Porpora trombotica: risposte da caplacizumab


Porpora trombotica trombocitopenica acquisita, risposta e remissioni complete più rapide e durature con caplacizumab secondo gli ultimi dati scientifici

Porpora trombotica trombocitopenica acquisita, risposta e remissioni complete più rapide e durature con caplacizumab secondo gli ultimi dati scientifici

Nei pazienti con porpora trombotica trombocitopenica acquisita (aTTP), il trattamento con caplacizumab consente di ottenere una normalizzazione più rapida e duratura della conta piastrinica rispetto a un placebo, il che si traduce in una riduzione clinicamente rilevante del tempo di raggiungimento della remissione completa e un miglioramento dela sopravvivenza libera da recidiva complessiva. Lo evidenziano i risultati di un’analisi post-hoc dello studio di fase 3 HERCULES, presentati al congresso virtuale della European Hematology Association (EHA).

«I dati dimostrano che con caplacizumab non solo si ottengono risposte in termini di conta piastrinica più rapide rispetto alla sola terapia standard, rappresentata dalla plasmaferesi più lo steroide, ma si riducono molto le esacerbazioni, che con la terapia standard rappresentano ancora un grosso scoglio e hanno una frequenza di circa il 40% » ha dichiarato a Pharmastar Luana Fianchi, dirigente medico presso l’Istituto di Ematologia della Fondazione Policlinico Universitario “A. Gemelli” di Roma.

«Il fatto di poter utilizzare un farmaco che permette di ottenere risposte rapide e durature rappresenta sicuramente un vantaggio enorme per il paziente» ha aggiunto l’esperta.

La porpora trombotica trombocitopenica acquisita
La porpora trombotica trombocitopenica (TTP) è una patologia autoimmune ultra-rara della coagulazione del sangue che colpisce ogni anno tra 1 e 6 persone per milione e in molti casi ha esito fatale. Sottotipo più comune della TTP, la forma acquisita (aTTP) non è ereditaria, ma si sviluppa dopo la nascita per cause ancora oggi sconosciute e interessa circa il 95% dei soggetti affetti da TTP.

La malattia è caratterizzata dall’estesa formazione di coaguli in piccoli vasi sanguigni in tutto il corpo, che porta a trombocitopenia grave (conta piastrinica molto bassa), anemia emolitica microangiopatica (perdita di globuli rossi dovuta a distruzione), ischemia (limitato apporto di sangue ai tessuti) e danni diffusi agli organi, specialmente al cervello e al cuore.

Il trattamento standard consiste nello scambio plasmatico quotidiano (plasmaferesi terpeutica), metodica nella quale il plasma del paziente viene rimosso e sostituito con il plasma di un donatore, in associazione con immunosoppressori.

Riuscire a correggere rapidamente la piastrinopenia e mantenere una remissione duratura sono obiettivi terapeutici chiave. Con il trattamento standard, tuttavia, molti pazienti restano a rischio di sviluppare eventi vascolari come ictus e infarto, nonché di vedere recidivare la malattia.

Caplacizumab
Caplacizumab è un nanoanticorpo bivalente diretto contro il fattore di Von Willebrand (vWF). Il farmaco blocca l’interazione dei multimeri del vWF ad alto peso molecolare con le piastrine e ha quindi un effetto immediato sull’adesione piastrinica e sulla conseguente formazione e accumulo dei microcoaguli che causano trombocitopenia grave, ischemia tissutale e disfunzione d’organo nella aTPP.

Sviluppato da Ablynx, società del Gruppo Sanofi, caplacizumab rappresenta la prima terapia specifica per il trattamento degli episodi di aTTP nell’adulto e dal gennaio scorso è disponibile in Italia in classe H, in combinazione con la plasmaferesi terapeutica e l’immunosoppressione.

L’approvazione dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) e prima ancora dell’Agenzia europea (Ema) si devono proprio ai risultati dello studio HERCULES (oltre che dello studio di fase 2 TITAN).

Lo studio HERCULES
Lo studio HERCULES (NCT02553317) è un trial multicentrico internazionale di fase 3, randomizzato, in doppio cieco e controllato con placebo, al quale ha dato un contributo importante anche l’Italia, con cinque centri partecipanti.

La sperimentazione ha coinvolto 145 pazienti con aTTP, assegnati secondo un rapporto 1:1 al trattamento con caplacizumab (10 mg in bolo endovena prima della prima plasmaferesi, seguiti da 10 mg al giorno sottocute nelle successive somministrazioni) o placebo, in associazione con la terapia standard, cioè la plasmaferesi terapeutica più una terapia immunosoppressiva, per lo più a base di corticosteroidi, ai quali si poteva eventualmente aggiungere rituximab, a discrezione del clinico. Il trattamento è proseguito per 30 giorni dopo l’ultima plasmaferesi.

