Padre Maccalli racconta la prigionia agli studenti


Padre Maccalli, missionario rapito in Niger nel 2018 e rilasciato lo scorso ottobre, ha raccontato in una scuoa del suo paese natale la lunga prigionia

Padre Maccalli racconta la prigionia agli studenti

“Per 752 giorni sono rimasto prigioniero. Mi hanno tenuto legato alla catena giorno e notte. Ho vissuto nella prigione del deserto del Mali, dormendo solo sulla sabbia ma non provo rancore per i miei rapitori“. A raccontare del suo sequestro è padre Gigi Maccalli, il missionario rapito in Niger il 17 settembre del 2018 e rilasciato solo lo scorso mese di ottobre. Per la prima volta parla a dei bambini e ha scelto di farlo nel suo paese natale dove sta trascorrendo questi mesi in attesa di decidere del suo futuro. Ad incontrarlo è stata una classe quinta che per due ore ha sottoposto padre Gigi ad innumerevoli domande. “Quella sera- ha raccontato il missionario- sono stato catturato da un gruppo di persone che sono entrate in casa mia mentre stavo preparandomi ad andare a dormire. Ero in pigiama e ciabatte. Credevo fossero dei ladri ma non è stato così. Dopo 17 giorni in moto, attraversando posti impervi siamo arrivati in nel deserto del Mali. Il 5 ottobre mi hanno messo per la prima volta le catene alla caviglia che mi toglievano solo per poter espletare i bisogni fisiologici”.

Un’azione messa in atto dagli jihadisti del gruppo di sostegno all’Islam e ai musulmani: “Per cinque mesi sono rimasto da solo poi mi hanno presentato Luca, un giovane italiano che avevano rapito e infine un terzo ostaggio, Nicola”.

Curiose le domande dei bambini sulla prigionia: “Hai temuto che non ti liberassero più? Cosa ti davano da mangiare? E se avevi bisogno di medicine? Ti facevano lavorare? Cosa ti dicevano i tuoi rapitori?”. Interrogativi ai quali padre Gigi ha risposto con sincerità emozionando i ragazzi: “Temevo che non finisse mai. Sapevo che avevano altri ostaggi che sono sequestrati da più anni di quanto abbia fatto io. Un giovane rumeno e’ nelle loro mani da sei anni. Ma ogni giorno mi dicevo che dovevo resistere. Mangiavo l’essenziale. Riuscivo a bollire l’acqua per purificarla. Ci davano cipolla, lenticchie, riso e una scatola di sardine. Qualche volta frutta e verdura. Ho perso 22 chili. Mi hanno chiesto se avevo bisogno di medicine e ho chiesto del Paracetamolo che mi hanno portato. Non mi hanno mai fatto lavorare, nemmeno picchiato. Mi hanno solo offeso le loro parole qualche volta. Con i rapitori, dei ragazzi molto giovani sempre armati, si è instaurato un dialogo. Uno di loro la sera veniva da me per imparare i numeri in francese. Volevano imparare a leggere e scrivere. Il loro capo l’ultimo giorno mi ha chiesto scusa“.

Tante, racconta la Dire (www.dire.it), anche le curiosità sulla liberazione e sul futuro: “Come ti sei sentito una volta libero? Chi hai incontrato? Com’è stato celebrare di nuovo la Messa? E ora che farai? Vuoi tornare in Africa?”. Padre Gigi è stato capace di toccare il cuore dei bambini: “Credo che mi abbiano liberato grazie a uno scambio, ad una negoziazione. Qualche giorno prima che ci lasciassero andare avevamo saputo che 100 prigionieri jihadisti erano usciti dal carcere. Da prigioniero non potevo leggere la Bibbia. Ripetevo nella mia testa il rito della Messa e negli ultimi tempi mi concentravo soprattutto sulle parole che il sacerdote pronuncia all’atto dell’eucarestia. Quando ho potuto celebrare la prima Messa ho piantoOra voglio tornare in Africa. Sono innamorato di quel continente. Questi due anni di prigionia non rovinano la mia immagine dell’Africa. Desidero tornare nella mia missione, se sarà possibile, per ringraziare e salutare tutte le persone che hanno pregato per me. Voglio tornare in Africa per disarmare la parola armata. Oggi sono libero per liberare“.