Piastrinopenia severa: arriva nuovo farmaco orale


Piastrinopenia severa in pazienti con epatopatia cronica: un nuovo farmaco orale evita il ricorso a trasfusioni di piastrine

Piastrinopenia severa in pazienti con epatopatia cronica: un nuovo farmaco orale evita il ricorso a trasfusioni di piastrine

Grave rischio di sanguinamento per semplici procedure diagnostiche, ritardi nelle cure e mancati interventi, utilizzo di terapie sub-ottimali che non danno i risultati attesi. Sono solo alcune delle principali problematiche che i pazienti con piastrinopenia severa, o trombocitopenia, ovvero una riduzione importante della conta delle piastrine nel sangue sono costretti ad affrontare e che impattano fortemente sulla loro vita come mostra un’indagine condotta da EpaC Onlus. L’unico trattamento finora disponibile era la trasfusione di piastrine che è però accompagnato da varie problematiche. Oggi arriva una nuova opzione terapeutica, orale, in grado di indurre l’aumento della conta piastrinica evitando il ricorso alle trasfusioni e migliorare il percorso di cura e la qualità di vita.

La trombocitopenia è una patologia che si manifesta in chi è già affetto da epatopatia cronica (CLD), cioè da malattie del fegato che, come la cirrosi epatica, oggi colpiscono circa 29 milioni di persone in Europa e rappresentano un grave problema di sanità pubblica.
La trombocitopenia è la complicazione ematologica più frequente in queste patologie epatiche con una prevalenza che, in presenza di cirrosi, può verificarsi in oltre il 78% dei pazienti. Tra i cirrotici, la trombocitopenia nella sua forma severa, caratterizzata da una conta piastrinica inferiore alle 50.000 unità per microlitro, può colpire fino al 13% dei pazienti.

“La cirrosi epatica spesso viene associata esclusivamente all’abuso di alcol; in realtà sappiamo che nel mondo occidentale la prima causa di cirrosi epatica stanno diventando i disturbi metabolici, il fegato grasso che evolve fino a una condizione di cirrosi ma anche le epatiti virali e anche malattie autoimmuni de fegato che possono evolvere fino alla cirrosi epatica. Quindi, qualsiasi danno cronico del fegato porta questo organo a trasformarsi in un fegato cirrotico che diventa più duro perché ha delle alterazioni strutturali molto importanti dovute al tessuto fibrotico, accoglie male il flusso di sangue e la pressione della vena porta aumenta e la milza a monte si ingrandisce, quest’ultima è un grosso filtro per tutti gli elementi del sangue soprattutto per le piastrine e in caso di splenomegalia vengono sequestrate le piastrine con riduzione della trombopoietina, il principale fattore che stimola le cellule ematopoietiche a produrre nuove piastrine” spiega Umberto Vespasiani Gentilucci, Professore Associato di Medicina Interna, Unità di Epatologia, Policlinico Universitario Campus Bio-Medico di Roma

“La patologia espone i pazienti ad un incrementato rischio di sanguinamento durante procedure invasive sia di natura diagnostica che interventistica, anche se di modesta entità. Fino ad oggi, questo problema è stato affrontato con soluzioni che possiamo definire sub-ottimali, ed è sempre più grande l’esigenza di accedere a nuove potenzialità terapeutiche per non dover rallentare o rimandare le cure o, addirittura, impedire che i pazienti possano proseguire correttamente il loro percorso terapeutico”.
La trombocitopenia severa ha infatti un impatto negativo sulla gestione dei pazienti perché, oltre ad aggravare il sanguinamento traumatico o post-operatorio, può complicare significativamente le procedure standard di diagnosi e cura del paziente, come la biopsia epatica, procedure mediche indicate o elettive per pazienti cirrotici, ma anche ordinarie estrazioni dentarie, con il risultato di trattamenti erogati in modo tardivo o addirittura annullati.

Trattamento della forma severa di trombocitopenia
“La trasfusione piastrinica è stata fino ad oggi il gold standard per la correzione della forma più severa di trombocitopenia, ma questa soluzione si rivela spesso inadeguata e inefficace per diversi fattori: la disponibilità di piastrine è infatti scarsa, comporta rischi infettivi e sovraccarico emodinamico e la sua efficacia sull’aumento delle piastrine non solo non è prevedibile, ma in ogni caso non arriva a compensarne totalmente la carenza” – chiarisce Domenico Alvaro, Professore Ordinario di Gastroenterologia, Università La Sapienza, Roma.

“Questo è il contesto all’interno del quale si inserisce una nuova soluzione terapeutica, che offre grandi vantaggi sia al paziente sia agli specialisti e al sistema sanitario. Lusutrombopag è una terapia orale che induce l’aumento della conta piastrinica oltre la soglia delle 50mila unità, con un’efficacia che sfiora il 90%, e da assumere a casa prima di procedure invasive, evitando così trasfusioni piastriniche”.

Meccanismo d’azione di lusutrombopag
Lusutrombopag è una molecola che agisce con un nuovo meccanismo d’azione, legandosi ai recettori della trombopoietina e simulando l’azione di questo ormone, responsabile del processo che attiva la produzione e la maturazione delle piastrine a livello endogeno. Il paziente, a casa, ne assume una compressa al giorno per sette giorni, cominciando il trattamento una settimana prima della data fissata per l’intervento.

