Mieloma multiplo: bene tripletta con ixazomib


Mieloma multiplo: una tripletta tutta orale con lenalidomide, desametasone e ixazomib migliora gli outcome clinici secondo nuovi dati

Mieloma multiplo: una tripletta tutta orale con lenalidomide, desametasone e ixazomib migliora gli outcome clinici secondo nuovi dati

Migliore sopravvivenza libera da malattia (PFS), tassi più elevati di risposta globale (ORR) e di risposta completa (CR), tempo di risposta più breve, prolungamento della durata della risposta e del tempo alla progressione (TTP), con un profilo di tossicità simile a placebo.

Sono alcuni dei vantaggi terapeutici più rilevanti offerti dalla tripletta orale ixazomib-lenalidomide-desametasone (IRd) rispetto alla doppietta lenalidomide-desametasone (regime Rd) nel trattamento di pazienti con mieloma multiplo (MM) di nuova diagnosi, non eleggibili al trapianto di cellule staminali emopoietiche, emersi dall’analisi dei dati dello studio di fase 3 TOURMALINE-MM2 presentati al congresso annuale dell’American Society of Hematology (ASH).

Dopo un follow-up mediano di 53,3 mesi per il braccio trattato con IRd e 55,8 mesi per il braccio trattato solo con Rd (più un placebo), la tripletta con ixazomib si è associata a un miglioramento di oltre un anno (13,7 mesi) della PFS rispetto alla terapia di controllo e il beneficio si è osservato nella maggior parte dei sottogruppi analizzati.

«Nell’insieme, questi dati dimostrano che ixazomib più lenalidomide e desametasone è un’opzione terapeutica praticabile per alcuni pazienti con mieloma multiplo di nuova diagnosi non candidabili al trapianto, che potrebbero beneficiare di una combinazione interamente orale» ha ricordato il principal investigator dello studio, Thierry Facon, del Centre Hospitalier Universitaire di Lille, in Francia, presentando i dati.

Tripletta orale vantaggiosa per i pazienti
«I regimi basati sulla somministrazione continua di Rd rappresentano uno standard di cura nei pazienti con mieloma multiplo di nuova diagnosi non idonei al trapianto. Questi pazienti sono diversi e vanno da anziani “fit” di oltre 70 anni a pazienti anziani e/o fragili con performance status scadente, che richiedono un trattamento da adattare alle caratteristiche individuali», ha ricordato Facon.

L’uso di inibitori del proteasoma (PI) in modo continuo o a dosi cumulative elevate, ha aggiunto l’autore, si associa a migliori outcome a lungo termine; tuttavia, la somministrazione per un lungo periodo di PI iniettabili può presentare difficoltà legate alla modalità di trattamento e alla tollerabilità. «Una tripletta formata da un PI più Rd completamente orale può essere utile per i pazienti che non vogliono o non possono recarsi frequentemente in ospedale» ha sottolineato Facon.

Lo studio TOURMALINE-MM2
Lo studio TOURMALINE-MM2 (NCT01850524) è un trial multicentrico internazionale, randomizzato, in doppio cieco e controllato con placebo, in cui 705 pazienti con MM di nuova diagnosi non eleggibili al trapianto sono stati assegnati in rapporto 1:1 al trattamento con il PI di nuova generazione ixazomib 4 mg (351 pazienti) o placebo (354 pazienti) nei giorni 1, 8 e 15 di 20 cicli di 28 giorni, più lenalidomide 25 mg nei giorni 1-21 (10 mg per i pazienti con compromissione renale) e desametasone 40 mg nei giorni 1, 8, 15 e 22 (20 mg per pazienti di età> 75 anni).

Dopo 18 cicli di trattamento, desametasone è stato interrotto, ha specificato Fowler, e sono state somministrate dosi più basse di ixazomib (3 mg) e lenalidomide (10 mg), fino alla progressione della malattia o allo sviluppo di una tossicità non accettabile.

