Long Covid: serve riconoscimento di sindrome


Long Covid: per l’associazione G. Dossetti occorre dare riconoscimento alla sindrome che colpisce i guariti a distanza di settimane o mesi

Cellule di Coronavirus

“Bisogna parlare anche di cure, non solo di vaccini, nella comunicazione e nell’informazione sul COVID. Ci sono tanti pazienti che necessitano di risposte”. A dirlo è Silvio Gherardi, medico e presidente del Comitato Scientifico dell’associazione “Giuseppe Dossetti: I Valori”, nel corso del webinar “Sindrome Long Covid: non solo polmonite, gravi effetti a lungo termine per i ‘reduci’ Covid”, organizzato dalla stessa Onlus e moderato dal giornalista Rai Daniel Della Seta, a cui hanno partecipato istituzioni nazionali ed internazionali, parlamentari, studiosi e clinici, giornalisti.

Il Long COVID colpisce almeno 3 pazienti su 4 tra i ricoverati e si protrae fino a sei mesi dopo la malattia, con uno spettro di patologie a carico di molti organi”, spiega Gherardi. “I pazienti coinvolti da questa sindrome soffrono di disturbi molto vari. Lo scorso 25 marzo, sul , è uscito uno studio che segnala che il 70% dei pazienti affetti da Covid è colpito anche dalla scia lunga della malattia, fatta di sintomi che possono comportare una certa invalidità, temporanea, ma il tempo ci dirà se si tratta di una condizione permanente. Negli Stati Uniti sono state emanate delle linee guida per i medici sul post-COVID, ma questo non sta succedendo in Europa”.

UN DATABASE CON LE TESTIMONIANZE DEI PAZIENTI LONG COVID

“Insieme ad altri miei collaboratori ho creato un sito internet che ha lo scopo di indagare statisticamente i sintomi e le conseguenze derivanti dal post-Covid”. A spiegarlo è il giornalista Enrico Ferdinandi. “Le persone con sindrome post-COVID-19 lamentano difficoltà nel vivere la quotidianità. Il 49% degli intervistati ha dichiarato di aver contratto il virus per un periodo compreso tra i 20 e i 45 giorni e durante la positività il 75% ha avuto febbre e spossatezza. Per quanto concerne i sintomi post-COVID, invece, è emerso che il 95% dei pazienti continua a soffrire di spossatezza”.

IL PUNTO DI VISTA DEI CARDIOLOGI: ARRIVARE PRIMA, NON INSEGUIRE IL VIRUS

“Il Policlinico ha allestito un ambulatorio multi-specialistico per seguire i pazienti colpiti dal Long COVID, ma è bene che si arrivi a delle linee guida al più presto per aiutare pazienti e medici nella gestione della sindrome post-COVID”. Così Francesco Fedele, direttore della UOC di Malattie Cardiovascolari del Policlinico Umberto I di Roma e Responsabile del Dipartimento Cardiovascolare del Comitato Scientifico dell’Associazione “G. Dossetti: I Valori”. “Dobbiamo anticipare le conseguenze del COVID e non seguirle: già da tempo, dopo la prima ondata, presso il Policlinico abbiamo organizzato un poliambulatorio post-COVID, multi-specialistico, in cui operano dermatologi, pneumologi, psicologi, infettivologi e cardiologi”.

Furio Colivicchi, Presidente Designato ANMCO, (Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri), annuncia che “come cardiologi contribuiremo alla stesura delle linee guida per la gestione del post-COVID” e invoca da parte delle Regioni un comportamento diverso: “le sanità regionali sono un po’ assenti in questa gestione della sindrome post-COVID, bene che ci sia autonomia tra i territori, perché ognuno starà provvedendo e facendo la sua parte, ma la frammentazione regionale che si è già manifestata, non dovrebbe ripetersi”.

