Radioterapia ghiandola mammaria: quando si può evitare


Tumore al seno: ecco quando può essere evitata l’irradiazione dell’intera ghiandola mammaria nel trattamento delle pazienti più anziane

Radioterapia ghiandola mammaria: quando si può evitare

Secondo i dati dello studio PRIME 2, presentati al San Antonio Breast Cancer Symposium 2020 (SABCS20), l’irradiazione dell’intera ghiandola mammaria (whole breast irradiation, WBI), a seguito di un intervento chirurgico conservativo e della terapia endocrina adiuvante, può essere evitata nel trattamento delle pazienti più anziane (età ≥ 65 anni) a basso rischio con tumori pT1-2 (fino a 3 cm) che risultano sotto controllo locale a 10 anni.

Alla luce di queste evidenze, i ricercatori, guidati da Ian Kunkler del Cancer Research UK Edinburgh Centre, hanno espresso la raccomandazione di non effettuare la radioterapia (RT) postoperatoria in questa popolazione, perché nessuna prova indica che tale omissione aumenti il rischio di malattia metastatica o influenzi negativamente la sopravvivenza.

Studiate pazienti di età pari o superiore a 65 anni post-intervento conservativo
Esistono evidenze limitate di livello 1 sugli esiti a lungo termine dopo l’RT locoregionale in seguito a chirurgia conservativa nelle pazienti più anziane quando stanno anche ricevendo un’appropriata terapia sistemica. Tanto che la pratica clinica e le linee guida sono variabili. Lo studio PRIME 2 è uno studio internazionale di fase 3, randomizzato e controllato, disegnato per affrontare questa specifica questione.

Il razionale di PRIME 2, infatti, è di fornire per la prima volta evidenze di livello 1 sull’effetto sul controllo locale e dell’impatto sulla qualità della vita (QoL) dell’RT postoperatoria dopo chirurgia conservativa e una terapia endocrina adiuvante nelle pazienti più anziane a basso rischio.

In precedenza, i risultati dello studio PRIME 1 avevano mostrato che l’RT era ben tollerata, senza compromettere la QoL globale. Lo studio CALGB 9343 ha poi evidenziato che, in pazienti a rischio molto basso, la chirurgia conservativa e il trattamento con tamoxifene, con o senza WBI, si è tradotto in un tasso di recidiva locale a 10 anni del 2% nelle donne sottoposte alla RT e del 9% nel gruppo non sottoposto all’RT (no-RT).

“Recentemente, i risultati a 5 anni dello studio PRIME 2, che ha un disegno simile al CALGB 9343, hanno dimostrato che l’RT ha ridotto significativamente il rischio di recidiva dal 4,1% all’1,3%” ha affermato Kunkler nella sua presentazione.

Indagata la non effettuazione dell’irradiazione del seno intero
Per lo studio PRIME-2, I ricercatori hanno reclutato 1326 pazienti che, da aprile 2003 a dicembre 2009, sono state assegnate all’effettuazione (668 pazienti) o alla non effettuazione (658 pazienti) della WBI con 40-50 Gy in 15-25 frazioni.

Le pazienti eleggibili avevano un’età pari o superiore a 65 anni, un carcinoma mammario invasivo unilaterale confermato istologicamente, di stadio T1-2 (fino a 3 cm) N0, M0, con recettori ormonali positivi, margini di escissione liberi (minimo 1 mm), linfonodi ascellari negativi (pN0) ed erano state precedentemente trattate con terapia endocrina adiuvante. Erano incluse anche pazienti che avevano tumori di grado 3 o invasione linfovascolare, ma non entrambi.

L’endpoint primario dello studio era il tasso di recidiva ipsilaterale del tumore al seno (IBTR), mentre gli endpoint secondari erano i tassi di recidiva regionale, cancro al seno controlaterale e metastasi a distanza, la sopravvivenza libera da malattia (DFS) e la sopravvivenza globale (OS).

Il target di arruolamento era di 1300 pazienti, calcolato per rilevare una differenza del 3% nei tassi di IBTR a 5 anni, con una potenza dell’80% e una significatività del 5%. Entrambi i bracci dello studio erano ben bilanciati per i vari parametri.

