Test del linguaggio aiuta a prevedere l’Alzheimer


Un test del linguaggio sviluppato utilizzando l’intelligenza artificiale è in grado di prevedere chi può sviluppare la malattia di Alzheimer

Test del linguaggio aiuta a prevedere l'Alzheimer

Un semplice test del linguaggio sviluppato utilizzando l’intelligenza artificiale (AI) è in grado di prevedere, con un alto livello di accuratezza, quali individui cognitivamente normali svilupperanno la malattia di Alzheimer (AD). È quanto suggerisce una nuova ricerca pubblicata su “EClinicalMedicine”, rivista online di “The Lancet”.

I risultati mostrano che il test ha un tasso di accuratezza del 70% nel prevedere l’insorgenza dell’AD anni prima dell’inizio del declino cognitivo ed è più accurato dei metodi predittivi tradizionali, come i test neuropsicologici.

«La conclusione è che si stanno trovando piccoli indicatori che, quando sono messi insieme, forniscono una quantità significativa di informazioni per prevedere la demenza» scrivono gli autori, coordinati da Guillermo Cecchi, del Computational Biology Center, IBM Research, Yorktown Heights, New York.

I ricercatori sperano che i nuovi risultati alla fine porteranno all’uso di sonde vocali semplici ed economiche che rilevano la demenza precoce e che monitorano la sua progressione. «Il pregio di questo tipo di test è che può essere fatto rapidamente, non è invasivo e può essere eseguito in qualsiasi momento» specificano Cecchi e colleghi.

Il test del furto di biscotti
Una priorità chiave nella ricerca sull’AD è lo sviluppo di interventi precoci per ridurre il rischio, ritardare l’insorgenza e/o rallentare la progressione della malattia. Ciò richiede l’identificazione dei pazienti che potrebbero trarre beneficio da tali interventi, ed è qui che entra in gioco il linguaggio. La ricerca mostra che vari aspetti del linguaggio sono una componente importante del declino cognitivo legato all’età. Anche le abilità linguistiche banali, come la denominazione degli oggetti, coinvolgono ampie reti cerebrali.

Per lo studio, i ricercatori hanno utilizzato i dati del Framingham Heart Study (FHS), un’indagine longitudinale su più di 5000 individui che abbraccia diversi decenni. Come parte dell’FHS, i partecipanti completano una batteria di test neuropsicologici che include il “Cookie Theft picture description task” (CTT) tratto dal Boston Aphasia Diagnostic Examination.

In questo test, ai partecipanti allo studio viene chiesto di descrivere per iscritto l’immagine del furto di biscotti. L’immagine raffigura tre personaggi in una cucina: una donna in un lavandino traboccante d’acqua; un ragazzo che su uno sgabello che raggiunge un barattolo di biscotti in un armadietto e una ragazza che aspetta di ricevere un biscotto dal ragazzo. I ricercatori hanno estratto le variabili linguistiche dalle risposte al CTT. In totale, sono state calcolate 87 variabili linguistiche.

Utilizzando queste variabili, i ricercatori hanno sviluppato modelli informatici per prevedere se un partecipante svilupperà un lieve decadimento cognitivo (MCI) che porta all’AD. Un panel di revisori con almeno un neurologo e un neuropsicologo ha esaminato possibili casi di declino cognitivo e demenza. Hanno basato una diagnosi di AD sui criteri del National Institute of Neurological and Communicative Disorders e della Stroke–Alzheimer’s Disease and Related Disorders Association.

I casi includevano i pazienti che hanno sviluppato MCI a causa dell’AD all’età di 85 anni o prima. Le persone di controllo di pari età, sesso e istruzione includevano coloro che erano rimasti liberi da demenza almeno fino all’età di 85 anni. Da più di 3000 risposte al CTT, i ricercatori hanno creato modelli con cui testare 80 partecipanti (40 casi e 40 controlli).

Elementi associati a futura diagnosi
Le analisi hanno mostrato che l’insorgenza futura dell’AD era associata a ripetitività, errori di ortografia e linguaggio telegrafico, che è definito come un discorso privo di struttura grammaticale fluida e di continuità. Un’altra variabile importante, sottolineano Cecchi e colleghi, è la “granularità” di “riferimento” o la mancanza di tale riferimento, per esempio riferendosi alla donna più anziana nella foto come “madre” o “moglie” invece di usare il termine più generale di “donna”.

