Canakinumab soluzione per evitare l’artroplastica


Canakinumab, inibitore di IL-1beta, potrebbe prevenire il ricorso all’artroplastica dell’anca o del ginocchio in pazienti con osteoartrosi

Dolore al ginocchio: dietro qualche fastidio può celarsi un problema più importante che non va sottovalutato, fondamentale intervenire per tempo

Canakinumab, inibitore di IL-1beta, potrebbe prevenire il ricorso all’artroplastica dell’anca o del ginocchio in pazienti con osteoartrosi (OA). Questo il responso di un’analisi esplorativa a latere dei dati provenienti dal trial randomizzato CANTOS (the Canakinumab Anti-Inflammatory Thrombosis Outcomes Study), di recente pubblicazione sulla rivista Annals of Internal Medicine che, se confermati, potrebbero cambiare le prospettive di trattamento dell’OA nelle fasi avanzate di malattia.

Razionale e disegno dello studio
La prevalenza di OA è data in aumento costante negli ultimi decenni in ragione del progressivo invecchiamento della popolazione.  L’infiammazione cronica articolare associata con l’OA – spiegano i ricercatori nell’introduzione allo studio – si caratterizza per la presenza di mediatori dell’infiammazione, come IL-1β, che possono guidare i processi di distruzione articolare mediante il rilascio di enzimi proteolitici.

Fino ad ora, tuttavia, non era stato indagato il possibile beneficio di una terapia avente questo target nell’OA, anche in ragione del fatto che alcuni studi precedentemente pubblicati che avevano preso in considerazione questa possibilità erano limitati dalla breve durata e dal focus concentrato prevalentemente sul sintomo “dolore”, senza rilevare miglioramenti significativi.

Per questi motivi, allo scopo di esplorare in modo più esaustivo la possibilità di un ruolo modificante strutturale del canakinumab sull’OA, invece, del ruolo analgesico, i ricercatori hanno condotto un’analisi ad hoc dei dati del trial CANTOS, un trial multicentrico (39 Paesi) condotto dal 2011 al 2017, che aveva incluso 10.061 pazienti con una storia di infarto del miocardio e livelli elevati di CRP, randomizzandoli a trattamento con canakinumab a diversi dosaggi (50, 150 o 300 mg) o con placebo a cadenza trimestrale.

Nell’analisi principale dello studio, i pazienti che avevano ricevuto il trattamento attivo avevano mostrato un numero inferiore di eventi CV, a fronte, però, di un maggior numero di infezioni serie e di mortalità ascritta alle infezioni.

I ricercatori hanno rivisitato i dati di questo studio in quanto il numero di interventi di artroplastica totale dell’anca (THR) e del ginocchio (TKR) era considerato un evento avverso serio nel disegno del trial ed era stato registrato nel corso dello studio, rappresentando una formidabile fonte di dati a lungo termine sugli effetti di canakinumab nei casi più severi di OA.
Gli outcome primario e secondario dello studio erano rappresentati dal tempo al primo evento di artroplastica (dell’anca o del ginocchio) e dal tempo alla prima manifestazione di eventi avversi legati all’OA.

Risultati principali
Il follow-up ha avuto una durata mediana di 3,7 anni. Dall’analisi dei dati è emerso che, considerando i singoli gruppi di trattamento a dosi diverse di canakinumab rispetto al placebo, la riduzione dell’incidenza di interventi di artroplastica totale dell’anca o del ginocchio nel corso del follow-up è stata pari a:
– 40% nel gruppo canakinumab 50 mg (HR=0,60; IC95%= 0,38-0,95)
– 47% nel gruppo canakinumab 150 mg (HR=0,53; IC95%=0,33-0,84)
– 40% nel gruppo canakinumab 300 mg (HR=0,60; IC95%=0,38-0,93)

Considerando in pool i gruppi di pazienti trattati con canakinumab rispetto al placebo, l’incidenza di interventi di artroplastica è stata pari a 0,31 eventi per 100 persone anno in quelli trattati con l’anticorpo monoclonale a cadenza trimestrale vs. 0,54 eventi per 100 persone anno in quelli afferenti nel gruppo placebo.

Pertanto, la riduzione dell’incidenza di eventi di artroplastica totale all’anca o al ginocchio è stat del 42% nel gruppo canakinumab in toto (HR=0,58; IC95%=0,42-0,80; p=0,001).
Non solo: la riduzione dei rischio di ricorrere all’artroplastica è stata documentata sia nel sesso maschile (HR=0,54; IC95%=0,36-0,81) che in quello femminile (HR=0,66; IC95%=0,38-1,12).

In un’analisi per sottogruppi che ha escluso i pazienti con gotta o artrite reumatoide, è stato nuovamente osservato un decremento del rischio di ricorso all’artroplastica, mentre in un’analisi secondaria che ha valutato gli effetti del trattamento sul peggioramento o la comparsa di artrosi, si è avuta una riduzione del tasso di incidenza di questi eventi avversi del 27% nel gruppo canakinumab in toto (HR=0,73; IC95%= 0,61-0,87).

Limiti e implicazioni dello studio
Nel commentare i risultati, i ricercatori hanno sottolineato come “…i dati suffraghino l’ipotesi che l’inibizione di IL-1 beta possa rappresentare un nuovo pathway da considerare nell’implementazione di nuove terapie contro l’OA”.

L’osservazione che le riduzioni del rischio osservate nei tre gruppi di trattamento con l’anticorpo monoclonale in questione suggeriscono la possibilità di impiegare i dosaggi più bassi in quanto forniscono efficacia simile minimizzando i rischi.

L’analisi post-hoc pubblicata, però, non era esente da limitazioni metodologiche intrinseche, per ammissione degli stessi autori dello studio: la principale consiste nel fatto che il trial CANTOS non era stato disegnato per valutare in primis l’efficacia di canakinumab bell’OA. Per questa ragione, non erano stata pianificata la raccolta di dati relativi a molteplici aspetti della malattia, come lo stato funzionale e la progressione radiografica.

Un altro limiti dello studio deriva dalla ridotta rappresentanza di donne nel campione di pazienti considerato (approssimativamente il 25%), mentre la gonartrosi colpisce prevalentemente il sesso femminile in età avanzata.

Nell’editoriale di accompagnamento al lavoro pubblicato (2), gli estensori del commento hanno sottolineato alcuni punti chiave che andrebbero soddisfatti e previsti nella conduzione di nuovi studi sull’efficacia. Questi sono:
– La valutazione dell’impatto derivante da livelli elevati di CRP nell’influenzare la risposta al trattamento
– L’inclusione di un maggior numero di donne negli studi, in quanto maggiormente suscettibili allo sviluppo di OA
– La messa a punto di strategie per minimizzare il rischio di infezioni
– La necessità di ottimizzare la durata della terapia per ottenere i benefici migliori dal trattamento.

Riferimenti
Schieker M, et al “Effects of interleukin-1β on incident hip and knee replacement: exploratory analyses from a randomized, double-blind, placebo-controlled trial” Ann Intern Med 2020; doi:10.7326/M20-0527. Leggi