Leucemia: nuova tecnica per radioterapia prima del trapianto


Radioterapia prima del trapianto nei pazienti con leucemia: una nuova tecnica per risparmiare i tessuti sani. Ecco come funziona

Radioterapia prima del trapianto nei pazienti con leucemia: una nuova tecnica per risparmiare i tessuti sani. Ecco come funziona

Humanitas e Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo sono i due centri italiani che hanno preso parte alla review della letteratura della total marrow irradiation (TMI), una tecnica di irradiazione innovativa utilizzata nella terapia di preparazione (il cosiddetto condizionamento) di pazienti con leucemia avviati a trapianto di midollo osseo.

La review, dal titolo Total marrow and total lymphoid irradiation in bone marrow transplantation for acute leukaemia, è stata pubblicata a inizio ottobre su The Lancet Oncology, una tra le più prestigiose riviste di Oncologia Clinica ed è stato scritto da un team di ricercatori internazionali che include la professoressa Marta Scorsetti, Responsabile di Radioterapia e Radiochirurgia di Humanitas e docente di Humanitas University, Pietro Mancosu, fisico di Humanitas e il professor Andrea Filippi, Direttore della Radioterapia del Policlinico San Matteo di Pavia.

A cosa serve la Radioterapia prima del trapianto

Come spiega il professor Armando Santoro, Direttore di Humanitas Cancer Center, la radioterapia era utilizzata nel condizionamento dei pazienti candidati a trapianto di midollo osseo già nel lavoro originale del professor Thomas, premio Nobel per la Medicina nel 1990 proprio per le scoperte riguardanti il trapianto di midollo osseo nelle malattie ematologiche.

Le radiazioni sono volte a sopprimere il sistema immunitario del ricevente per prevenire il rigetto del midollo del donatore e per eliminare le cellule neoplastiche che restano dopo i trattamenti chemioterapici nelle malattie ematologiche quali leucemie, linfomi e mielomi.

Una nuova tecnica radioterapica per risparmiare i tessuti sani

“Storicamente questi pazienti ricevevano un’irradiazione corporea totale (in inglese Total Body Irradiation – TBI). Per definizione, nell’irradiazione corporea totale tutto il corpo viene irradiato: sia il midollo osseo sia gli organi circostanti, causando possibili tossicità ai tessuti sani. Proprio per questo, Jeffrey Wong, professore e direttore del dipartimento di radioterapia di City of Hope e primo autore dello studio, ha proposto nel 2005 la total marrow irradiationuna tecnica radioterapica per poter colpire il midollo ma risparmiare gli organi circostanti a rischio”, ha aggiunto la professoressa Marta Scorsetti, coautrice dello studio.

La Total Marrow Irradiation in Humanitas

Grazie agli sforzi del team di radioterapia di Humanitas nel 2010 è stato trattato il primo paziente con total marrow irradiation con acceleratore lineare e tecnica volumetrica. Uno tra i primi casi al mondo.

Come sottolinea il fisico Pietro Mancosu, tra gli autori dell’articolo: “La total marrow irradiation è stata resa possibile grazie all’abilità nello sfruttare al meglio l’avanzamento tecnologico dei sistemi di trattamento radioterapici e dalla potenza di calcolo dei computer moderni. Si tratta infatti del trattamento più complesso in ambito radioterapico. Il volume da irradiare è molto più grande dei volumi che si trattano solitamente in radioterapia (oltre 10.000 cm3 rispetto a una media di 1-1.000 cm3). Proprio per questa ragione il trattamento dura circa un’ora, molto di più rispetto agli altri trattamenti con acceleratore lineare che normalmente hanno una durata di massimo 15 minuti. Solo grazie a un team multidisciplinare che include ematologi, radio oncologi, fisici sanitari e tecnici di radiologia è stato possibile implementare questa tecnica”.

Il professor Andrea Filippi, professore straordinario di Diagnostica per immagini e radioterapia dell’Università di Pavia e direttore del reparto di Radioterapia Oncologica della Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia, nonché corresponding author del lavoro pubblicato su Lancet ha sottolineato che “al momento solo pochissimi centri al mondo hanno introdotto questa tecnica nella pratica clinica”.

“Nell’articolo – prosegue Filippi – proponiamo alcune strade per accelerare lo sviluppo di questa tecnica e renderla eseguibile in più centri, con lo scopo di aumentare le capacità di controllo della malattia e ridurre la tossicità a breve e lungo termine”.