Lupus: anticorpi antinucleari non sono l’unica causa


Uno studio inglese ha dimostrato che sono necessari altri fattori, oltre la positività agli anticorpi antinucleari, per predire l’insorgenza di lupus

Uno studio inglese ha dimostrato che sono necessari altri fattori, oltre la positività agli anticorpi antinucleari, per predire l'insorgenza di lupus

I risultati di uno studio inglese, presentati nel corso del congresso Eular, hanno dimostrato che sono necessari altri fattori, oltre la positività agli anticorpi antinucleari (ANA) per predire l’insorgenza di lupus.

Lo studio presentato ha preso le mosse dall’osservazione che, in letteratura, alcuni lavori pubblicati sull’autoimmunità pre-clinica possono essere in grado di rivelare la presenza di variazioni a carico del sistema immunitario che innescano o, al contrario, prevengono l’insorgenza di malattia clinica.

Obiettivi e disegno dello studio
In uno studio precedentemente pubblicato dalla stessa equipe di ricerca, i ricercatori avevano analizzato i dati di una coorte di pazienti con positività agli ANA; di questi individui, solo il 16% era progredito a lupus a malattia di Sjogren.

Non solo: in un altro studio, gli stessi autori hanno anche dimostrato che i soggetti con positività agli ANA che non sviluppano autoimmunità clinica, presentano un deficit funzionale delle cellule dendritiche plasmacitoidi (pDC), responsabili della produzione di interferoni di tipo I, nonché una produzione di interferoni non ematopoietica.

Lo scopo dello studio presentato al Congresso, pertanto, è stato quello di analizzare l’immunofenotipo degli individui tendenti o meno a sviluppare malattia rispetto a quello di volontari sani.

Di disegno osservazionale e prospettico longitudinale, lo studio ha preso in considerazione 150 individui della coorte succitata e li ha sottoposti ad un follow-up della durata complessiva di 3 anni.

Gli individui che soddisfacevano i criteri di classificazione per le connettiviti autommuni (AI-CTD) durante il follow-up erano classificati come “progressor” mentre gli altri “non-progressor”. Tra questi ultimi, quelle che non soddisfacevano nessun criterio clinico diagnostico durante tutto il follow-up erano definiti come “absolute non-progressors”.
Per misurare i valori al basale dei biomarcatori, i ricercatori hanno fatto ricorso alla citometria a flusso.

Risultati principali
Dall’analisi dei dati è emerso che, nel corso del triennio, molti individui che non avevano sviluppato LES si caratterizzavano, tuttavia, per alcuni biomarcatori ematici che erano differenti da quelli osservati negli individui con sieronegatività ANA (controlli). Ciò, dunque, suggerisce che la sieropositività ANA, da sola, è insufficiente allo sviluppo di LES, oppure che altri meccanismi potrebbero tenere sotto controllo la malattia.

Entrando più in dettaglio, i “progressor” hanno mostrato, secondo le attese, differenze immunologiche rispetto ai controlli sani. La cosa un po’ sorprendente è stata, invece, che anche i “non-progressor” differivano in modo significativo dai controlli sani in relazione all’interferon score A, alla percentuale di cellule T CD4, alla percentuale di cellule B naive e alla percentuale di quelle “memoria”.

Infine, è emerso che il gruppo dei “non-progressor” aveva sviluppato alcuni sintomi  che destavano qualche preoccupazione (anche se non si poteva parlare di lupus conclamato).

Riassumendo
I risultati sono molto intriganti e necessitano di conferme. Nel commentarli, i ricercatori hanno espresso l’auspicio di identificare le caratteristiche dei pazienti che progrediscono tardivamente verso la condizione di malattia.

Questa informazione potrebbe essere di aiuto ai medici per consigliare i loro pazienti sui rischi che corrono, sottoponendoli ad un attento follow-up.

Gli autori dello studio hanno riferito di lavorare attualmente allo sviluppo di un modello di valutazione del rischio che possa includere le caratteristiche demografiche dei pazienti, i sintomi e i dati relativi ai biomarcatori per guidare le scelte cliniche.

Al contempo, stanno continuando a studiare l’immunologia di questi pazienti, con la speranza di comprendere quali meccanismi possano essere in grado di prevenire che la maggior parte degli individui ANA-positivi sviluppi il LES.