Sindrome coronarica acuta: alti livelli di omega-3 proteggono il cuore


Alti livelli plasmatici di omega-3 post-sindrome coronarica acuta legati a minore rischio di morte cardiaca improvvisa secondo un nuovo studio

Uomo con infarto dovuto a esaurimento vitale si tiene le mani sul petto

Tra i pazienti con sindrome coronarica acuta (ACS) senza elevazione del tratto ST (NSTEACS), una percentuale relativa più elevata di acido grasso polinsaturo omega-3 a catena lunga plasmatica risulta associata a minori possibilità di morte cardiaca improvvisa, secondo uno studio pubblicato sul “Journal of the American Heart Association”.

Maggiore effetto per i polinsaturi a catena lunga
«Sebbene la coerenza direzionale sia stata osservata attraverso i sottotipi omega-3, la grandezza dell’effetto è sembrata essere maggiore per gli acidi grassi polinsaturi omega-3 a catena lunga, tra cui l’acido docosaesaenoico, l’acido docosapentaenoico e l’acido eicosapentaenoico» scrivono i ricercatori, guidati da Thomas A. Zelniker, cardiologo presso l’Ospedale Generale di Vienna,  dell’Università medica di Vienna.

Zelniker e colleghi hanno analizzato i pazienti NSTEACS) partecipanti allo studio MERLIN-TIMI 36 (Metabolic Efficiency With Ranolazin e per Less Ischemia in Non-ST-Elevation-Acute Coronary Syndrome-Thrombolysis in Myocardial Infarction 36) per determinare un’associazione tra la concentrazione plasmatica di acidi grassi polinsaturi omega-3 a lunga catena e gli esiti cardiovascolari (CV).

La coorte comprendeva 203 pazienti morti per una causa CV, 325 pazienti con infarto miocardico (IM), 271 pazienti con tachicardia ventricolare, 161 pazienti con fibrillazione atriale (AF) e 1.612 controlli senza eventi.

Probabilità inferiore del 50-60% di morte cardiovascolare nel quartile superiore
Secondo i ricercatori, dopo aggiustamento multivariato con inclusione di tutti i fattori di rischio tradizionali, i pazienti con un più alto contenuto plasmatico di acidi grassi polinsaturi omega-3 a catena lunga avevano il 18% di probabilità inferiore di morte CV (OR = 0,82; IC al 95% 0,68-0,98) che era principalmente guidato dal 27% in meno di probabilità di morte cardiaca improvvisa (OR = 0,73; IC al 95% 0,55-0,97), mentre non c’era alcuna associazione significativa con la morte cardiaca improvvisa.

Quando la coorte è stata stratificata secondo i quartili in base alla quantità di acidi grassi polinsaturi omega-3 a catena lunga plasmatica, è risultato che maggiore era la quantità, minori erano le probabilità di morte cardiaca improvvisa (P per tendenza = 0,025), scrivono Zelniker e colleghi.

Nell’analisi, i pazienti nel quartile superiore degli acidi grassi polinsaturi omega-3 a catena lunga nel plasma avevano il 51% in meno di probabilità di morte CV (OR = 0,49; IC al 95% 0,27-0,86) e il 63% in meno di probabilità di morte cardiaca improvvisa (OR = 0,37; IC al 95% 0,16-0,56) rispetto a quelli nel quartile inferiore.

Secondo i ricercatori, non c’era alcuna relazione significativa tra i livelli di acido alfa-linolenico e le successive probabilità di morte CV (OR = 0,92; IC al 95% 0,74-1,14) e morte cardiaca improvvisa (OR = 0,91; IC al 95% 0,67-1,25).

Zelniker e colleghi non hanno inoltre rilevato alcuna relazione significativa tra gli acidi grassi polinsaturi omega-3 e le probabilità di morte CV non correlate a morte cardiaca improvvisa, IM, AF o tachicardia ventricolare post-ACS precoce.

«Questi dati supportano la teoria secondo cui alcuni tipi di integrazione di omega-3 possono ridurre il rischio di esiti CV avversi nelle popolazioni a più alto rischio» scrivono i ricercatori.

Riferimenti

Zelniker TA, Morrow DA, Scirica BM, et al. Plasma Omega-3 Fatty Acids and the Risk of Cardiovascular Events in Patients After an Acute Coronary Syndrome in MERLIN-TIMI 36. J Am Heart Assoc. 2021;10(8):e017401. doi: 10.1161/JAHA.120.017401.
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