Analisi post-hoc per caratterizzare la durata della risposta
Lo studio è stato pubblicato nel gennaio 2019 sul New England Journal of Medicine (Nejm). Al congresso dell’EHA gli autori hanno presentato un’analisi post-hoc il cui obiettivo era caratterizzare la durata della riposta piastrinica, cioè la normalizzazione della conta piastrinica.

Nell’analisi pubblicata sul Nejm, infatti, il trattamento con caplacizumab ha già dimostrato di tradursi in un tempo di normalizzazione della conta piastrinica significativamente più veloce rispetto al placebo. «I pazienti trattati col farmaco hanno raggiunto una conta superiore alle 150.000 piastrine in modo più rapido rispetto ai controlli, trattati con il placebo, riducendo nel contempo la mortalità, tant’è vero che nessun paziente nel gruppo capalcizumab è deceduto per una causa legata alla porpora trombotica trombocitopenica, a fronte di tre decessi nel gruppo placebo» ha osservato Fianchi.

Da notare che anche alcuni pazienti trattati con il placebo hanno ottenuto una risposta piastrinica rapida, ma molti di essi hanno successivamente progredito verso una rapida esacerbazione della malattia.

Nell’analisi presentata ora all’EHA, gli autori dello studio hanno stratificato i pazienti in base alla rapidità della risposta della conta piastrinica (≤ 3 giorni contro > 3 giorni) e hanno calcolato il tasso di esacerbazioni per ciascun gruppo di trattamento. Inoltre, hanno calcolato il tempo necessario per il raggiungimento di una risposta duratura della conta piastrinica (definito come il tempo trascorso fino all’ultima plasmaferesi giornaliera durante il periodo di trattamento complessivo), il tempo di raggiungimento della remissione completa (definita come una conta piastrinica > 150 × 109/l e un valore di lattato deidrogenasi inferiore a 1,5 volte il limite superiore di normalità per più di 30 giorni dopo l’interruzione della plasmaferesi giornaliera) e la sopravvivenza libera da recidiva (assenza di esacerbazione o recidiva durante il periodo di studio complessivo).

Risposta piastrinica più duratura, con meno esacerbazioni con caplacizumab
Globalmente, i pazienti che hanno raggiunto una normalizzazione iniziale della conta piastrinica entro 3 giorni sono stati più della metà, ma comunque più numerosi nel bracco trattato con caplacizumab (78%) rispetto al braccio trattato con un placebo (59%).

«Si è osservata un’altra percentuale di normalizzazione della conta piastrinica in entrambi i gruppi, ma in quello trattato con capalacizumab meno pazienti sono andati incontro a esacerbazioni, cioè quelle recidive di malattia che si hanno nei primi 30 giorni di trattamento» ha sottolineato Fianchi.

Nei pazienti che hanno mostrato una risposta rapida della conta piastrinica (≤ 3 giorni), il tasso di esacerbazione è risultato del 3,6% con caplacizumab e del 44,2% con il placebo, a suggerire che la risposta rapida della conta piastrinica si è mantenuta nel gruppo trattato con l’anticorpo, mentre quasi la metà dei pazienti del gruppo placebo che pure hanno avuto una risposta rapida, successivamente ha avuto esacerbazioni dell’aTPP.
La risposta piastrinica si è dimostrata comunque più duratura con caplacizumab anche nei pazienti in cui il tempo di risposta della conta piastrinica è stato superiore ai 3 giorni. In questo sottogruppo, infatti, il tasso di esacerbazione è risultato del 6,7% con l’anticorpo contro 30,0% con il placebo, confermando la risposta più duratura con il farmaco sperimentale.
Tempo di risposta e di remissione completa più rapidi con l’anticorpo
Dei pazienti che hanno avuto esacerbazioni, il 90% (2 su 3 nel gruppo caplacizumab e 26 su 28 nel gruppo placebo) sono passati al trattamento con caplacizumab in aperto, il che potrebbe aver reso più favorevoli gli outcome nei pazienti del gruppo placebo.

Nonostante questo bias, il tempo mediano di raggiungimento di una risposta piastrinica duratura è stato di 4,5 giorni (IC al 95%4,4–4,6) con caplacizumab e 10,5 giorni (IC al 95% 6,5-14,5) con il placebo; di conseguenza, anche il tempo mediano di completare raggiungimento della remissione completa è stato più breve con l’anticorpo, 40 giorni (IC al 95% 37,7-41,1), rispetto al placebo. 44,2 giorni (IC al 95% 42,0-48,2).

Caplacizumab migliora la sopravvivenza libera da recidiva
Anche l’analisi della sopravvivenza libera da recidiva complessiva durante l’intero periodo dello studio ha evidenziato un beneficio precoce e prolungato di caplacizumab rispetto al placebo, determinato principalmente da una significativa riduzione delle esacerbazioni durante il periodo di trattamento con il farmaco in studio.

L’effetto è stato mantenuto nel tempo, nonostante si siano osservate sei ricadute durante il periodo di follow-up nel gruppo caplacizumab nei pazienti con attività autoimmune sottostante non risolta.