Fibrillazione atriale: stop all’aspirina dopo PCI


Intervento coronarico percutaneo in pazienti con fibrillazione atriale: meglio interrompere l’aspirina per evitare sanguinamenti

Intervento coronarico percutaneo in pazienti con fibrillazione atriale: meglio interrompere l'aspirina per evitare sanguinamenti

Smettere l’aspirina subito dopo un intervento coronarico percutaneo (PCI) sembra essere la migliore strategia per prevenire il sanguinamento in pazienti ad alto rischio con fibrillazione atriale non valvolare (FANV), secondo un’analisi di riferimento (landmark analysis) dello studio RE-DUAL PCI, pubblicata su “JACC: Cardiovascular Interventions”.

Come già riportato, il trial RE-DUAL PCI ha supportato l’allontanarsi da una strategia di tripla terapia – inibitore di P2Y12, warfarin e aspirina – in questi pazienti al fine di ridurre il sanguinamento senza aumentare il rischio di eventi trombotici.

I nuovi dati, in combinazione con il resto delle prove disponibili, comprese quelle dello studio AUGUSTUS, «sono abbastanza chiari sul fatto che la strategia della tripla terapia prolungata non dovrebbe quasi mai essere utilizzata», scrivono gli autori, guidati da Benjamin E. Peterson, del Brigham and Women’s Hospital di Boston. «Il nostro articolo aiuta a portare una certa definizione al tipo di durata minima dell’aspirina che probabilmente è necessaria».

In particolare, i ricercatori sostengono che, poiché il tempo medio dal PCI alla randomizzazione in questo studio è stato di soli 1,6 giorni, «gli effetti di un approccio con doppia terapia, senza un aumento del rischio di eventi trombotici, possono applicarsi anche con soli 1 o 2 giorni di aspirina post-PCI».

Approcci con due o tre agenti antitrombotici a confronto
Per lo studio, Peterson e colleghi hanno condotto analisi di riferimento a 30 e 90 giorni dei 2.725 pazienti del RE-DUAL PCI che sono stati randomizzati a ricevere la doppia terapia (anticoagulante orale non antagonista della vitamina K (NOAC) dabigatran a una dose di 110 mg o 150 mg più un inibitore P2Y12 (e niente aspirina) o a tripla terapia (warfarin più un inibitore P2Y12 più aspirina).

Coloro che hanno ricevuto una doppia terapia hanno visto una riduzione del 55% del sanguinamento maggiore o non maggiore clinicamente rilevante a 30 giorni rispetto al gruppo in tripla terapia (HR 0,45; IC al 95% 0,31-0,66).

Vi è stato anche un beneficio clinico netto precoce (un composito di sanguinamento maggiore o non maggiore clinicamente rilevante, morte o evento tromboembolico e rivascolarizzazione non pianificata) osservato con entrambe le dosi di dabigatran rispetto al warfarin che è stato guidato da un minor sanguinamento (dose di 110 mg HR 0,65; CI IC al 95% 0,47-0,88; dose 150 mg HR 0,54; IC al 95% 0,37-0,79).

Quando i pazienti assegnati alla tripla terapia hanno abbandonato l’aspirina, i tassi di sanguinamento a 30 giorni sono scesi a livelli simili di quelli che hanno ricevuto dabigatran 150 mg, ma erano ancora superiori del 31% rispetto a quelli osservati con dabigatran 110 mg.

«Il punto è assicurarsi che il paziente ottenga aspirina, ma che l’aspirina nella fase di cura ospedaliera per quei 1-2 giorni è probabilmente sufficiente» affermano gli autori.
Anche il modesto sottogruppo di pazienti di RE-DUAL PCI che hanno ricevuto ticagrelor invece di clopidogrel «sembrava andar bene ma certamente non combineremmo mai ticagrelor o prasugrel con la tripla terapia» aggiungono. «Questo porta al rischio di complicanze di sanguinamento».

Il commento del prof. Capodanno, Università di Catania
In un editoriale di commento allo studio, Davide Capodanno, dell’Università di Catania, scrive che dai nuovi dati si possono trarre «nuove lezioni utili: in primo luogo, durante i primi 30 giorni, la terapia antitrombotica duale con dabigatran da 150 mg è stata associata al più basso tasso grezzo di eventi ischemici o trombotici, il che è notevole perché il tempo della tripla terapia antitrombotica periprocedurale era breve (per esempio, il tempo medio di randomizzazione era di 1,6 giorni in REDUAL PCI rispetto a 6,6 giorni in AUGUSTUS). Questo effetto non è stato osservato con dabigatran 110 mg [terapia duale], sottopotenziando la protezione trombotica superiore della dose di dabigatran più elevata».

Inoltre, dice Capodanno, nel lungo periodo, la dose inferiore di dabigatran è emersa come la più sicura, «ma il basso tasso di eventi trombotici o ischemici preclude ulteriori considerazioni sull’efficacia. È rassicurante notare, tuttavia, che il tasso di eventi trombotici o ischemici dopo il primo periodo è relativamente basso con gli stent a rilascio di farmaco (DES) di generazione attuale.

«Nel complesso, questi risultati suggeriscono che le dosi degli anticoagulanti orali diretti (DOAC) contano e la modulazione dell’intensità dell’anticoagulazione merita maggiore considerazione quale modo per personalizzare il trattamento antitrombotico nel corso del tempo in base ai singoli profili di rischio trombotico e di sanguinamento» continua Capodanno. Per esempio, potrebbe essere utile avviare un paziente con la dose più elevata in ospedale, ma poi far cessare l’aspirina e infine utilizzare il DOAC a dosi più basse fino a 1 anno.

Pratica clinica disallineata
Anche con tutti i dati disponibili, la pratica clinica è ancora «un po’ disallineata» secondo Peterson e colleghi. “Questo accade molto quando i pazienti vengono trattati con tripla terapia antitrombotica a dosi complete per lunghi periodi di tempo ben oltre un mese». Eppure, gli studi sono abbastanza chiari sul fatto che quando si mettono i pazienti in tripla terapia a dose piena, anche quelli relativamente giovani, può verificarsi un grave sanguinamento, aggiungono.

Studi in corso come MASTER DAPT possono fornire ulteriori informazioni sul miglioramento delle combinazioni e durate ottimali dei farmaci. «Indipendentemente da ciò che tutti questi studi potranno mostrare, alla fine tonerà il medico curante a decidere per il singolo paziente quanto sono alti il rischio ischemico, il rischio di sanguinamento e il rischio periprocedurale dello stenting e cercare di pesare tutti questi fattori» osservano i ricercatori. «Ma almeno per il paziente medio, si spera che questa analisi fornisca ulteriori rassicurazioni sul fatto che abbreviare la durata dell’aspirina è la cosa giusta da fare».

Riferimenti

Peterson BE, Bhatt DL, Gabriel Steg P, et al. Evaluation of Dual Versus Triple Therapy by Landmark Analysis in the RE-DUAL PCI Trial. JACC Cardiovasc Interv. 2021;14(7):768-780. doi: 10.1016/j.jcin.2021.02.022. 
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Capodanno D. Triple Therapy, Dual Therapy, and Modulation of Anticoagulation Intensity. JACC Cardiovasc Interv. 2021;14(7):781-784. doi: 10.1016/j.jcin.2021.02.039. 
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