Motta torna con il nuovo album Semplice


“Semplice” è il terzo album di Motta: fuori un disco tra rock e ballad con dieci tracce che parlano d’amore, speranza e accettazione

Semplice copertina album Motta

Motta è sulla ‘Via della Luce’. In una strada lunga tre anni (l’ultimo album è ‘Vivere o Morire’ del 2018) molto ha preso forma, qualcosa “prima della fine del mondo” e qualcos’altro durante.
Da quando tutto si è spento, nella vita del cantautore si sono accesi i riflettori sulle piccole cose, sugli attimi vissuti e su una nuova quotidianità che prima sfuggiva. Non è un caso che il nuovo album, in uscita oggi per Sugar, si intitoli ‘Semplice’. Con la copertina più ‘punk di sempre’, lo ha detto lui in conferenza stampa, Motta rinuncia ai primi piani e sceglie la ‘semplice’ scritta. Un titolo ispirato da un grande lavoro su se stesso ma anche da ‘La leggerezza’ de’ Le lezioni Americane di Italo Calvino.

Un disco tutt’altro che ‘Semplice’

In dieci tracce il cantautore racconta la sua crescita personale e artistica, il cambiamento, le giuste distanze e le nuove visioni. In sintesi con il terzo album Motta chiude una trilogia. Lo ritroviamo diverso ma sempre autentico: un uomo che ha imparato ad accettarsi e a riappacificarsi con le proprie contraddizioni, ma soprattutto un artista libero.
«Ho lavorato a queste nuove canzoni senza sentirmi costretto a rispettare una determinata struttura, eliminando il superfluo, conservando le imperfezioni che per me non sono mai errori, ma dettagli che impreziosiscono e rendono unico ciò che fai. E anche togliendo le pacche sulle spalle ricevute negli ultimi anni per non cedere alla presunzione».
Un percorso insomma apparentemente ‘tutt’altro che ‘semplice’.

Fare musica un’urgenza 

Tutto è iniziato da una consapevolezza: la fortuna del non poter stare senza musica, un concetto che Motta ha espresso chiaramente citando Adversus dei Colle der Fomento: «Non lo faccio né per loro né per l’oro, lo faccio solamente perche’ sinno’ me moro…».
Tant’è che il nuovo disco il cantautore se l’è prodotto da solo, nel suo studio di Roma, insieme a Taketo Gohara. E il lavoro di produzione (si sente e lo dice) è stato tantissimo. L’obiettivo – raggiunto – era quello di riportare le sonorità tipiche dei live anche nelle registrazioni, perché troppo spesso succedeva che gli dicessero che le canzoni suonate dal vivo fossero ancora più belle. Il suono è stratificato, pieno e di respiro internazionale.

La band e gli arrangiamenti

Semplice doveva essere registrato a New York. Alla fine ai compagni di tour Giorgio Maria Condemi (chitarra), Matteo Scannicchio (tastiere), Cesare Petulicchio (batteria, già nei Bud Spencer Blues Explosion), dalla Grande Mela e lavorando da remoto, si sono aggiunti il percussionista brasiliano Mauro Refosco, già negli Atoms for Peace di Thom Yorke, oltre che al lavoro con David Byrne e Red Hot Chili Peppers, e il bassista Bobby Wooten, tra i protagonisti dell’acclamato tour “American Utopia” dello stesso Byrne.  Negli arrangiamenti ricoprono un ruolo centrale gli archi curati da Carmine Iuvone. Violini, viola e violoncello non si limitano ad aprire melodie, ma si muovono anche vorticosi in un disco intenso, miscela di pop cantautorale e rock non priva di chitarre acide e punte di psichedelia, in cui echi di ascolti di band e artisti internazionali come i Radiohead, Lou Reed e The Cure s’intrecciano con la lezione dei modelli nostrani di Motta, da Tenco a De Gregori. Proprio quest’ultimo ascoltando  ‘Qualcosa di normale’ gli ha consigliato di cantarla con una donna. «L’unico featuring possibile – ha detto il cantante – era con Alice, mia sorella e la voce che preferisco».

Motta dall’osservazione all’immaginazione

«Prima ero malato di socialità – racconta il cantautore – le storie le rubavo in giro. Stare fermo mi ha portato a immaginare».
Ecco allora che da fuori Motta è entrato dentro, prendendosi il suo tempo: prima in una città che diventava lo specchio di quello che non si poteva fare e poi in campagna, dove ha scelto di stare, di essere e di respirare.

Nei testi c’è la supervisione di Pacifico ma chiude l’album ‘Quando guardiamo una rosa’, scritta con Dario Brunori (Brunori Sas)

«Sentivo che mancava qualcosa – spiega Motta – il racconto di quel presente che da oltre un anno ci sta mettendo in difficoltà, però non osservato dall’alto, bensì visto dalla mia prospettiva personale, per come l’ho vissuto io». Il brano parla di amore, di inquietudini, di nuove consapevolezze. «Anche col cuore che balla, la lingua per terra, ci provo a cavarmela», canta prima di tuffarsi con i suoi musicisti in un lungo finale strumentale, uno sfogo elettronico-percussivo che come in un rituale catartico celebra la cosa più semplice, ma più difficile da catturare che ci sia: la libertà di essere ciò che si è.

Semplice il tour

I primi due concerti, spiega la Dire Giovani (www.diregiovani.it), faranno parte del tour estivo e saranno il 21 luglio a Milano al Carroponte e il 10 settembre a Roma all’Auditorium Parco della Musica.