“La maggior parte delle pazienti aveva tumori inferiori a 20 mm” ha precisato Kunkler. “In termini di grado, oltre il 95% delle donne aveva tumori di grado 1 o 2, con una minoranza di pazienti con tumori di grado 3” ha aggiunto l’autore.

Differenza tra I tassi di recidiva ipsilaterale, endpoint primario raggiunto
Il follow-up mediano era di 7,3 anni. A 10 anni, l’IBTR era del 9,8% (IC al 95% 6,5-13,2%) nel braccio no-RT e dello 0,9% (IC al 95% 0,1-1,6%) nel braccio RT, con rapporto di rischio (HR) pari a 0,12 (IC al 95% 0,05-0,31, P < 0,0001) nel braccio RT.

Riguardo agli endpoint secondari, si è registrata una maggiore incidenza di recidive regionali nel braccio no-RT (2,3%) rispetto al braccio RT (0,5%; P = 0,014). Non si sono, però, osservate differenze in termini di recidiva a distanza, cancro al seno controlaterale o nuovi carcinomi non mammari, ha detto Kunkler.

Il tasso di OS a 10 anni non ha mostrato alcuna differenza nel braccio no-RT (80,4%) rispetto al braccio RT (81,0%). Allo stesso modo, non si sono osservate differenze di sopravvivenza libera da metastasi tra il braccio no-RT e il braccio RT (rispettivamente 98,1% contro 96,4%, P = 0,28).

I decessi causati da cancro al seno sono stati otto (9%) nel braccio no-RT rispetto a tre (4%) nel braccio RT. «La maggior parte dei decessi» ha specificato Kunkler «non sono stati causati da una recidiva del cancro al seno, né si è osservata alcuna influenza significativa dell’RT su questo parametro (P = 0,17)».

L’influsso dello stato dei recettori per gli estrogeni
I ricercatori hanno effettuato anche un’analisi di sottogruppo degli esiti (non pianificata nel protocollo) in funzione dello stato dei recettori per gli estrogeni (ER) nel braccio no-RT.

In particolare, hanno confrontato pazienti rispettivamente con espressione elevata o bassa degli ER, riscontrando nelle donne con espressione elevata degli ER un tasso di fallimento a 10 anni del 9,2%, rispetto al 18,8% nelle pazienti con bassa espressione degli ER (P = 0,007). “Dovremmo essere cauti nel non effettuare l’RT in pazienti che hanno una bassa espressione degli ER” ha commentato Kunkler.

Nessuna variazione in termini di sopravvivenza globale
“La maggior parte dei decessi (il 93,4%) nella popolazione dello studio PRIME-2 non sono stati causati dal cancro al seno” ha specificato Kunkler.

“I dati di follow-up a 10 anni dello studio mostrano che nelle pazienti con tumori al di sotto dei 3 cm, con recettori ormonali positivi e linfonodi negativi, l’evitamento della WBI postoperatoria si è associato a un tasso a 10 anni di IBTR solo del 9,8%. Sebbene questo tasso sia ridotto in modo significativo dalla RT (allo 0,9%)»” ha precisato l’autore «la riduzione assoluta è modesta, e non si sono osservate differenze nelle incidenze di metastasi a distanza e cancro al seno contralaterale; né di OS, e si è riscontrata solo una piccola ma significativa differenza in termini di recidiva regionale”.

Questi dati, ha concluso Kunkler, suggeriscono che l’RT postoperatoria in questo gruppo di pazienti che stanno effettuando una terapia ormonale adiuvante non ha impatto sull’OS nel contesto degli attuali approcci di terapia adiuvante locale e sistemica, e che la maggior parte delle pazienti in entrambi i bracci dello studio è morta per cause non correlate al tumore mammario o al suo trattamento.

I. Kunkler, et al. PRIME 2 randomized trial (Postoperative Radiotherapy in Minimum-Risk Elderly): wide local excision and adjuvant hormonal therapy +/- whole breast irradiation in women ≥65 years with early invasive breast cancer: 10 year results. SABCS 2020; poster GS2-3. leggi