Dell’ammasso stellare Palomar 5 resteranno solo buchi neri


Tempo un miliardo di anni e là dove oggi c’è l’ammasso stellare noto come Palomar 5 non resterà che qualche decina di buchi neri

l’ammasso stellare noto come Palomar 5

Guardando verso l’alone galattico in direzione della costellazione del Serpente è possibile scorgere, a circa 80mila anni luce da noi, un ammasso globulare di nome Palomar 5. Scoperto nel 1950 da Walter Baade, è uno dei circa 150 ammassi globulari – una sorta di “palle di stelle” – che orbitano attorno alla Via Lattea. Come la maggior parte degli altri ammassi globulari, è molto antico: ha oltre 10 miliardi di anni, dunque ha preso forma agli albori della storia della nostra galassia. Ma la sua densità è molto più bassa della media: rispetto a un ammasso globulare tipico, è circa dieci volte meno massiccio e cinque volte più esteso. La ragione è presto detta: si sta gonfiando e spopolando. Uno studio pubblicato oggi su Nature Astronomy prevede che nell’arco di un miliardo di anni avrà perso tutte le sue stelle. Così da ritrovarsi popolato da null’altro che buchi neri.

Buchi neri già oggi presenti in percentuale anomala. «Il loro numero è circa tre volte più grande di quanto ci si attenderebbe dal numero di stelle presenti. Oltre il 20 per cento della massa totale dell’ammasso è costituito da buchi neri», osserva il primo autore dell’articolo, Mark Gieles, dell’Institute of Cosmos Sciences (Iccub) delluniversità di Barcellona. «Ciascuno di essi ha una massa di circa 20 volte quella del Sole, e si sono formati con esplosioni di supernova alla fine della vita di stelle massicce, quando l’ammasso era ancora molto giovane».

Come dicevamo, la progressiva e incessante fuga di stelle verso l’esterno fa sì che la popolazione di buchi neri diventi man mano dominante. Le stelle abbandonano Palomar 5 dando origine alle cosiddette tidal stream, o correnti mareali: scie formate, appunto, da stelle espulse da galassie nane o, come nel caso di Palomar 5, da ammassi stellari in fase di dissoluzione. Negli ultimi anni, nell’alone della Via Lattea, ne sono state scoperte una trentina. «Non sappiamo come si formino queste correnti. Un’ipotesi è che abbiano appunto origine da ammassi disgregati, ma nessuna delle correnti scoperte di recente è associata a un ammasso stellare, dunque non possiamo esserne sicuri», dice Gieles. «Per capire come queste correnti prendano forma occorre studiarne una che abbia un sistema stellare a essa associato. Palomar 5 è l’unico. Ciò lo rende una Stele di Rosetta per comprendere la formazione delle correnti. Dunque lo abbiamo studiato in dettaglio».

Ciò che è emerso dagli studi e dalle simulazioni delle orbite e dell’evoluzione di ogni stella presente nell’ammasso, dalla sua formazione fino alla dissoluzione finale, è che nel corso dei miliardi di anni le stelle sono riuscite a fuggire in modo più efficiente dei buchi neri, così da far aumentare gradualmente la frazione di questi ultimi. I buchi neri, a loro volta, tramite l’effetto di fionda gravitazionale intervenuto nell’interazione con le stelle circostanti, hanno finito per “gonfiare” dinamicamente l’ammasso, ampliandone le dimensioni e, in tal modo, favorendo ulteriormente la fuga delle stelle.

Il risultato ottenuto, oltre a illustrare e confermare uno fra i principali meccanismi all’origine delle correnti stellari, ha notevoli implicazioni anche per quanto riguarda la rilevazione di onde gravitazionali. «Si ritiene che una frazione importante di fusioni binarie di buchi neri abbia origine negli ammassi stellari. Ma quanti buchi neri ci sono, negli ammassi? È una grande incognita, difficile da limitare osservativamente», spiega uno fra i coautori dello studio, l’astrofisico Fabio Antonini, laureato alla Sapienza e oggi alla Cardiff University, «perché non possiamo vedere i buchi neri. Il nostro metodo ci offre però un modo per calcolare quanti siano i buchi neri presenti in un ammasso stellare guardando le stelle che ne fuoriescono».

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