La dieta mediterranea aiuta la prostata


La dieta mediterranea è amica della prostata: questo regime alimentare potrebbe aiutare a ridurre il rischio di progressione di alcuni tumori

Tumore alla prostata metastatico: apalutamide migliora la sopravvivenza complessiva nei pazienti sensibili agli ormoni secondo nuovi dati

Un’alimentazione ricca di frutta, verdura, legumi e cereali integrali e povera di prodotti animali e zuccheri raffinati potrebbe essere una strategia efficace e non invasiva per tenere a bada il tumore della prostata localizzato. Si tratta della dieta mediterranea, che già sappiamo essere utile nella prevenzione di tumori come quelli al colon e al seno.

Il risultato è stato pubblicato sulla rivista Cancer da ricercatori dell’MD Anderson Cancer Center, negli Stati Uniti, che hanno coinvolto nel proprio studio 410 uomini con tumore della prostata localizzato (grado di Gleason 1 o 2). I pazienti venivano seguiti con un protocollo di sorveglianza attiva, ovvero con controlli attenti e ravvicinati e non erano ancora stati sottoposti a qualche tipo di trattamento, come per esempio chemioterapia o radioterapia.

“Questi pazienti sono motivati a trovare un modo per rallentare l’avanzare della malattia e migliorare la propria qualità di vita” hanno spiegato gli autori, ricordando che la dieta mediterranea è una strategia non invasiva per migliorare la propria salute sotto diversi punti di vista.

Per capire meglio l’impatto di questo regime alimentare sulla progressione del tumore, i ricercatori hanno chiesto ai pazienti di compilare un questionario sulle proprie abitudini alimentari all’inizio del percorso di cura. Hanno poi suddiviso i partecipanti in tre gruppi in base al grado di adesione ai dettami della dieta mediterranea (basso, medio e alto).

Nello studio è stato anche calcolato un “punteggio” per misurare tale grado di adesione, più alto se la dieta mediterranea era seguita in modo più stretto, e sono state inoltre prese in considerazione alcune caratteristiche che possono influenzare l’andamento della malattia, dall’età all’uso di statine o alla presenza di diabete.

Per ogni aumento di un’unità nel punteggio, il rischio di progressione della malattia si è ridotto almeno del 10 per cento.

“Speriamo che questi risultati, che devono essere confermati in studi più ampi, possano incoraggiare i pazienti a modificare i propri comportamenti e abitudini e possano fornire alcune risposte alle domande sulla dieta che i pazienti e i loro familiari spesso si pongono” concludono gli autori.

È possibile che in Italia i benefici di un cambio di alimentazione sarebbero minori, visto che tradizionalmente nel nostro Paese la dieta mediterranea è più seguita rispetto a quanto fa la popolazione esaminata dai ricercatori americani. Tuttavia i dati di uno studio recente condotto su oltre 27.000 soggetti da un gruppo di nutrizionisti dell’Università di Milano dimostra che l’aderenza a questi principi sta diminuendo drasticamente anche nel nostro Paese.