RIORGANIZZAZIONE SANITARIA: IL PUNTO DI VISTA REGIONALE

Su una linea analoga anche l’assessore alla sanità della Regione Puglia e virologo, Pierluigi Lopalco. “Il tema del Long COVID è importantissimo, uno dei tanti che la pandemia ci sta facendo scoprire. Possiamo ragionare, fin da subito, sull’esenzione del ticket per queste persone colpite dalla sindrome Long COVID perché è importante che venga riconosciuto a questi pazienti un diritto di cura nel post infezione. Il Long COVID è una cronicità a tutti gli effetti e che si è manifestata in tutta la sua durezza a causa della debolezza della nostra assistenza territoriale. C’è stato uno tsunami sulla sanità territoriale, ma dopo l’ondata pandemica è stato da subito chiaro che la vita non può riprendere come prima, per questa ragione serve riconoscere queste nuove forme patologiche”.

IL PUNTO DI VISTA DEI MEDICI: LONG COVID È MULTICRONICITÀ A CUI SI RISPONDE CON MULTIPROFESSIONALITÀ

Per Antonio Magi, presidente dell’Ordine dei Medici di Roma, anch’egli intervenuto al webinar, il Long COVID “è una multicronicità e si aggiunge alle problematiche di gestione e cura della malattia. È assimilabile ad una cronicità, o meglio, ad una multicronicità, perché la sintomatologia riguarda più disturbi. La sanità è un tutt’uno con il territorio – sottolinea – se il territorio non risponde non si può pensare che l’ospedale si sostituirà ad esso. In questo senso, intervenire sul Long Covid significa intervenire sulla riorganizzazione sanitaria che possa essere, nell’immediato futuro, un lavoro di squadra con diversi medici competenti su varie discipline”.

Filippo Anelli, presidente della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Edontoiatri, torna sul tema della riorganizzazione sanitaria spiegando su cosa intervenire nell’immediato: no ad un sistema ospedale-centrico, sì ad una multi-professionalità, lavoro di equipe e flessibilità. “L’asse di cura della sindrome Long COVID non può essere più ospedale-centrico. L’esperienza del COVID ci sta insegnando che le politiche dei tagli anche sul personale hanno inciso in modo profondo. Il Long COVID si correla a questo perché il ruolo delle professioni sanitarie e la loro capacità di intervento è fondamentale: i nostri ospedali devono quindi essere organizzati in modo diverso, essere più flessibili”.

GLI ESPERTI: DARE RICONOSCIMENTO A SINDROME LONG COVID

Dare riconoscimento medico-scientifico alla sindrome Long COVID, seguendo un approccio multispecialistico. Questo il coro unanime espresso dai ricercatori e medici intervenuti al convegno. “I malati affetti dalla sindrome Long COVID non possono essere ignorati e devono essere seguiti attraverso terapie di cui deve farsi carico il Sistema Sanitario Nazionale. Occorre, per prevenire le conseguenze di questa patologia, seguire un approccio multispecialistico”. Questo il punto di vista di Vittorio Sironi, direttore del Centro Studi sulla storia del pensiero biomedico (Cespeb) e Responsabile del Dipartimento di Antropologia medica e Storia della Salute del Comitato Scientifico dell’associazione G. Dossetti.

Durante l’iniziativa gli esperti hanno ribadito più volte l’esigenza di potenziare la medicina territoriale attraverso l’istituzione di centri di eccellenza a tutela dei pazienti affetti dalla sindrome Long COVID. “Il malato COVID – spiega Francesco Mennini, della Società Italiana di Health Technology Assessment (SIHTA) e responsabile del Dipartimento di Economia Sanitaria e Health Technology Assessment dell’Associazione G. Dossetti, va tutelato anche dopo la scomparsa dei sintomi. Bisogna prevedere dei centri di medicina territoriale per monitorare i pazienti affetti dalla sindrome Long COVID, facendo particolare attenzione alla medicina di genere, in quanto le pazienti donne risultano essere le più colpite da questa patologia”.