I risultati sono stati stratificati per età (<75 vs ≥75 anni), stadio secondo l’International Staging System (ISS) (I o II vs III) e punteggio del dolore al Brief Pain Inventory-Short Form (BPI-SF) (< 4 vs ≥ 4).

Gli endpoint considerati
L’endpoint primario era la PFS valutata da un comitato di revisione indipendente; gli endpoint secondari chiave includevano la sopravvivenza globale (OS), il CR e il tasso di risposta del dolore. Altri endpoint secondari includevano l’ORR, il tempo alla risposta (TTR), il TTP e la sicurezza.

La PFS è stata testata nella popolazione intention-to-treat (ITT) (limite alfa di significatività =0,04) e in tre sottogruppi pre-specificati in parallelo (limite alfa cumulativo di significatività =0,01), rappresentati dai pazienti con citogenetica ad alto rischio, i pazienti di età < 75 anni e i pazienti con clearance della creatinina (CrCl) > 60 ml/min.

Le caratteristiche dei pazienti
Per poter essere inclusi nello studio, i pazienti dovevano essere eleggibili a trattamento con Rd e non candidabili per il trapianto autologo di cellule staminali. Inoltre, dovevano avere un performance status ECOG compreso tra 0 e 2, una funzionalità ematologica ed epatica accettabili e un livello di CrCl calcolato di 30 ml/min o superiore.

I dati demografici dei pazienti e le caratteristiche della malattia erano ben bilanciati tra i due bracci di trattamento. L’età mediana nel braccio sperimentale era di 73 anni contro 74 anni nel braccio di controllo, con il 43% contro il 44%, rispettivamente, dei pazienti di età pari o superiore a 75 anni. Il 16% dei pazienti nel braccio IRd aveva una malattia in stadio III dell’ISS, rispetto al 17% dei pazienti nel braccio placebo-Rd; il 38% contro il 41%, rispettivamente, presentava anomalie citogenetiche ad alto rischio, che includevano la traslocazione (t) (4;14), la t(14; 16), la delezione (del) (17p) e l’amplificazione (amp) (1q21).

Miglioramento della PFS con ixazomib
Ad un follow-up mediano di 53,3 mesi per il braccio IRd e 55,8 mesi per il braccio Rd più placebo, la PFS mediana è risultata rispettivamente di 35,3 mesi contro 21,8 mesi (HR 0,830; IC al 95% 0,676-1,018; P = 0,073), un miglioramento della PFS clinicamente, anche se non statisticamente, significativo.

Il beneficio di PFS della tripletta contenente ixazomib è stato osservato nella maggior parte dei sottogruppi di pazienti analizzati, in particolare nei pazienti di età inferiore ai 75 anni, in quelli con malattia in stadio ISS III e in quelli con una CrCl pari a 60 ml/min o inferiore. È stato osservato anche un trend positivo clinicamente significativo e evidente verso un miglioramento della PFS nel sottogruppo di pazienti con anomalie citogenetiche ad alto rischio che hanno ricevuto la tripletta rispetto a quelli trattati con la doppietta (P = 0,019).

Ai partecipanti è stata somministrata una mediana di 20 cicli di trattamento. Il 54% dei pazienti in ciascun braccio è entrato nel ciclo 19, momento in cui è stato interrotto il desametasone e sono state somministrate dosi inferiori di ixazomib e lenalidomide.

«L’uso di un trattamento attenuato dopo il ciclo 18 limita l’interpretazione dei risultati dello studio TOURMALINE-MM2 nel contesto di altri studi e può spiegare la PFS mediana più breve nel braccio placebo-Rd rispetto a quella osservata nel braccio Rd trattato continuativamente nel primo studio di fase 3 (TOURMALINE-MM1) in cui i pazienti potevano continuare la doppietta Rd alle dosi iniziali fino alla progressione della malattia», ha osservato Facon. «La PFS mediana nello TOURMALINE-MM2 potrebbe essere stata prolungata se si fosse protratta più a lungo la terapia con ixazomib e lenalidomide e/o desametasone a dose piena. Tuttavia, al momento in cui è stato progettato lo studio, la tollerabilità della terapia prolungata con una tripletta a base di PI non era chiara».

