Radar satellitari individuano aree a rischio sismico


Un nuovo metodo per migliorare l'identificazione delle aree a maggiore rischio sismico si avvale dei radar satellitari che misurano la deformazione del suolo

La misurazione da satellite delle deformazioni del suolo permette di migliorare l’identificazione delle aree italiane a maggiore rischio sismico. La metodologia è stata messa a punto da un team di ricercatori dell’Università di Firenze, dell’Istituto Geografico Militare (IGM) ente dell’Esercito Italiano e dell’Istituto di Geoscienze e Georisorse del CNR che ha utilizzato le osservazioni satellitari per monitorare nel tempo le zone con elevato tasso di deformazione crostale. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista Nature Scientific Reports.

I quattro autori dello studio – il coordinatore del progetto Gregorio Farolfi, di IGM, Nicola Casagli e Derek Keir, del Dipartimento di Scienze della Terra Unifi, e Giacomo Corti, del CNR – hanno lavorato sulle immagini dei radar satellitari raccolte dal 1991 al 2011 analizzando i movimenti superficiali del terreno su tutta la penisola italiana e calcolando il tasso di deformazione, o strain rate, che rappresenta l’energia deformativa accumulata nella crosta terrestre durante i processi tettonici.

“Ancora oggi non è possibile prevedere quando avverrà un terremoto – spiega Nicola Casagli – ma per avvicinarci sempre di più a tale obiettivo è necessario andare oltre alla analisi statistica dei dati sismici storici e strumentali, integrandoli con misurazioni molto precise sulle deformazioni superficiali della crosta terrestre che i recenti satelliti ci consentono”.

I ricercatori hanno ricavato la misura dello strain rate analizzando i movimenti dei punti appartenenti a una rete molto fitta di bersagli individuati dai radar satellitari, elaborati con la tecnica degli scatteratori permanenti (Permanent Scatterers) e integrati con i dati registrati dalle stazioni GNSS (Global Navigational Satellite System) e hanno descritto in termini quantitativi la relazione tra le zone ad alta deformazione e la distribuzione dei terremoti. A riprova di tale relazione, fra le aree italiane a maggiore tasso di deformazione documentate dallo studio ci sono quelle colpite dai terremoti recenti più forti.

“Il metodo per calcolare il rischio sismico che proponiamo, basato sull’analisi di dati resi pubblicamente disponibili dal Ministero dell’ambiente e IGM – commenta Gregorio Farolfi – non solo introduce nuovi elementi per la comprensione dei meccanismi che generano i terremoti ma rappresenta un approccio innovativo per monitorare le aree a più alta pericolosità e dunque per proteggerci meglio, costruendo in modo corretto nei luoghi adatti”.