi. «In questa popolazione, si potrebbe pensare di essere più cauti nell’iniziare un trattamento con una statina».

«Quello che mostriamo nei risultati, però, è che in realtà i danni associati alle statine sono così piccoli che è comunque utile che siano assunte dal paziente anche se fosse a basso rischio di malattie CV» precisano.

Ciò che questa analisi non è stata in grado di mostrare, tuttavia, è quali pazienti hanno maggiori probabilità di sperimentare effetti collaterali e perché, aggiungono, affermando che è su questi aspetti che in futuro dovrebbe concentrarsi la ricerca.

I ricercatori concludono che «le statine erano associate a un piccolo aumento del rischio di sintomi muscolari auto-riportati, disfunzione epatica, insufficienza renale e condizioni oculari in pazienti senza storia di malattie CV».

«Questi effetti avversi» proseguono «sono stati lievi rispetto ai potenziali benefici del trattamento con statine nella prevenzione dei principali eventi CV, suggerendo che il bilancio danno/beneficio delle statine per la prevenzione primaria delle malattie CV è generalmente favorevole».

«Sfortunatamente» aggiungono «molti pazienti (a torto o a ragione) hanno idee preconcette sul trattamento con statine e sui danni potenziali, tali da impedire loro di accettare la loro prescrizione quando proposta» rilevano. «Respingere queste idee e dire che i danni non sono importanti pensiamo sia inutile».

«Nel nostro documento, riconosciamo invece che questi effetti collaterali sono reali, ma anche lievi e molto rari. Crediamo che questi dati siano utili per i medici nel counselling con i pazienti che provano ansia nell’iniziare un trattamento con statine, consentendo di rassicurarli sul fatto che i potenziali effetti collaterali sono molto piccoli e superati dai potenziali benefici».

2) Un cardiologo esperto: «posizione troppo morbida e controproducente»
Questo nuovo articolo presenta una posizione troppo morbida e può quindi avere l’effetto involontario di riaprire un dibattito che molti medici da tempo hanno considerato chiuso, osserva un importante cardiologo non coinvolto nello studio, Steven Nissen, della Cleveland Clinic (Ohio).

La meta-analisi di Sheppard e colleghi, afferma, «fa un grave disservizio alla medicina basata sull’evidenza» perché i ricercatori non si sbilanciano abbastanza nella loro dicitura del titolo e nelle conclusioni per promuovere l’uso delle statine. «Quello che mi preoccupa è che, quando si legge uno studio “strano” di questo tipo, si ha davvero l’effetto di far diventare più caute le persone che sono già un po’ prevenute sulle statine» sottolinea.

«Penso invece che dovremmo essere più aggressivi nel prescrivere questi farmaci, perché sappiamo che il colesterolo-LDL è in realtà fortemente associato alla morbilità e alla mortalità» sostiene. «In generale, leggendo attentamente il manoscritto, gli autori dicono che i benefici effettivamente superano i danni, ma in realtà stanno dando eccessiva enfasi a questi ultimi, che non sono importanti» chiarisce.

Nissen mette anche in discussione il termine “disfunzione epatica” utilizzato nello studio, definita solitamente come un aumento della concentrazione sierica di aspartato o alanina transaminasi a livelli alti più di tre volte il limite superiore della norma o di altri disturbi epatici diagnosticati.

«In realtà con le statine c’è solo un modesto aumento degli enzimi epatici che non porta mai alla disfunzione epatica» afferma. «Quindi non si tratta di ‘disfunzione epatica’ ma di un aumento enzimatico isolato».

In definitiva, dire che le statine sono «generalmente favorevoli» è «una dichiarazione di sostegno terribilmente debole» afferma Nissen. «È semplicemente bizzarro che gli autori concludano che non c’è chiaramente un beneficio rispetto a un danno».

3) Gli editori di “BMJ”: «uno strumento per scelte più informate nel counselling»
Per conto degli editori di “BMJ”, l’editore associato Joseph Ross, della Yale School of Medicine di New Haven (Connecticut), fa sapere che «si è presa la decisione di pubblicare questo studio perché rimane un’incertezza eccezionale sul rischio di eventi avversi attribuibili alle statine quando utilizzate per la prevenzione primaria delle malattie CV».

«Al contrario, ci sono stati ampi studi che ne esaminano i benefici» continua. «La nostra speranza è che, dato che gli autori hanno fornito le prove dei rischi insieme all’evidenza dei benefici, facendo del loro meglio per condurre una meta-analisi della letteratura utilizzando molteplici approcci metodologici, i pazienti e i loro medici di medicina generale possono fare scelte più informate sull’uso delle statine in prevenzione primaria».

Cai T, Abel L, Langford O, Monaghan G, et al. Associations between statins and adverse events in primary prevention of cardiovascular disease: systematic review with pairwise, network, and dose-response meta-analyses. BMJ. 2021;374:n1537. doi: 10.1136/bmj.n1537.
leggi