Tassi di risposta e durata della risposta superiori con ixazomib
L’analisi degli endpoint secondari ha mostrato come l’aggiunta di ixazomib alla doppietta Rd abbia indotto un ORR dell’82,1%, a fronte del 79,7% osservato nel gruppo di controllo (OR 1,16; IC al 95% 0,79-1,70; P = 0,436), con tassi di CR rispettivamente del 25,6% contro 14,1% (OR 2,10; IC al 95% 1,43-3,09; P < 0,001). Inoltre, i tassi cumulativi di risposta parziale molto buona (VGPR) o migliore sono risultati rispettivamente del 63% contro 47,7% (OR 1,87; IC al 95% 1,38-2,53; P < 0,001).

Altro dato rilevante riguarda il tempo mediano alla risposta, che è stato di 1,0 mesi nel braccio sperimentale (range: 0,99-1,08) e 1,9 mesi nel braccio di controllo (range: 1,15-1,87). La durata mediana della risposta con la tripletta orale è stata di 50,6 mesi (IC al 95% 39,98-non stimabile) contro 37,5 mesi (IC al 95% 25,69-50,27) con la doppietta (figura 3).

Progressione ritardata con la tripletta e OS mediana ancora non raggiunta
Va inoltre notato che i pazienti trattati il regime contenente ixazomib hanno anche fatto registrare un TTP mediano più lungo rispetto a quelli trattati con la sola doppietta Rd, rispettivamente di 45,8 mesi contro 26,8 mesi (HR 0,738; IC al 95% 0,589-0,925; P = 0,008).

Dopo circa 58 mesi di follow-up, l’OS mediana non era stata ancora raggiunta in nessuno dei due bracci (HR 0,998; IC al 95% 0,790-1,261; P = 0,988).

Eventi avversi per lo più di grado lieve
Per quanto riguarda la sicurezza, la maggior parte degli eventi avversi sviluppati durante il trattamento è stata di grado 1/2. Le incidenze di tali eventi avversi si sono dimostrate comparabili tra i bracci, con una tossicità di grado 3 o superiore nell’88,1% dei pazienti nel braccio IRd e nell’81,4% dei pazienti del braccio placebo-Rd.

Gli eventi avversi più comuni di qualsiasi livello di gravità nel braccio sperimentale sono stati rappresentati da diarrea, rash cutaneo, edema periferico, costipazione e nausea, mentre gli eventi avversi di grado 3 o superiore con una differenza di almeno il 5% tra il braccio IRd e quello di controllo sono stati neutropenia, rash, trombocitopenia e diarrea.

In conclusione
«L’aggiunta di ixazomib a Rd determina un trend positivo clinicamente significativo e evidente di miglioramento della PFS nei pazienti con mieloma multiplo di nuova diagnosi non eleggibili al trapianto, nonché del tempo alla progressione e del tasso di risposta completa» ha commentato Facon.

In particolare, in accordo con i risultati dello studio TOURMALINE-MM1, la tripletta orale IRd ha migliorato rispetto alla doppietta Rd la PFS generalmente scarsa associata alla presenza di una citogenetica indicativa di alto rischio.

«I dati di sicurezza hanno mostrato che la tripletta IRd risulta tollerabile e gestibile e che il profilo di tossicità risulta generalmente coerente con il profilo ben caratterizzato di ixazomib e della tripletta IRd», ha aggiunto l’autore.

«Il regime IRd è dunque un’opzione di trattamento praticabile per alcuni pazienti con mieloma multiplo di nuova diagnosi non sottoponibili a trapianto, che potrebbero trarre beneficio da questa tripletta interamente orale», ha concluso Facon.

T. Facon, et al. The phase 3 TOURMALINE-MM2 trial: oral ixazomib, lenalidomide, and dexamethasone (IRd) vs placebo-Rd for transplant-ineligible patients with newly diagnosed multiple myeloma (NDMM). ASH 2020; abstract 551;
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