DOPO VIRUS POSSIBILI PROBLEMI OCULISTICI

Al convegno è intervenuta anche Alessandra Balestrazzi, referente per i rapporti con le istituzioni di AIMO, Associazione Italiana Medici Oculisti. “Ci stiamo focalizzando – sostiene – sulla sindrome Long COVID perché esistono già diverse pubblicazioni che testimoniano come dopo il virus potrebbero manifestarsi in alcuni pazienti problemi di natura oculistica come l’alterazione della superficie oculare o l’accentuazione dell’occhio secco. Potrebbero anche subentrare casi di trombosi oculari che, se non curati, rischiano di diventare cronici. Si tratta, dunque, di problemi che, in caso di manifestazione, richiederebbero un trattamento prolungato”.

POTENZIARE LA MEDICINA DI GENERE

“La mortalità per COVID-19 è maggiore nell’uomo, ma la sindrome Long COVID è più frequente nelle pazienti donne. Per questo motivo occorre potenziare la medicina di genere, considerato che il nostro Paese è uno dei pochi ad avere una legislazione ad hoc su questo tipo di assistenza medica. Nelle donne ci sono maggiori componenti autoimmuni, sia nella fase della contrazione del virus che in quella successiva. Si potrebbe, dunque, pensare di effettuare trattamenti specifici che vadano in questa direzione”, argomenta Walter Malorni, Direttore Scientifico del Centro per la Salute Globale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.

IL RUOLO DELLE SOCIETÀ SCIENTIFICHE, DEI DATI E LE ANALOGIE TRA COVID E ALTRE EPIDEMIE

Ketty Peris, Presidente SIDeMaST (Società Italiana di Dermatologia medica, chirurgica, estetica e delle Malattie Sessualmente Trasmesse) e Direttrice UOC di Dermatologia del Policlinico Gemelli di Roma, ha riportato l’attenzione sulla sintomatologia post-COVID dal punto di vista dei clinici. “Quello che abbiamo imparato nel primo periodo di pandemia è che le manifestazioni dermatologiche e cutanee non erano legate solo all’assunzione di farmaci durante l’infezione da Covid, ma anzi sono uno specchio della patologia. Nel post-COVID continuiamo a vedere queste manifestazioni, pur regredendo quelle più significative. Esistono tuttavia vari disturbi tra cui la perdita di capelli, che hanno alla base un meccanismo immunitario e che hanno un impatto importante nella vita del paziente, sui quali serve continuare a lavorare”.

SERVONO DATI SU TERAPIE INTENSIVE PER INTERVENIRE ANCHE SU LONG COVID

“Servono dati sulle terapie intensive per intervenire anche su Long COVID: la politica che decide parli con i medici e si crei un database come in Germania”. A dirlo è Flavia Petrini, Presidente di SIAARTI, (Società Italiana di Anestesia, Analgesia, Rianimazione e Terapia Intensiva). “Come anestesisti e rianimatori che, al principio, eravamo nel Comitato tecnico scientifico, abbiamo notato una certa attenzione su alcuni temi e meno su altri, tra cui il regionalismo sanitario che ha dato purtroppo esiti nefasti. Anche nella patologia Long COVID bisogna avere molta attenzione: fare ricerca, messa in rete delle competenze per effettuare il monitoraggio e definire linee guida. Nelle terapie intensive non ci sono dati sufficienti e dettagliati”.

Stefano Vella, professore di Global Health all’Università Cattolica, ha il compito di mettere in parallelo gli approcci già sperimentati nei confronti di altre epidemie. “L’HIV ci insegna molto rispetto a questa pandemia: la disuguaglianza e il trasferimento della tecnologia e dei farmaci ai Paesi a più basso reddito”, spiega. “Lo scenario è che il COVID resti con noi, pur senza la letalità, grazie al vaccino. La prospettiva è che non riusciremo a vaccinare sette miliardi di persone, per cui dobbiamo trasferire la produzione dei farmaci e dei vaccini nei paesi meno ricchi. Ci sono già tre o quattro farmaci che usati in combinazione, come per l’HIV, potrebbero aiutarci a uccidere il virus”, racconta Vella.

