Artrite reumatoide: 60% di malati non segue le terapie


Artrite reumatoide, 400mila italiani colpiti ma solo il 40% segue le terapie in modo corretto. L’aderenza terapeutica è fondamentale in una patologia cronica

Per baricitinib arrivano conferme di efficacia e sicurezza nel lungo periodo in pazienti con artrite reumatoide secondo i nuovi dati presentati al congresso EULAR 2020

L’aderenza alla terapia è fondamentale in una patologia cronica come l’artrite reumatoide che ha un decorso invalidante, spesso non ben controllata, che costringe le persone all’assenza dal lavoro, gravando quasi totalmente sulle spalle delle famiglie in termini economici, sociali e psicologici. Il Covid-19 ha tolto moltissimo alla nostra Nazione ed al nostro SSN.

Per riuscire però a ricavarne qualcosa di buono sarà necessario fare tesoro di tutte le esperienze maturate. Ad esempio, dare valore alle tecnologie che consentono una migliore aderenza del paziente alle cure grazie a formulazioni di farmaci più facili da gestire nelle cure domiciliari. Per l’artrite reumatoide, le innovazioni farmacologiche hanno fornito strumenti in grado di cambiare l’evoluzione della malattia, ma la loro gestione è spesso complessa e lo sarà ancora di più in un momento di pandemia come questo.

Questo il tema centrale trattato durante il Webinar “L’artrite reumatoide in epoca post COVID-19”, organizzato da Motore Sanita’, con il contributo incondizionato di Eli Lilly, serie di appuntamenti regionali, nati con l’obiettivo di mettere a confronto sulle attuali buone pratiche organizzative e sui modelli di utilizzo dell’innovazione terapeutica, pazienti e operatori coinvolti nella diagnosi, gestione e cura delle malattie reumatiche, tracciando anche le aree critiche da migliorare. Il webinar ha fatto tappa in Veneto, coinvolgendo vari esperti del territorio.

“L’emergenza Covid-19 ha messo in luce quanto sia importante una corretta gestione delle cronicità per dare risposte mirate e tempestive. Il Sistema Sanitario Veneto, dove la connessione tra ospedale e territorio è molto forte, è riuscito a rispondere in modo efficace alla pandemia. La creazione di Reti, come quella reumatologica, consente di offrire una presa in carico omogenea in tutto il territorio regionale, anche se con diversi livelli di interventi tra hub, spoke e territorio e di avere centri che possono prescrivere farmaci innovativi, punto di eccellenza della nostra sanità”, ha detto Manuela Lanzarin, Assessore alla Sanità e al Sociale Regione del Veneto.

“L’artrite reumatoide è una malattia autoimmune che ha come principale bersaglio le articolazioni dove promuove un processo infiammatorio molto intenso che se non adeguatamente curato porta a deformità articolari e anchilosi. Il sintomo lamentato dai pazienti è il dolore articolare persistente che limita la loro capacità funzionale. La prognosi della malattia è decisamente migliorata a partire dagli anni ’80 con il riconoscimento dell’importanza della diagnosi precoce e della finestra di opportunità terapeutica, l’introduzione del methotrexate come farmaco “ancora” e più recentemente con l’impiego di nuovi farmaci biotecnologici e JAK inibitori.  I nuovi farmaci sono molto efficaci e ben tollerati, ma purtroppo c’è un 20% dei pazienti che non risponde bene o che si riacutizza dopo una risposta iniziale. Ci sono quindi ancora degli unmet needs che possono essere identificati con la necessità di avere nuovi farmaci ma anche con la capacità di identificare fin dall’inizio qual è il farmaco più indicato per quel determinato paziente” – ha dichiarato Andrea Doria, Professore Ordinario Reumatologia Responsabile Scuola di Specializzazione di Reumatologia, Università di Padova.

“I farmaci biotecnologici o i JAK inibitori richiedono uno stretto monitoraggio che è stato recentemente ostacolato dal lockdown dovuto alla diffusione del SARS-CoV-2. In quel periodo in cui non era possibile enemmeno consigliabile muoversi dalla propria abitazione, molti reumatologi hanno iniziato a gestire le visite in telemedicina e questa modalità si è dimostrata molto efficace e flessibile. Non penso però che latelemedicina potrà sostituire le visite tradizionali, ma potrà essere impiegata nuovamente per pazienti particolari o in occasioni emergenziali”, ha concluso Doria.

“Come recentemente dimostrato da eventi, come il Covid-19, una delle peculiarità dell’assistenza sanitaria nel Veneto è stata quella di aver favorito la formazione di reti territoriali e la Reumatologia è uno degli esempi della volontà di diffondere sul territorio queste discipline. La Reumatologia del Veneto è probabilmente una delle più sviluppate sul territorio, esistono con una organizzazione hub e spoke in cui esistono unità operative complesse nelle sedi di insegnamento universitario, poi unità dipartimentali come Venezia e unità semplici negli ospedali provinciali, oltre agli specialisti nel territorio. Operano nel Veneto, tra le altre, anche 23 realtà di reumatologia che hanno la possibilità di accedere ai farmaci biologici. Certo, ci sono cose da migliorare come la specificità di letti dedicati alla reumatologia che spesso vengono occupati per altre esigenze internistiche”, ha spiegato Leonardo Punzi, Referente Rete Reumatologica Regione del Veneto e Coordinatore Area Reumatologica Veneziana ULSS 3 Serenissima.

“Ci troviamo in un periodo di post emergenza e dobbiamo continuare a gestire il periodo Covid-19 e prevenire una seconda ondata sulla base dell’esperienza maturata nei mesi scorsi. Si sta lavorando moltissimo nell’attivazione della Telemedicina come risposta preventiva di una eventuale seconda ondata per poter gestire i pazienti anche a distanza.  Ci si concentrerà infatti sull’attivazione di servizi in questo ambito sulla base di quelle che sono le indicazioni fornite dalla Regione e anche dall’AOUI di Verona. Nel versante dell’innovazione ci sono due aspetti di cui tenere conto: il primo legato all’afferenza di nuovi pazienti, i cosiddetti naif. Noi temiamo che l’era Covid li tenga lontano e ritardi la diagnosi e quindi anche l’approccio terapeutico. Secondo aspetto è legato al fatto che i farmaci innovativi devono dare dimostrazione di vantaggi rispetto ad approcci più economici, vantaggi che devono essere documentati della pratica clinica in termine di miglioramento di disabilità e impatto sociale della malattia” – queste le parole di Maurizio Rossini, Professore Ordinario di Reumatologia e Direttore della Scuola di Specializzazione di Reumatologia, Università di Verona.

“Uno dei punti di riferimento durante questa pandemia è stata la nostra Associazione che, attraverso il numero verde, ha ricevuto numerose richieste di supporto e di aiuto per riuscire a raggiungere il medico specialista, perché, invece, il medico di medicina generale era impegnato in prima linea. Il medico di medicina generale ha un ruolo fondamentale, non solo durante l’epoca Covid ma anche durante il nostro percorso, perché se si chiama Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale (PDTA), vuol dire che il paziente deve essere assistito” – ha detto Silvia Tonolo, Presidente ANMAR Veneto – “Purtroppo si continua a ragionare a silos, senza vedere i costi indiretti della malattia. Bisogna considerare che i pazienti reumatologici sono pazienti cronici e che lo sono anche quando c’è una remissione di patologia.

Si deve provvedere ad una interoperabilità dei sistemi per agevolare la presa in carico. Bisogna pensare a una campagna di informazione per la vaccinazione influenzale per i pazienti reumatici”, ha concluso Tonolo.