Antidepressivi non legati a emorragia intracranica


L’uso di antidepressivi non è associato a un maggiore rischio di emorragia intracranica: studio osservazionale smentisce vecchie ricerche

Antidepressivi non legati a emorragia intracranica

Contrariamente a quanto emerso in ricerche precedenti, gli inibitori selettivi della reuptake della serotonina (SSRI) non sono associati a un aumento del rischio di emorragia intracerebrale (ICH), come dimostrano i risultati di un ampio studio osservazionale che saranno presentati all’American Academy of Neurology (AAN) 2021 Annual Meeting di aprile.

Tuttavia, è stata fatta un’esortazione alla cautela nell’interpretare il risultato. «Questi risultati sono importanti, soprattutto perché la depressione è frequente dopo l’ictus e gli SSRI sono alcuni dei primi farmaci considerati per le persone» spiega Mithilesh Siddu, dell’University of Miami/Jackson Memorial Hospital, Miami, Florida.

Tuttavia, Siddu afferma che «sono necessarie ulteriori ricerche per confermare i nostri risultati e anche per esaminare se gli SSRI prescritti dopo un ictus possono essere collegati al rischio di un secondo ictus».

Dati di registro controcorrente rispetto a convinzioni consolidate
Gli SSRI, gli antidepressivo più prescritti, sono stati in passato collegati a un aumento del rischio di ICH, probabilmente a causa di una compromissione della funzione piastrinica. Per approfondire ulteriormente la questione, i ricercatori hanno analizzato i dati del Florida Stroke Registry (FSR). Hanno identificato 127.915 pazienti colpiti da ICH da gennaio 2010 a dicembre 2019 e per i quali erano disponibili informazioni sull’uso di antidepressivi.

Hanno analizzato la percentuale di casi che presentavano ICH tra gli utilizzatori di antidepressivi e il tasso di prescrizione di SSRI tra i pazienti con ictus dimessi in terapia antidepressiva. I ricercatori hanno scoperto che l’11% di coloro ai quali  erano stati prescritti antidepressivi aveva un ICH, rispetto al 14% di coloro che non avevano ricevuto tale prescrizione.

Gli utilizzatori di antidepressivi avevano maggiori probabilità di essere donne, di etnia caucasica non ispanica; di essere ipertesi, di avere il diabete e di utilizzare anticoagulanti orali, antipiastrinici e statine prima della presentazione ospedaliera per ICH.

Nelle analisi multivariate aggiustate per età, razza, storia precedente di ipertensione, diabete e anticoagulante orale precedente, uso di antipiastrinici e statina, gli utilizzatori di antidepressivi avevano la stessa probabilità di presentarsi con un ICH spontaneo tanto quanto i non utilizzatori di antidepressivi (odds ratio [OR] 0,92; IC al 95% 0,85 – 1,01).

Un totale del 3,4% di tutti i pazienti con ICH e il 9% di quelli di cui erano disponibili informazioni su specifici antidepressivi sono stati dimessi in terapia con un antidepressivo, più comunemente un SSRI (74%).

Gli autori notano una limitazione chiave dello studio: alcuni dettagli riguardanti la durata del trattamento, il dosaggio e il tipo di antidepressivo non erano disponibili.

Dati da interpretare con cautela
In ogni caso, Shaheen Lakhan, neurologo a Newton, Massachusetts e direttore esecutivo della Global Neuroscience Initiative Foundation, non coinvolto nella ricerca, esorta alla cautela nel trarre conclusioni definitive sulla base di questo studio.

«Abbiamo due domande a cui occorre dare una risposta. In primo luogo, l’uso di un SSRI è un fattore di rischio per una prima ICH? Inoltre, l’uso di SSRI dopo una ICH è un fattore di rischio per ulteriori emorragie?» afferma Lakhan.

«Questo studio affronta in modo incompleto il primo aspetto perché è noto che gli SSRI hanno una varietà di funzioni. Per esempio, la paroxetina è un forte inibitore del reuptake della serotonina, mentre il bupropione è debole in tale reuptake. Ipoteticamente, il primo ha un rischio maggiore di ICH. Poiché questo studio non è stratificato per tipo di antidepressivo, non è possibile fare verifiche» dice Lakhan.

«La seconda domanda non è completamente affrontata da questo studio ed è la vera preoccupazione nella pratica clinica, perché la possibilità di ri-sanguinamento è molto più alta del rischio di primo ICH nella popolazione generale» aggiunge.