PROSPETTIVA GLOBALE ED EQUITÀ ANCHE NELLE CURE SUL LONG COVID

Il filo che tiene insieme la visione della salute globale illustrato da Vella con l’equità nell’accesso alle cure è ben rappresentato dall’intervento al webinar di Suor Carol Keehan, Coordinatrice Task Force di Salute Pubblica della Commissione Vaticana Covid-19 e Rappresentante del Cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson, Prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale della Santa Sede. “Papa Francesco ha costituito nel marzo 2020 una task force con quattro commissioni: per le questioni economiche, di sicurezza, ambientale, e per la salute, il cui primo obiettivo è stato garantire una distribuzione equa dei vaccini. Il mondo è focalizzato su test, le diagnosi e la somministrazione dei vaccini”, sottolinea Keehan. “Trovare un’attenzione sul Long COVID è segno di profonda consapevolezza”.

UNA PARTNERSHIP PUBBLICO-PRIVATO NEL LONG COVID

Michelangelo Simonelli, Senior Government Affairs Director di Gilead Science, spiega infatti che “l’esperienza del Covid ha dato impulso alla partnership pubblico-privato. Con il Ministero della Salute e l’Istituto Superiore di Sanità abbiamo lavorato, non solo sul COVID, ma anche sulle precedenti sfide di patologie come HIV e il virus dell’epatite. Abbiamo sostenuto la ricerca e il lavoro di scienziati sulle conseguenze post-Covid già dalla primissima ora, facendo leva sulla nostra esperienza sull’HIV, perché ogni patologia virale lascia sempre strascichi, dopo la sua fase acuta”.

Per Massimo Grandi, amministratore Delegato di Daiichi-Sankyo Italia, l’innovazione è uno dei temi cardine. “Noi siamo un’azienda che opera nel cardiovascolare: ci sono 10mila morti per complicanze cardiovascolari legate all’influenza. Dimentichiamo che le linee guida suggeriscono il vaccino antinfluenzale proprio per evitare la cronicità e i casi fatali a seguito dell’infezione. Il 90% dei pazienti per COVID avevano oltre i 65 anni ma 2/3 di questi avevano patologie cardio-vascolari. Il tema è quindi cosa fare: investire nella prevenzione, con il vaccino in primo luogo, ma anche nell’innovazione, con terapie che modificano il percorso delle malattie cardiovascolari”.

LE ISTITUZIONI: DEFINIRE LINEE GUIDA NAZIONALI PER PAZIENTI LONG COVID

Marco Carmignan, fotografo, storyteller e National Geographic Explorer, ha presentato durante il convegno un reportage dedicato ai pazienti affetti dalla sindrome Long COVID del Policlinico Gemelli di Roma. “Il lavoro fotografico vuole focalizzarsi sul deterioramento della qualità della vita dei pazienti affetti dalla sindrome Long COVID. Le storie delle persone fotografate testimoniano come ancora oggi non ci sia un riconoscimento istituzionale di questa patologia che caratterizza soggetti che dopo aver contratto il virus sviluppano spesso problemi cronici”.

Secondo l’on. Roberta Alaimo “devono essere definite delle linee guida varate dal ministero della Salute che attribuiscano riconoscimento medico e terapeutico ai pazienti affetti dalla sindrome Long COVID. A tal proposito il 20 gennaio ho presentato un atto parlamentare, accolto dal ministero della Salute, che ha l’obiettivo di chiedere al Governo di attivare un monitoraggio dei pazienti che soffrono della Long COVID al fine di fornire loro cure specialistiche e percorsi terapeutici mirati”.

MEDICINA PERSONALIZZATA E MONITORAGGIO DATI

“Dal punto di vista tecnico – spiega il deputato Andrea Giarrizzo – occorre fare in modo che le informazioni scientifiche derivanti dai pazienti affetti dalla sindrome Long COVID vengano interscambiate tra le varie strutture che curano queste persone. Per questo motivo urge puntare sulla digitalizzazione della sanità pubblica”. Per l’on. Celeste D’Arrando questa categoria di pazienti deve necessariamente ricevere percorsi medici personalizzati. “Come Commissione, infatti, stiamo lavorando per cambiare il paradigma della presa in carico del paziente attraverso percorsi che puntino sulla implementazione della medicina del territorio e sulla telemedicina, favorendo così la prevenzione e la riduzione dell’impatto delle conseguenze mediche derivanti dalla sindrome Long COVID”.

