A Parigi nasce incubatore per la moda sostenibile


A Parigi la storica “La Caserne” ospiterà un acceleratore per la transizione ecologica della moda e del lusso: l’idea è di Maeva Bessis

A Parigi la storica "La Caserne" ospiterà un acceleratore per la transizione ecologica della moda e del lusso: l'idea di Maeva Bessis 

L’antica caserma parigina dei pompieri, nel cuore della ville bohemién-bourgeois, abbandonata da una quindicina d’anni, tornerà a vivere a giugno 2021, I 4mila metri quadri de “La Caserne”, ospiteranno una residency su 3 anni di 25 creatori, degli spazi co-working, uno showroom di tessuti eco-responsabili, a base di materie prime 100% europee e tracciabili, una boutique con selezione di brand sostenibili e un rooftop-orto (con annesso ristorante vegetariano).

Direttrice generale di questo progetto a Parigi è Maeva Bessis che intende fare di questo edificio storico per la città un vero e proprio ‘incubatore’ della moda sostenibile, un acceleratore per la transizione ecologica della moda e del lusso.

Abbiamo deciso di accompagnare le marche di moda per fare in modo che producano in modo più responsabile – ha detto presentando il progetto come riferisce Garantitaly Per fare ciò lavoriamo su tre assi: l’origine delle materie prime, che rappresentano 70% dell’impatto ecologico, la tracciabilità del prodotto e le quantità di produzione”.

Uno tra i primi obiettivi che “La Caserne” di Parigi si è data è quello di aiutare le marche produttrici, tutte francesi, a trovare gli interlocutori per poter produrre il più possibile localmente, magari sfruttando quel reshoring che la pandemia globale ha incentivato visto le incertezze di trasferimento delle merci da un Paese all’altro.

Afferma Maeva Bessis: “I brand del cosiddetto fast fashion si basano su un ritmo di collezioni troppo denso per essere veramente sostenibile. Se questi marchi vogliono genuinamente aderire al cambiamento di rotta c’è un lavoro da fare sulle materie prime utilizzate ma non solo, bisogna riflettere anche sulla cadenza delle collezioni proposte.
Per me, bisogna anche riflettere su come questi brand possano garantire una gestione consapevole dei loro atelier di produzione, cioè essere sicuri delle condizioni di lavoro in loco. E poi c’è la tracciabilità delle materie prime, cioè conoscere dove il tessuto è stato filato o anche, da quale campo di cotone proviene. Disporre di una tracciabilità completa permette al brand di non sovvenzionare le forme di schiavitù moderna”.