Tempi ridotti per la radioterapia del tumore al seno


Tempi e volumi ridotti per la radioterapia del tumore al seno: parla la radioterapista Antonella Ciabattoni dell’ospedale San Filippo Neri di Roma

Il ruolo della Radioterapia stereotassica nel tumore ovarico metastatico: i risultati di uno studio multicentrico italiano

Grazie ai progressi della tecnologia e a una migliore comprensione della biologia delle cellule, oggi la radioterapia del tumore al seno può essere più localizzata ed effettuata in tempi più brevi, con notevoli benefici in termini di qualità della vita della donna e di organizzazione dei servizi ospedalieri.

La radioterapia è parte integrante del percorso di cura delle donne affette da tumore al seno perché riduce le recidive locali, cioè la ricomparsa del tumore, e migliora la sopravvivenza, come dimostrato da numerosi studi scientifici che hanno lungamente seguito le pazienti negli anni. Di solito, il trattamento si esegue in 5-7 settimane, con sedute quotidiane, dal lunedì al venerdì, riposo nel finesettimana per permettere la rigenerazione delle cellule sane, e suddivisione della dose totale di radioterapia di 45-50 Gy in frazioni giornaliere di 1,8-2 Gy [Gy, abbreviazione di Gray, è l’unità di misura della dose di radiazioni]. In caso di necessità, viene somministrata una dose aggiuntiva (boost) nella zona dove era presente il nodulo asportato chirurgicamente.

Per sottoporsi alla radioterapia la donna deve quindi recarsi ogni giorno in ospedale, per periodi prolungati ed in condizioni psico-fisiche spesso critiche a causa dei trattamenti già effettuati o in corso e delle preoccupazioni legate al suo stato di malattia. Inoltre, soprattutto in pazienti anziane o fragili, la radioterapia può provocare, sugli organi che si trovano in prossimità della zona irradiata, effetti collaterali che compromettono la qualità di vita e lo stato di salute complessivo della donna. Da un punto di vista organizzativo, la radioterapia implica per l’ospedale un notevole impegno in termini di risorse sia economiche sia professionali. Inoltre, a causa della prolungata durata dei cicli di cura, si vengono spesso a creare lunghe liste di attesa che ritardano la presa in carico delle pazienti.

Per ovviare a questi problemi, negli ultimi vent’anni la ricerca nella radioterapia del tumore al seno ha prodotto nuovi protocolli grazie ai quali è possibile irradiare in tempi più brevi (ipofrazionamento) o su porzioni di tessuto del seno più circoscritte (irradiazione parziale). Questo è stato possibile soprattutto grazie all’impiego di tecnologie innovative e all’acquisizione di nuove conoscenze sulla biologia delle cellule e sulla loro capacità di resistere ai danni provocati dalle radiazioni. La riduzione dei tempi e dei volumi della radioterapia del tumore al seno è stata studiata e si è dimostrata efficace in tre particolari casi clinici: nel carcinoma infiltrante (tumore invasivo) dopo chirurgia conservativa (per esempio dopo un intervento di quadrantectomia); nel carcinoma in situ (non invasivo) dopo chirurgia conservativa e nel carcinoma infiltrante dopo mastectomia.

Carcinoma infiltrante dopo chirurgia conservativa: nel caso di radioterapia sulla sola ghiandola mammaria, è possibile ottenere lo stesso effetto terapeutico somministrando una dose totale inferiore di radioterapia suddivisa in singole sedute ambulatoriali con dose maggiore per ciascuna seduta: lo dimostrano alcuni studi che, dopo aver seguito le pazienti per un periodo di oltre dieci anni dalla fine del trattamento, hanno confermato un’effettiva equivalenza in termini di efficacia e tossicità tra lo schema terapeutico standard e la suddivisione della stessa dose in un numero inferiore di sedute che sono state ridotte a 15-16, 10 e persino 5. Inoltre, il sovradosaggio può essere eseguito contemporaneamente al trattamento sull’intera mammella, indirizzando dosi lievemente maggiori sulla zona dalla quale è stato asportato il tumore.

Nello stesso tempo è stato dimostrato che, in pazienti adeguatamente selezionate e con caratteristiche di basso rischio (età maggiore di 50 anni, malattia iniziale, assenza di linfonodi coinvolti e caratteristiche biologiche favorevoli) si può eseguire un trattamento radiante limitato alla sola area dove era presente la malattia, con un adeguato margine di sicurezza e con tempi di trattamento notevolmente ridotti. L’irradiazione parziale può essere effettuata, oltre che con la radioterapia esterna, anche con altre tecniche: la brachiterapia, che implica il posizionamento di sorgenti radioattive all’interno del tessuto dal quale è stato asportato il tumore o vicino ad esso, e la radioterapia intraoperatoria, con elettroni o fotoni, che viene somministrata in un’unica seduta in sala operatoria, immediatamente dopo l’asportazione del tumore.

L’irradiazione parziale eseguita con brachiterapia, o con radioterapia esterna con 10 o 5 sedute, ha dimostrato la stessa efficacia dell’irradiazione standard e limitati effetti collaterali (nel caso di 5 sedute addirittura con minore tossicità e migliore risultato estetico). Invece l’impiego della radioterapia intraoperatoria – indicata solo per pazienti altamente selezionate  – si è dimostrata meno efficace. Per tutte queste motivazioni le attuali Linee guida e Raccomandazioni nazionali e internazionali sulla radioterapia per il tumore al seno indicano che l’ipofrazionamento è l’opzione raccomandata per le pazienti sottoposte a chirurgia conservativa per tumore infiltrante senza linfonodi coinvolti, indipendentemente dall’età e dall’eventuale chemioterapia, mentre l’irradiazione parziale va riservata solamente alle pazienti a basso rischio.

Carcinoma in situ dopo chirurgia conservativaper le pazienti con tumore al seno in situ, l’ipofrazionamento è un’opzione possibile. Per quanto riguarda invece l’irradiazione parziale, i risultati degli studi avviati negli ultimi anni non sono ancora del tutto chiari, e le evidenze di efficacia in questo tipo di pazienti al momento risultano inferiori a quelle riscontrate nelle pazienti con tumore invasivo. 

Carcinoma infiltrante dopo mastectomia: quando prevista, la radioterapia dopo l’asportazione chirurgica di tutta la mammella viene eseguita su una zona piuttosto estesa che spesso comprende anche i linfonodi, quindi l’irradiazione parziale non è indicata. Per quanto riguarda l’ipofrazionamento, ad oggi i dati riguardanti l’impiego e gli effetti collaterali – soprattutto tardivi – di questo schema terapeutico dopo mastectomia sono limitati e non sono ancora state stabilite raccomandazioni definitive. Quindi, la decisione sull’utilizzo del trattamento ipofrazionato in questi casi deve essere discussa dal medico con la paziente.

La pianificazione della radioterapia del tumore al seno deve essere definita con tutti gli specialisti del gruppo multidisciplinare della Breast Unit e condivisa con la paziente, tenendo sempre in mente che la strategia più appropriata da adottare deve garantire il miglior risultato estetico senza alterare la “sicurezza” oncologica del trattamento.