INVESTIRE SULLA MEDICINA DEL TERRITORIO

“È necessario investire sulla medicina del territorio, puntando sulla formazione dei medici di base che devono ricevere un aggiornamento professionale continuo in modo da favorire la presa in carico precoce del paziente”. Questo il monito lanciato dalla deputata Rosa Menga. Una presa di posizione condivisa anche dall’on. Marialuce Lorefice: “Bisogna ridurre la visione ospedale-centrica. I pazienti devono essere messi in comunicazione con le istituzioni, ricevendo nell’immediato cure e trattamenti medici. Per fare ciò occorrono protocolli unitari definiti dal ministero della Salute che abbiano valore per tutte le Regioni anche in materia di trattamento dei pazienti colpiti dalla Long COVID”.

“Dobbiamo, dunque, lavorare per la definizione di programmi appositi che regolamentino le terapie per i pazienti che patiscono ancora gli effetti del virus”. È di questo avviso l’on. Emilio Carelli. “La politica – conclude – metta in atto provvedimenti legislativi che consentano di istituire nei territori centri medici in grado di fornire assistenza ai pazienti della Long COVID”.

“Il Senato oggi ha approvato una mozione unitaria per proporre al Governo iniziative concrete volte al rafforzamento della medicina territoriale. All’interno di questo atto vengono previsti dei provvedimenti che hanno l’intento di attribuire alla medicina territoriale una nuova veste che punti alla rottura del sistema ospedale-centrico attualmente presente nel nostro Paese”. Così la sen. Paola Binetti. “In questa mozione è presente una rivisitazione del ruolo del medico di famiglia che deve essere in grado di produrre diagnosi sofisticate, ricevendo un continuo aggiornamento professionale.

LAVORARE SU PREVENZIONE E MEDICINA DI GENERE

“La sanità del territorio – spiega la sen. Gelsomina Vono – deve lavorare sulla prevenzione, anticipando le eventuali conseguenze derivanti dalla contrazione del virus. Bisogna, inoltre, investire di più sulla medicina di genere. Le donne sono le più colpite dalla sindrome Long COVID”. Per la sen. Elisa Pirro, “l’assistenza domiciliare ai pazienti deve tornare a essere centrale nel sistema sanitario italiano. Occorre, dunque, rafforzare i servizi territoriali anche in relazione al Recovery Fund, spostando l’attenzione dall’ospedale al territorio”.

L’ESEMPIO DELLA REGIONE MARCHE

“Nella nostra Regione abbiamo realizzato un sistema di gestione del paziente post-COVID attraverso l’ottimizzazione della presa in carico del soggetto. Si è, quindi, individuata una modalità organizzativa per gestire questa categoria di pazienti, dando la possibilità ai medici di base di usufruire di questo modus operandi anche all’interno degli ospedali. La Regione ha, inoltre, predisposto una esenzione a favore dei pazienti della Long COVID per usufruire gratuitamente di tutte le visite specialistiche successive alla contrazione del virus”, afferma Claudio Martini, Rappresentante dell’Assessore alla Salute della Regione Marche, Filippo Saltamartini.

TAVOLI MINISTERIALI SIANO PIU’ CONCRETI

“Spesso i tavoli ministeriali non forniscono risposte concrete: occorre un nuovo assetto organizzativo. La poca pragmaticità si è intravista nel caso dell’individuazione delle categorie fragili per la somministrazione del vaccino anti-COVID. Ancora alcune patologie sono, infatti, fuori dalla campagna vaccinale”. Questo il punto di vista dell’on. Fabiola Bologna. Parere condiviso anche dalla deputata Lisa Noja. “Non esiste ancora una risposta organica per risolvere la questione del trattamento dei pazienti post-COVID, non esistono protocolli né linee guida”.