Obesità: più dura più aumenta il rischio diabete


Maggior rischio di diabete e disturbi cardiometabolici se l’obesità dura a lungo secondo i risultati di un nuovo studio

Obesità: più dura più aumenta il rischio diabete

Le persone che soffrono per lungo tempo di obesità hanno un rischio di sviluppare il diabete e altri disturbi cardiometabolici più elevato rispetto ai non obesi o a quanti lo sono per un periodo più breve. Sono i risultati di uno studio pubblicati sulla rivista PLOS Medicine.

L’obesità è un problema di salute pubblica a livello globale. La prevalenza mondiale dell’obesità infantile e adolescenziale è aumentata dallo 0,9% e dallo 0,7% rispettivamente nei ragazzi e nelle ragazze nel 1975 al 7,8% e al 5,6% nel 2016. Questi aumenti dell’obesità infantile sono legati ad aumenti significativi della condizione negli adulti, la cui prevalenza è cresciuta per maschi e femmine rispettivamente dal 3% e 6,6% nel 1975 all’11,6% e al 15,7% nel 2016, hanno premesso gli autori.

Poiché è stato dimostrato che oggi gli individui più giovani stanno accumulando una maggiore esposizione al sovrappeso o all’obesità per tutto il corso della loro vita, è quindi fondamentale comprendere meglio l’influenza della durata dell’obesità sullo sviluppo dei fattori di rischio cardiometabolici.

«I nostri risultati dimostrano l’importanza di ritardare l’insorgenza dell’obesità, ma perdendo peso è possibile ridurre il rischio di malattie cardiometaboliche» ha dichiarato il primo autore dello studio Tom Norris della Loughborough University in UK. «Suggeriscono inoltre che il numero di anni trascorsi con un indice di massa corporea al di sopra della soglia dell’obesità aumenta il rischio di diabete».

Analisi di tre studi
I ricercatori hanno analizzato i dati di tre studi di coorte britannici sulle nascite: la National Survey of Health and Development (NSHD) del Medical Research Council, il National Child Development Study (NCDS) e il 1970 British Cohort Study (BCS70).

L’indice di massa corporea (BMI) è stato calcolato in base all’altezza e al peso misurati o auto-riportati all’età di 11, 15, 20, 26, 36 e 43 anni nell’NSHD, 11, 16, 23, 33 e 42 anni nell’NCDS e 10, 16, 26, 30, 34 e 42 anni nel trial BCS70. All’età di 53 anni nella NSHD, 44 anni nella NCDS e 46 anni nella BCS70 sono stati raccolti campioni di sangue per misurare i livelli di emoglobina glicata (HbA1c), pressione sanguigna sistolica e diastolica e colesterolo HDL. Nel complesso sono stati analizzati i dati di oltre 20mila partecipanti, circa la metà dei quali di sesso maschile.

Aumento della HbA1c e della pressione
Una maggiore durata dell’obesità (BMI > 30 kg/m2) è stata associata a valori peggiori per tutti i fattori di rischio di malattia cardiometabolica, ma l’associazione più forte si è rivelata con i livelli di emoglobina glicata.

Dopo avere aggiustato i risultati in base alla gravità dell’obesità, rispetto ai soggetti che non sono mai stati obesi, una durata dell’obesità di 10-40 anni è stata associata a un aumento del 4,5% della HbA1c, mentre per una durata inferiore ai 5 anni il rischio di HbA1c elevata era 2,1 volte maggiore. Il rischio era ancora più elevato per quelli obesi da 20-30 anni (rischio relativo RR = 4,6). Anche se attenuata dopo gli aggiustamenti, l’associazione è rimasta statisticamente significativa (p=0,006 per il trend).

I partecipanti obesi da 10-40 anni avevano una pressione arteriosa sistolica superiore del 6,1% e una pressione diastolica maggiore del 7,1% in confronto con quanti non hanno mai sofferto di obesità. In base ai dati non aggiustati, la durata dell’obesità era associata a una pressione arteriosa sistolica e diastolica più elevata, ma dopo l’aggiustamento per la gravità della condizione l’associazione risultava notevolmente ridotta.

Maggior rischio di ipertensione e bassi livelli di HDL
Essere obesi per 10-40 anni, indipendentemente dalla gravità, è stato anche associato a un aumento del rischio di ipertensione (RR = 1,6) e di bassi livelli di colesterolo HDL (RR = 2), che aumentava gradualmente al crescere della durata dell’obesità nei dati non aggiustati, ma che anche in questo caso si attenuava dopo gli aggiustamenti in funzione della gravità.

«Ci aspettavamo di vedere risultati peggiori tra le persone che erano obese da più tempo», ha detto Norris. «Ma siamo rimasti sorpresi dal fatto che l’associazione tra durata dell’obesità e livelli di HbA1c fosse ancora ampiamente presente dopo aver tenuto conto della gravità dell’obesità, a differenza degli altri parametri considerati».

Per gli autori dello studio la correlazione tra gli esiti cardiometabolici peggiori e la durata dell’obesità rivelano l’importanza di trattare la condizione nella fase iniziale. «Riteniamo che sia necessario porre una grande attenzione sull’affrontare l’obesità infantile, che a sua volta ridurrà la durata della vita di una persona e quindi ridurrà il rischio di un profilo cardiometabolico avverso in età adulta. «Sosteniamo che vengano effettuate misurazioni regolari del BMI, specialmente durante l’infanzia e l’adolescenza, in modo da identificare quanti mostrano modelli di sviluppo del BMI che potrebbero culminare nell’obesità».

«Dato che l’epidemia di obesità è caratterizzata da un esordio molto precoce e quindi da una maggiore esposizione nel corso della vita, i nostri risultati suggeriscono che le raccomandazioni delle politiche sanitarie volte a prevenire l’insorgenza precoce della condizione, e quindi a ridurre la durata dell’esposizione, possono aiutare a ridurre il rischio di diabete, indipendentemente dalla gravità dell’obesità» hanno concluso.

Bibliografia

Norris T et al. Duration of obesity exposure between ages 10 and 40 years and its relationship with cardiometabolic disease risk factors: A cohort study. PLoS Med. 2020 Dec 8;17(12):e1003387. 

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