HIV: studio spiega il passaggio a regime con darunavir


HIV: uno studio italiano spiega perché passare da un regime senza inibitori delle proteasi a uno contenente darunavir

HIV: studio spiega il passaggio a regime con darunavir

Uno studio retrospettivo, effettuato presso il dipartimento di Malattie Infettive dell’Ospedale San Raffaele di Milano, ha voluto indagare la percentuale di pazienti che hanno effettuato uno switch da un regime che non prevedeva inibitori delle proteasi a un regime con queste molecole, e in particolare al regime comprendente darunavir, cobicistat, emtricitabina e tenofovir alafenamide; oggetto dello studio è stata anche la causa dello switch. Lo studio è stato presentato durante l’ultimo congresso ICAR e ha evidenziato che i motivi del cambio di regime terapeutico risiedono negli eventi avversi a livello neuropsichiatrico e nel fallimento virologico.

“Abbiamo deciso di fare questo studio per inquadrare meglio il grado di presenza di switch a quelle che sono le terapie basate sugli inibitori delle proteasi. Abbiamo deciso di prendere in considerazione oltre 3000 pazienti che non erano in terapia con inibitori delle proteasi all’inizio del 2017 e abbiamo calcolato quanti di questi hanno effettuato uno switch verso una terapia con inibitori delle proteasi nei due anni successivi. 423 hanno effettuato lo switch a una terapia, indipendentemente dalla presenza di inibitori delle proteasi, e di questi 106 hanno effettuato lo switch a una terapia basata su darunavir/cobicistat/emtricitabina e tenofovir alafenamide” ha dichiarato la dr.ssa Martina Ranzenigo, specializzanda in Malattie Infettive Università Vita-Salute San Raffaele, Milano, prima autrice dello studio.

Il trattamento dei pazienti HIV positivi richiede attualmente la somministrazione per tutta la vita di una combinazione di farmaci antiretrovirali, che risultano efficaci e normalmente ben tollerati, ma che possono diminuire la loro efficacia a lungo termine in alcune circostanze.
Poiché l’aderenza del paziente è fondamentale per mantenere l’efficacia e i benefici immunologici del trattamento, la tollerabilità del trattamento è fondamentale per il mantenimento dell’aderenza, così come la semplificazione del regime terapeutico; l’adozione di combinazioni a dose fissa e regimi di associazione in una singola compressa ha in questo ambito un ruolo decisivo.

I risultati dello studio
Sono stati analizzati in tutto 3076 pazienti, in terapia antivirale per mediamente 5,2 anni; di questi 423, pari al 14%, hanno effettuato lo switch da un regime che non prevedeva inibitori delle proteasi e 106 (il 25% di quelli che hanno effettuato lo switch) hanno iniziato ad assumere il regime a base di darunavir, cobicistat, emtricitabina e tenofovir alafenamide. Di questi pazienti, 37 erano stati precedentemente trattati con NNRTI, mentre 69 erano in terapia con InSTI e il tasso complessivo di switch è stato di 6,2 per mille persone su anno di follow-up.

Le motivazioni principali per il cambio di regime terapeutico sono state gli eventi avversi a livello neuropsichiatrico, presenti nel 37% dei pazienti, il fallimento virologico, che si è verificato nel 26% dei pazienti e la progressione del sarcoma di Kaposi (nel 5% dei casi). I problemi neuropsichiatrici segnalati come causa dello switch sono stati principalmente umore depresso, insonnia/disturbi del sonno e ansia.

Degno di nota anche le modifiche significative per anno osservate nel rapporto CD4/CD8, nella conta piastrinica, nella velocità di filtrazione glomerulare, nella valutazione del modello matematico dell’insulino-resistenza (HOMA-IR), nei dosaggi plasmatici di colesterolo LDL, fosfatasi alcalina, bilirubina indiretta.

“Volevamo capire perché le persone con HIV effettuassero lo switch a una terapia basata su inibitori delle proteasi; le motivazioni che abbiamo raccolto sono principalmente due: gli effetti collaterali neurologici osservati nelle terapie basate sugli inibitori delle integrasi e il fallimento biologico, che abbiamo definito come presenza di oltre 50 copie in due misurazioni consecutive” ha commentato la Ranzenigo.
Da questo studio emerge che, negli ultimi anni, una percentuale non trascurabile di pazienti in terapia con un regime basato su NNRTI o InSTI è passata a darunavir, cobicistat, emtricitabina e tenofovir alafenamide, principalmente a causa di tossicità neuropsichiatrica e fallimento virologico.

Lo studio ha evidenziato che il gradimento della tripletta boosterizzata a base di darunavir è correlato alla sua disponibilità come associazione fissa in una singola compressa, che semplifica il regime terapeutico del paziente e ne aumenta di conseguenza la compliance; questi farmaci, inoltre, presentano un’alta barriera genetica, per cui assicurano una certa copertura verso la resistenza virale.Sono principi attivi ben tollerati dal punto di vista neurologico, il che rende la combinazione particolarmente utile nel caso di pazienti per i quali è necessario lo switch per la presenza di questi eventi avversi.

In conclusione, “In Italia, oltre il 95% dei pazienti in terapia è in soppressione virologica; ciò non toglie che si verifichino spesso comorbilità e interazioni farmacologiche, eventualità per cui diventa importante modificare la terapia al fine di salvaguardare la qualità di vita del paziente. Questo studio evidenzia le diverse opzioni disponibili in questo panorama.

Abbiamo dimostrato che esiste la possibilità di fare uno switch back, cioè tornare a regimi utilizzati in precedenza, recuperando gli aspetti positivi correlati a quel regime, associandolo a un backbone avanzato e riproponendolo in un regime in singola pillola, con la possibilità di adeguarlo alle condizioni del singolo paziente.

Occorre capire le ragioni dello switch e il risultato che si desidera ottenere, tenendo conto che oggi abbiamo a disposizione diverse opzioni, tra cui non dobbiamo dimenticare darunavir, cobicistat, emtricitabina e tenofovir alafenamide. Questa combinazione è importante per la sua barriera contro il fallimento” ha concluso la prof.ssa Antonella Castagna, Professore associato di Malattie Infettive, Università Vita-Salute San Raffaele; Responsabile Unità Funzionale Divisione Malattie Infettive, Istituto Scientifico IRCCS San Raffaele, Milano.