I dati provenienti dagli studi real life e registrativi hanno dimostrato che lusutrombopag è in grado di produrre un incremento netto del numero di piastrine con un effetto benefico prolungato fino a 15 giorni dalla conclusione del ciclo di terapia; ha inoltre un buon profilo di sicurezza e, diversamente dalla trasfusione piastrinica, non ha registrato effetti collaterali o causato il rischio di fenomeni tromboembolici.
Questa novità terapeutica può quindi avere dei risolti positivi nella vita dei pazienti e limitare i disagi e le problematiche con cui convivono quotidianamente.

“Abbiamo deciso di raccogliere maggiori informazioni sulle difficoltà, le barriere e le criticità del Sistema Salute affrontati ogni giorno dalle persone che soffrono di piastrinopenia severa, così da fornire evidenze concrete, reali e affidabili ai medici e ai decisori, che hanno il compito di trovare una risposta ai bisogni ancora insoddisfatti. L’obiettivo finale è sempre quello di migliorare l’assistenza e la qualità di vita dei pazienti” commenta Massimiliano Conforti, Vice Presidente di EpaC Onlus.
“Il beneficio maggiore derivante dalla disponibilità di questo nuovo trattamento è sicuramente il fatto di poter eseguire la terapia direttamente a casa propria piuttosto che dover affrontare un’ospedalizzazione seguita da trasfusione piastrinica. Questa nuova opportunità rappresenta un enorme passo avanti sia in termini di praticità che di accettabilità della terapia e una svolta per la qualità di vita di molte persone”.

La semplicità di utilizzo e l’efficacia di lusutrombopag implicano anche vantaggi dal punto di vista organizzativo ed economico per il sistema sanitario: “La disponibilità di lusutrombopag consente di ridurre il ricorso alle trasfusioni piastriniche, una risorsa scarsa e con efficacia limitata per questa tipologia di pazienti, ma che potrebbe essere utilizzata più efficientemente per soddisfare il bisogno clinico di altri pazienti in altre aree terapeutiche.
L’adozione del farmaco limita oneri aggiuntivi alle strutture ospedaliere passando dalla necessità di organizzare un ricovero ordinario – con una degenza più o meno prolungata e una gestione ospedaliera – anche per le procedure più semplici a una gestione ambulatoriale” – spiega Enrica Maria Proli, Direttore U.O.C. Farmacia del Policlinico Umberto I di Roma.

Ma non è tutto. In virtù dell’effetto prolungato del farmaco sull’innalzamento della conta piastrinica, la nuova opzione terapeutica consente la pianificazione delle procedure invasive con un timing più flessibile, snellendo l’organizzazione e riducendo le liste d’attesa.
Da un’analisi di impatto economico sull’utilizzo di lusutrombopag nei pazienti residenti in Regione Lazio ed affetti da epatopatia, si è calcolato un risparmio diretto corrispondente a -18,57% sulla spesa sanitaria che si avrebbe con la trasfusione di piastrine ed il necessario ricovero.

Indagine di EpaC onlus sull’impatto della malattia
Le difficoltà che queste persone affrontano o che hanno vissuto in passato proprio per effetto della trombocitopenia severa sono emersi in modo forte anche nell’indagine promossa dall’Associazione EpaC Onlus che ha coinvolto in modo diretto i pazienti affetti dalla patologia.
Dalla survey è emerso soprattutto l’impatto significativo che la malattia ha sulla vita dei pazienti: 4 partecipanti su 5 hanno dichiarato importanti limitazioni nelle normali attività quotidiane a causa della patologia, che condiziona anche semplici gesti, attività, hobbies o addirittura l’ambito lavorativo con un’inevitabile riduzione della qualità di vita.

Il 47.9 dei pazienti partecipanti all’indagine aveva epatite C, il 31.7% cirrosi, il 7.2% epatite B e la restante parte aveva tumore del fegato, epatite autoimmune, epatite alcolica e fegato grasso. Il 67.4% del campiono soffriva di trombocitopenia severa e il 32.6% ne aveva sofferto in passato.
Tra i dati più rilevanti della survey si rileva che il 15% dei partecipanti ha rifiutato alcune procedure invasive proprio per il rischio di sanguinamento, e quasi la metà ha affermato di essere stato sconsigliato dal proprio medico di sottoporsi a procedure invasive. Inoltre, è importante sottolineare il dato relativo alla percezione delle soluzioni terapeutiche attuali, che vengono considerate poco efficaci e che quindi godono di una scarsa fiducia: nel 96% dei casi, i partecipanti hanno affermato di desiderare soluzioni alternative, con addirittura il 60% che si dichiara pronto ad accettarle a prescindere dalle condizioni.

L’indagine riporta un quadro preoccupante, in cui le scelte dei pazienti sono fortemente condizionate anche dalle limitate opzioni di cura disponibili fino ad oggi per la gestione della trombocitopenia severa: il trattamento standard finora utilizzato per correggere la malattia nei pazienti con epatopatia cronica è infatti la trasfusione piastrinica, un approccio che è tuttavia sub-ottimale dal punto di vista clinico e che influenza significativamente i pazienti nell’accettare o rifiutare le procedure invasive cui sono candidati, sia per il timore di possibili infezioni sia per il basso livello di protezione ottenuto a fronte di un sanguinamento.