Mutazioni Brca: proposto un nuovo nome


Mutazioni Brca, la proposta: “Nuovo nome, riguardano anche gli uomini”. Parla Bernardo Bonanni, direttore della Divisione di Prevenzione e Genetica  dello IEO

Mutazioni Brca: proposto un nuovo nome

Arriva dalle pagine di ‘Nature’ la proposta di rinominare la sindrome del cancro ereditario della mammella e dell’ovaio. Bernardo Bonanni, direttore della Divisione di Prevenzione e Genetica e Coordinatore dell’High Risk Center dello IEO di Milano, ha spiegato all’associazione Mutagens, intervistato da Antonella Sparvoli, il senso di questa proposta “che potrebbe avere importanti implicazioni anche per gli uomini e per altri organi”.

Bonanni è anche coordinatore del Team Genetica Medica del Progetto pilota di Patient Engagement, che riguarda proprio le persone portatrici di mutazioni genetiche germinali associate ai tumori eredo-familiari; un progetto nato dalla collaborazione di Mutagens, Alleanza Contro il Cancro (ACC) e quattro prestigiosi IRCCS (IEO, Ospedale San Raffaele di Milano, Humanitas di Rozzano e Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli di Roma).

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Quali sono le principali motivazioni per cui avrebbe senso cambiare il nome della sindrome?
“Il cambio di denominazione potrebbe essere un valido strumento per promuovere una svolta nelle strategie di prevenzione, diagnosi e terapia dei diversi tumori associati alle mutazioni nei geni BRCA. Un approccio nuovo che poi, per essere pienamente funzionale, dovrebbe tradursi in rimborso del test da parte del nostro sistema sanitario pubblico. Il termine Sindrome del cancro ereditario della mammella e dell’ovaio (HBOC) individua il rischio aumentato dei tumori di seno e ovaie nelle donne portatrici di mutazioni nei geni BRCA, tuttavia è ormai molto chiaro che queste mutazioni predispongono anche ad altre forme di cancro (prostata, pancreas e melanomi, oltre al tumore della mammella maschile). Proprio per questo motivo i test genetici per la ricerca di queste mutazioni andrebbero estesi a una platea più ampia e non solo per lo più alle donne come accade oggi”.

Continua Bonanni: “Per esempio, un maschio che ha sviluppato un tumore alla prostata in età giovanile, con una familiarità suggestiva per la presenza di mutazioni genetiche germinali (magari perché madre o sorelle hanno avuto un tumore al seno o all’ovaio), è senza dubbio eleggibile per test genetico, ma attualmente, se dobbiamo seguire le indicazioni del nostro sistema sanitario, non possiamo farlo. Per intenderci meglio, si può fare un parallelo con la Sindrome di Lynch, altra frequente condizione ereditaria che comporta un elevato rischio di tumori intestinali, ma anche di tumori dell’utero, ovaio, stomaco, vie urinarie. Per un certo periodo ci si è riferiti a questa sindrome utilizzando il termine HNPCC, cioè cancro colorettale ereditario non poliposico, denominazione che poi è diventata sempre più ‘stretta’. Infatti si è visto che alcuni pazienti presentavano polipi e soprattutto che, oltre all’intestino, c’erano altri organi bersaglio nello spettro della sindrome, motivo per cui si è deciso di utilizzare il nome Sindrome di Lynch, dal nome del suo scopritore. E questo è un po’ quello che si vorrebbe fare con la sindrome HBOC”.

Quale nome è stato proposto?
“Dalle pagine della rivista Nature, Colin Pritchard, direttore della diagnostica di precisione e del laboratorio di genetica e tumori solidi dell’University of Washington di Seattle, ha proposto la denominazione di ‘sindrome di King’, in memoria della ricercatrice Mary-Claire King, che per prima ha compreso che i tumori mammari e ovarici ereditari erano associati a un singolo gene. Proposta che io stesso, insieme ad altri colleghi, appoggio in pieno, come ribadito anche in una nostra lettera pubblicata sulla stessa rivista. Ritengo che quello di Sindrome di King sia un nome facile da ricordare ed efficace. Non contenendo riferimenti al tipo di cancro o al genere (femminile o maschile), potrebbe favorire una maggiore consapevolezza del fatto che le mutazioni nei geni BRCA1 e BRCA2 non sono appannaggio del sesso femminile e di seno e ovaio. Una nuova denominazione potrebbe portare a espandere i test agli uomini e a coinvolgerli pienamente nelle indagini genetiche in queste famiglie ad alto rischio”.

Quale ricadute potrebbe avere questa variazione?
“Far capire alle persone, con un nome semplice e corretto, che il sesso maschile può essere implicato come portatore di mutazioni BRCA (e quindi potenziale veicolo per la trasmissione alle generazioni successive) ed essere ad alto rischio di alcuni tumori, potrebbe favorire un’estensione degli interventi di prevenzione e diagnosi precoce. Attualmente negli uomini la consulenza oncogenetica viene presa in considerazione principalmente quando, indipendentemente dalla storia familiare, il soggetto sviluppa un carcinoma della mammella. Ma oggi si sono ormai aperte nuove prospettive e il cambio del nome potrebbe amplificarle. Si è visto, per esempio, che nel maschio, soprattutto le mutazioni nel gene BRCA2, comportano appunto un rischio consistente di tumore della mammella e della prostata (spesso a insorgenza giovanile prima dei 50 anni e biologicamente più aggressivo), di melanomi e di tumori del pancreas. Nei portatori di mutazioni in questo gene occorre avviare un monitoraggio non solo senologico, ma anche urologico, prima dei 50 anni. Per il rischio di melanoma cutaneo e oculare va monitorata anche la cute con visite dermatologiche e il fondo dell’occhio con visite oculistiche. E poi vanno fatti controlli periodici su pancreas e vie biliari. Un nuovo nome– conclude il direttore della Divisione di Prevenzione e Genetica e Coordinatore dell’High Risk Center dello IEO di Milano- potrebbe dunque contribuire a far capire alle persone sane e ammalate che questa sindrome riguarda entrambi i sessi, che può essere trasmessa ai figli anche dal padre e che può essere legata a geni non solamente correlati al rischio tumorale femminile”.