Scompenso cardiaco: migliore terapia è la quadrupla


Scompenso cardiaco con ridotta frazione d’eiezione: la terapia ottimale deve essere quadrupla e rapida secondo quanto emerso all’HFSA 2020

Scompenso cardiaco: migliore terapia è la quadrupla

Avviare la maggior parte dei pazienti con nuova diagnosi di insufficienza cardiaca con ridotta frazione di eiezione (HFrEF) sulla quadrupla terapia, ovvero quattro regimi farmacologici fondamentali del disturbo tutti in una volta, il giorno stesso in cui viene formulata la diagnosi. La raccomandazione è stata data nel corso del recente meeting annuale (virtuale) della Heart Failure Society of America (HFSA 2020). Le terapie cardine cui si fa riferimento sono: inibitori SGLT2, ARNI, beta-bloccanti e antagonisti dei recettori dei mineralcorticoidi.

In particolare la dichiarazione è stata espressa da Gregg C. Fonarow, docente e direttore di Cardiologia presso l’Università della California, a Los Angeles. Ciò ha dato il via a una serie di dibattiti su questo tema che hanno coinvolto alcuni tra I maggiori specialisti statunitensi.

Alla base i risultati dell’EMPEROR-Reduced
Meno di 2 mesi prima dello “statement” di Fonarow, occorre ricordare che – all’incontro annuale virtuale della European Society of Cardiology (ESC 2020) – erano stati riportati per la prima volta i risultati dello studio EMPEROR-Reduced. Quest’ultimo studio ha dimostrato che empagliflozin, inibitore del  cotrasportatore di glucosio sodio-dipendente 2 (SGLT2) ha ridotto con successo gli eventi in pazienti con HFrEF.

Tale rapporto, comunicato un anno dopo che i risultati di uno studio simile (DAPA-HF) avevano mostrato lo stesso risultato utilizzando un farmaco diverso della stessa classe (dapagliflozin), ha cementato la classe dei farmaci inibitori SGLT2 come quarto pilastro per il trattamento dell’HFrEF, unendosi alla classe degli inibitori della neprilisina/antagonisti del recettore dell’angiotensina (ARNI) ovvero sacubitril/valsartan, ai beta-bloccanti (come carvedilolo) e agli antagonisti dei recettori dei mineralcorticoidi (MRA, come lo spironolattone).

Questo ripristino dell’approccio consensuale degli esperti per il trattamento dell’HFrEF ha lasciato i cardiologi a chiedersi quale sequenza usare per iniziare questa quadrupla terapia. In poche settimane, la risposta degli opinion leader sullo scompenso cardiaco è stata chiara, attraverso le parole di Fonarow: «occorre avviare tutti e quattro i pilastri contemporaneamente. La maggior parte dei pazienti può tollerare e trarrà vantaggio da un avvio simultaneo».

La logica sottostante al nuovo approccio
Questo il razionale dell’approccio raccomandato. I pazienti ottengono benefici da ciascuna di queste classi di farmaci «sorprendentemente presto», con risultati migliori negli studi clinici dove compaiono entro poche settimane, rispetto ai pazienti nei bracci di controllo.

La conseguenza è che qualsiasi ritardo nell’inizio del trattamento nega ai pazienti il tempo con un miglioramento dello stato di salute, della funzione e della sopravvivenza.
I risultati dello studio di Fonarow hanno documentato che le quattro classi di farmaci fondamentali possono produrre rapidi miglioramenti in termini di stato di salute, dimensioni e forma del ventricolo sinistro e apportare riduzioni clinicamente significative sia nei primi ricoveri che nelle riospedalizzazioni per insufficienza cardiaca che nella mortalità.

Dopo 30 giorni di trattamento quadruplo, il rischio relativo di morte di un paziente diminuisce di oltre tre quarti, rispetto ai pazienti che non assumono questi farmaci, ha detto Fonarow. I benefici di ciascuna delle quattro classi coinvolgono percorsi fisiologici distinti e quindi non sono diminuiti dal trattamento simultaneo, ha proseguito. E l’inizio immediato evita il rischio di inerzia clinica e negligenza nel prescrivere una o più delle quattro importanti classi di farmaci.

L’introduzione delle quattro classi in modo sequenziale potrebbe significare far trascorrere fino a un anno di tempo per coinvolgere tutte e quattro le classi e titolarle a livelli terapeutici ottimali, ha osservato l’esperto.

L’inerzia prescrittiva, una sfida da vincere
Il rischio di inerzia nella prescrizione di farmaci per l’insufficienza cardiaca è reale. I dati raccolti nel registro CHAMP-HF (Change the Management of Patients with Heart Failure) su oltre 3.500 pazienti con HFrEF gestiti in uno dei 150 studi di assistenza primaria e cardiologia negli Stati Uniti dalla fine del 2015 fino al 2017 hanno mostrato che, tra i pazienti idonei per trattamento con inibizione del sistema renina-angiotensina (RAS) [con ARNI o un singolo farmaco inibitore RAS], un beta-bloccante e un MRA, solo il 22% ha ricevuto tutte e tre le classi di farmaci.