L’utilizzo di variabili linguistiche ha prodotto un potere predittivo significativo, con un’area sotto la curva di 0,74 e un’accuratezza di 0,70. Il tempo medio alla diagnosi di AD è stato di 7,59 anni. I ricercatori fanno notare che il modello si basa sui dati raccolti quando i partecipanti allo studio erano cognitivamente normali. Lo studio ha mostrato che le previsioni erano più difficili per i partecipanti che avevano una laurea rispetto ai partecipanti meno istruiti.

La competenza linguistica è un indicatore comportamentale dei risultati scolastici e professionali, entrambi i quali sono stati suggeriti come causa di aumento della “riserva cognitiva”, rilevano gli investigatori.

Lo studio ha dimostrato che è molto più facile prevedere la conversione all’AD nelle donne rispetto agli uomini. Gli autori sottolineano inoltre che la prevalenza dell’AD è significativamente più alta nelle donne rispetto agli uomini e che il tasso di progressione dopo l’inizio del deterioramento cognitivo è più veloce nelle donne.

Vantaggi rispetto ai modelli basati su variabili tradizionali
Le prestazioni erano migliori con i modelli predittivi che utilizzavano variabili linguistiche rispetto ai modelli predittivi che incorporavano variabili più tradizionali associate al rischio di AD, come i punteggi dei test neuropsicologici, le informazioni demografiche e lo stato APOE (Apolipoproteina E, proteina coinvolta nel trasporto del colesterolo, ritenuta associabile all’AD). Per le previsioni di malattia basate su una combinazione di queste variabili tradizionali, l’accuratezza era del 59%, affermano Cecchi e colleghi.

Gli autori fanno notare che i test neuropsicologici e altri biomarcatori, comprese le valutazioni del liquido cerebrospinale e l’imaging cerebrale, sono stati utilizzati per prevedere la progressione del MCI in AD. Inoltre, ci sono stati risultati molto promettenti usando la catena leggera dei neurofilamenti per la progressione della malattia per i pazienti nelle prime fasi presintomatiche dell’AD familiare.

«Tuttavia, questi metodi sono ancora tecnologicamente o logisticamente impegnativi e richiedono un significativo coinvolgimento di specialisti» osservano. Cecchi e coautori sperano che questa nuova ricerca porti allo sviluppo di uno strumento semplice e accessibile per valutare accuratamente il rischio di AD.

Ciò che prevedono è un semplice test che possa essere utilizzato regolarmente da medici e familiari per monitorare la progressione della malattia di un paziente, eliminando così la necessità di lunghi appuntamenti presso lo studio del medico.

I pazienti che sono stati identificati dal test come a rischio potrebbero apportare modifiche allo stile di vita per aiutare a ritardare il declino cognitivo. Questi potrebbero includere: seguire una dieta sana, diventare fisicamente attivi e migliorare l’impegno sociale e cognitivo, affermano gli autori. Inoltre, i medici potrebbero utilizzare questo strumento per identificare i pazienti che potenzialmente in grado di trarre vantaggio dall’arruolamento in studi clinici di potenziali terapie preventive, sostengono.

Alzheimer’s Association: «Ricerca entusiasmante ma risultati precoci»
La ricerca per identificare i biomarcatori del discorso o del linguaggio del cambiamento cognitivo è «sicuramente» una delle «nuove aree emergenti» afferma Heather Snyder, vicepresidente delle relazioni mediche e scientifiche dell’Alzheimer’s Association, che ha finanziato studi in questo settore. In effetti, Snyder descrive questa ricerca come «intrigante», ma sottolinea che si tratta ancora di «primi lavori».

«Stiamo assistendo sempre più a studi che stanno esaminando e cercando di capire il linguaggio e i suoi pattern e come questi possano essere un indicatore di ciò che potrebbe accadere nel cervello» commenta.

Tuttavia, rileva che l’attuale studio ha utilizzato una popolazione di individui piuttosto piccola e «piuttosto definita». Osserva inoltre che il linguaggio è legato all’udito e ad altri sensi e che quindi la questione non è così semplice come potrebbe sembrare. In conclusione, Snyder dichiara che c’è sicuramente ancora del lavoro da fare prima che questo tipo di test possa essere utile come strumento diagnostico.

Riferimento bibliografico:
Eyigoz E, Mathur S, Santamaria M, Cecchi G, Naylor M. Linguistic markers predict onset of Alzheimer’s disease. EClinicalMedicine. 2020 Oct 22;27:100583. doi:10.1016/j.eclinm.2020.100583 leggi