Covid: la VTE è legata a una ridotta mortalità


Covid: la VTE, l’anticoagulazione profilattica per la prevenzione del tromboembolismo venoso, è stata associata a una ridotta mortalità a 60 giorni

vte trombosi

L’anticoagulazione profilattica per la prevenzione del tromboembolismo venoso (VTE) è stata associata a una ridotta mortalità a 60 giorni in pazienti con COVID-19 che erano in condizioni abbastanza serie da richiedere il ricovero in ospedale, secondo un nuovo rapporto pubblicato online su “JAMA Network Open”.

In uno studio di coorte su oltre 1.300 pazienti ricoverati con infezione da COVID-19 in 30 ospedali del Michigan, sia l’anticoagulazione profilattica che quella terapeutica sono state associate a una ridotta mortalità ospedaliera; tuttavia, a 60 giorni, solo l’anticoagulazione con dose profilattica è rimasta associata a una mortalità inferiore.

Prevenzione della tromboembolia venosa, aderenza al protocollo fondamentale 
L’aderenza era fondamentale; la non aderenza o la mancanza di due giorni o più di anticoagulazione, era legata a un maggior numero di decessi a 60 giorni.

Questi risultati sono la prova finale che una strategia profilattica anticoagulante per la popolazione ricoverata per COVID è, in effetti, quella giusta, sostengono gli autori, guidati da Valerie M. Vaughn, direttrice della Ricerca in medicina ospedaliera all’Università dello Utah, a Salt Lake City.

«Probabilmente abbiamo sempre saputo che i pazienti con COVID hanno bisogno di profilassi per VTE, ma abbiamo scoperto che all’inizio, sfortunatamente, questa non veniva effettuata» scrivono Vaughn e colleghi.

«Ora vediamo che i tassi di profilassi sono aumentati. Abbiamo sempre saputo usare l’anticoagulazione a scopo preventivo in pazienti che sono stati ricoverati in ospedale con infezione a causa del loro rischio di VTE, quindi questo studio conferma che la corretta aderenza a un protocollo anticoagulante riduce la mortalità» aggiungono.

Le difficoltà durante la prima ondata pandemica nel Michigan
Vaughn e colleghi erano in prima linea quando il COVID-19 si è presentato nel Michigan, dove è stata condotta la ricerca. «Probabilmente avremmo dovuto usare gli anticoagulanti fin dall’inizio, ma occorre ricordare che nei primi giorni del COVID gli ospedali del Michigan erano sopraffatti».

«Non avevamo l’equipaggiamento protettivo personale (PPE). Ci prendevamo cura dei pazienti al di fuori dei loro tipici letti ospedalieri o allestivamo ospedali da campo» ricordano gli autori.

«La situazione non era così grave come a New York, ma all’Università del Michigan, abbiamo creato quattro o cinque unità di cure intensive (ICU) al di fuori delle nostre normali strutture di cura» aggiungono.

I medici hanno anche convertito l’ultimo piano del loro ospedale pediatrico in una ICU per prendersi cura dei pazienti con COVID durante la prima ondata, specificano. «Non sapevamo molto di questa malattia, ma di fronte a questo afflusso di pazienti, molti dei quali stavano morendo con coaguli di sangue, abbiamo dovuto fare qualcosa».

Alcuni ospedali hanno iniziato a effettuare un’anticoagulazione profilattica ai loro pazienti ma altri hanno esitato prima di adottare questa strategia. «Ora però siamo confidenti che l’anticoagulazione profilattica, condotta secondo un corretto protocollo, senza interruzioni nel trattamento, apporti benefici» affermano Vaughn e colleghi.

La scelta del farmaco e le modalità di somministrazione
La scelta migliore tra i farmaci è l’enoxaparina, che può essere somministrata una volta al giorno, al contrario dell’eparina, che deve essere somministrata tramite iniezione tre volte al giorno, affermano.

«La dose profilattica dell’anticoagulante è tipicamente somministrata con un’iniezione sottocute, ma molte volte abbiamo avuto pazienti che ci dicevano di sentirsi come “cuscini per spilli umani” e di essere pieni di lividi per il fatto di essere bloccati con aghi ogni giorno; pazienti con i quali non potevamo assolutamente relazionarci» riportano.

«È importante per noi medici spiegare che dobbiamo ‘pungere’ i nostri pazienti perché è un bene per loro e li aiuterà a combattere il COVID» ha aggiunto. «Anche avere l’opzione di somministrare l’anticoagulante una volta al giorno è un fatto molto positivo per l’aderenza al protocollo, senza giorni di mancato trattamamento, divenendo ciò la chiave per il risultato migliore».

Informazioni dalla revisione retrospettiva delle cartelle cliniche
Vaughn e il suo team hanno esaminato la cartelle cliniche di 1.351 pazienti (48% donne, 51% caucasici, età mediana 64 anni) che sono stati ricoverati in ospedale in tutto il Michigan durante i primi mesi della pandemia di COVID-19, da marzo a giugno 2020.

Solo 18 pazienti (1,3%) ha avuto VTE confermato e 219 pazienti (16,2%) anticoagulazione in dose per trattamento.  I ricercatori hanno osservato che l’uso dell’anticoagulazione in dose per trattamento senza imaging variava dallo 0% al 29% in tutti gli ospedali ed è aumentata significativamente nel tempo.

Dei 1.127 pazienti che hanno ricevuto l’anticoagulazione, 392 (34,8%) hanno perso due o più giorni di profilassi.  Inoltre, vi sono stati tassi variabili di profilassi mancata tra gli ospedali, dall’11% al 61%, ma questi tassi sono diminuiti notevolmente nel tempo.

Le dosi mancate sono state associate a una mortalità più elevata a 60 giorni (HR aggiustato 1,31; IC al 95%, 1,03-1,67), ma non alla mortalità ospedaliera (HR aggiustato 0,97; IC al 95% 0,91-1,03).  Rispetto alla mancata anticoagulazione, il ricevere qualsiasi dose di anticoagulazione è stato associato a una minore mortalità ospedaliera.

Tuttavia, solo l’anticoagulazione della dose profilattica è rimasta associata a una mortalità inferiore a 60 giorni. L’HR aggiustato per l’anticoagulazione in dose profilattica è stato di 0,71 (IC al 95% 0,51-0,90), rispetto a 0,92 (IC al 95% 0,63-1,35) per l’anticoagulazione in dose per trattamento.

Alcuni dati mancanti per guidare il processo decisionale personalizzato
Nel complesso lo studio dovrebbe rendere i medici più sicuri che l’uso dell’anticoagulazione profilattica sia giustificato per i pazienti ricoverati con COVID-19.

Mancano ancora i dati di cui si ha bisogno per aiutare a guidare il processo decisionale nel singolo paziente, come la scelta dell’agente anticoagulante, il dosaggio e la durata della terapia, specialmente in base alla severità della malattia del ricoverato.

Mentre si attendono ancora i dati di studi controllati randomizzati per guidare la dose e la durata ottimali dell’anticoagulazione, però, questo studio aggiunge un merito significativo alle raccomandazioni pubblicate in precedenza da diverse organizzazioni mediche in merito all’uso dell’anticoagulazione profilattica nei pazienti ricoverati con COVID-19.

Vaughn VM, Yost M, Abshire C, Flanders SA, Paje D, Grant P, Kaatz S, Kim T, Barnes GD. Trends in Venous Thromboembolism Anticoagulation in Patients Hospitalized With COVID-19. JAMA Netw Open. 2021 Jun 1;4(6):e2111788. doi: 10.1001/jamanetworkopen.2021.11788. 
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