Uno scarso 1% era sui dosaggi target di tutte e tre le classi di farmaci, ha osservato Stephen J. Greene, cardiologo presso la Duke University di Durham citando i suoi risultati pubblicati. L’unica formulazione attualmente nella classe ARNI, sacubitril/valsartan, è stata negli ultimi anni il tipico esempio di inerzia prescrittiva nei pazienti con HFrEF dopo essere arrivata sul mercato statunitense per l’uso di routine nel 2015.

Una revisione condotta da Greene su oltre 9.000 pazienti con HFrEF che avevano almeno 65 anni e sono stati dimessi da un ospedale che partecipava al registro “Get With the Guidelines – Heart Failure” durante il periodo ottobre 2015 – settembre 2017 ha mostrato che solo l’8% dei pazienti idonei ha effettivamente ricevuto una prescrizione di sacubitril/valsartan.

Una valutazione separata dei pazienti ambulatoriali con HFrEF nello stesso periodo ha mostrato un tasso prescrittivo del 13%, ha specificato Greene. Negli ultimi due decenni ci sono state lacune sostanziali nella prescrizione di trattamenti basati sull’evidenza ai pazienti con HFrEF, ha aggiunto. «Anche un farmaco di successo come sacubitril/valsartan ha avuto una lenta adozione».

In media 6 anni di vita in più con la strategia “start-four-at-once”
Uno degli argomenti più forti a favore dell’approccio “start-four-at-once” è stato dettagliato in quella che è diventata rapidamente un’analisi ampiamente citata, pubblicata nel luglio 2020 da un team di ricercatori guidati da Muthiah Vaduganathan, cardiologo al Brigham and Women’s Hospital di Boston.

Utilizzando i dati di tre studi cardine chiave, Vaduganathan e colleghi hanno stimato che un trattamento tempestivo con tutte e quattro le classi di farmaci produrrebbe in media 6 anni in più di sopravvivenza globale in un paziente con HFrEF di 55 anni e altri 8 anni senza morte cardiovascolare o primo ricovero per insufficienza cardiaca rispetto a un trattamento meno completo.

L’analisi ha anche mostrato un significativo aumento medio di 3 anni della sopravvivenza globale tra i pazienti con HFrEF che avevano 80 anni quando utilizzavano la terapia quadrupla rispetto alla terapia medica convenzionale utilizzata nei pazienti di controllo dei tre studi esaminati.

«Quattro farmaci utilizzano cinque diversi percorsi meccanicistici per produrre 6 anni in più di sopravvivenza» ha riassunto Vaduganathan. Oltre a queste potenzialità sostanziali per un impatto significativo sulla vita dei pazienti, il cardiologo ha citato altri fattori che si aggiungono al caso della prescrizione precoce della piena copertura farmaceutica:

  • evitare possibilità di mancato trattamento che si verificano con un introduzione più lenta e graduale dei farmaci;
  • semplificare, razionalizzare e standardizzare il percorso di cura, aiutando a evitare disuguaglianze assistenziali e prevenendo le possibilità di inerzia terapeutica;
  • potenziare il beneficio nel momento in cui il trattamento completo inizia presto;
  • fornire benefici additivi senza che vi siano interazioni tra farmaci.

Urgente l’adozione nel mondo reale della terapia diretta dalle linee guida
L’efficacia da sola non è stata sufficiente per una diffusione efficiente nella pratica clinica di sacubitril/ valsartan, altri inibitori RAS, beta-bloccanti e MRA, ha osservato Greene, riferendosi alla realtà statunitense.

Si è però detto più ottimista riguardo alle prospettive di un’implementazione relativamente rapida del trattamento precoce con gli inibitori SGLT2 quale parte della gestione di routine dell’HFrEF, visti tutti gli aspetti positivi che questo nuova classe offre, comprese alcune «caratteristiche uniche» tra i farmaci per l’HFrEF.

Queste, ha spiegato, includono la semplicità del regime, che prevede da un lato un singolo dosaggio per tutti, con una sola assunzione giornaliera, dall’altro effetti minimi sulla pressione arteriosa e nessun effetto negativo sui reni, producendo anzi una sostanziale protezione renale. Gli inibitori SGLT2 assommano effetti tali da renderli un trattamento HFrEF «ideale», ha concluso Greene, il che dovrebbe facilitarne una rapida diffusione in clinica.

Circa la persuasione nei confronti dei clinici ad aggiungere presto anche gli altri tre membri delle quattro classi di trattamento principali nel trattamento di routine, ha ammesso che «sono necessari con urgenza approcci innovativi e basati sull’evidenza per migliorare l’adozione nel mondo reale della terapia medica diretta dalle linee guida».