Diabete: dulaglutide riduce decadimento cognitivo


Con dulaglutide possibile riduzione del decadimento cognitivo nelle persone con diabete di tipo 2 secondo un’analisi pubblicata su “Lancet Neurology”

Con dulaglutide possibile riduzione del decadimento cognitivo nelle persone con diabete di tipo 2 secondo un'analisi pubblicata su "Lancet Neurology"

Un agonista del recettore GLP-1 può ridurre il declino cognitivo nelle persone con diabete di tipo 2. È quanto suggerisce un’analisi esplorativa dello studio di esito cardiovascolare REWIND condotto con dulaglutide, pubblicata su “Lancet Neurology”.

Nel trial originario, un’iniezione settimanale di 1,5 mg di dulaglutide aveva contribuito a ridurre gli eventi cardiovascolari avversi del 12% su una mediana di 5,4 anni. Questo effetto è stato guidato principalmente da una diminuzione degli ictus, che hanno mostrato un calo del 24% del rischio rispetto al placebo (HR 0,76; IC al 95%: 0,61-0,95; P = 0,017).

Analisi esplorativa del trial REWIND condotto con l’agonista del recettore GLP-1
Ora, un’analisi secondaria condotta da un gruppo di ricercatori guidati da  Hertzel Gerstein, della McMaster University di Hamilton (Ontario, Canada) indica inoltre che dulaglutide potrebbe contribuire a ridurre l’insorgenza di un declino cognitivo accelerato di ben il 14%. Meno partecipanti trattati con dulaglutide rispetto al placebo hanno soddisfatto l’esito cognitivo primario di sostanziale decadimento cognitivo (4,05 vs 4,35 per 100 pazienti-anno; HR: 0,86; IC al 95%: 0,79-0,95; P = 0,0018).

Questo risultato è stato definito come la prima comparsa di un punteggio di follow-up in uno dei due diversi test cognitivi – il Montreal Cognitive Assessment (MoCA) o il Digit Symbol Substitution Test (DSST) – che fosse 1,5 deviazioni standard o più al di sotto del punteggio medio di base nel paese del partecipante.

Beneficio guidato non solo dal calo degli ictus
Se il rischio di ictus più basso possa spiegare questo risultato cognitivo è certamente un’ipotesi, secondo gli autori. Ma nella loro analisi, i ricercatori hanno dimostrato che dopo aver tenuto conto del beneficio di dulaglutide sull’ictus, il danno conoscitivo era ancora inferiore.

«Questa scoperta non supporta l’ipotesi che l’ictus sia stata la ragione per l’effetto sul danno cognitivo – ma non lo esclude – e suggerisce che altri meccanismi possano essere in gioco» sostengono Gerstein e colleghi. «Tuttavia, un beneficio sia per il danno cognitivo che per l’ictus suggerisce che forse la terapia ha alcuni effetti neuroprotettivi».

Il diabete di tipo 2 è un noto fattore di rischio noto per danno cognitivo e demenza. Il primo grande studio di esito cardiovascolare per volto a segnalare risultati cognitivi con un farmaco antidiabetico (linagliptin, anti-DPP4) non ha mostrato un beneficio rispetto al placebo. Nel sottostudio CARMELINA-COG  su persone con diabete di tipo 2 diabete e malattia cardiorenale, linagliptin non ha modulato il declino cognitivo nel corso di 2,5 anni.

Ipotizzato un effetto di classe da approfondire
Nell’analisi REWIND, Gerstein e collaboratori hanno esaminato 8.828 pazienti con diabete di tipo 2 che erano stati sottoposti a valutazioni cognitive nello studio. I partecipanti avevano 50 anni o più, valori di HbA1c pari o inferiori al 9,5%, erano in trattamento con non più di due ipoglicemizzanti orali con o senza insulina basale e avevano valori di indice di massa corporea pari o superiori a 23.

Inoltre, avevano avuto in precedenza infarto miocardico, ictus ischemico, rivascolarizzazione, angina instabile che ha richiesto il ricovero in ospedale o ischemia del miocardio documentata mediante tecniche di imaging. Gli individui sono stati randomizzati a ricevere settimanalmente dulaglutide (n = 4,456 persone) o placebo (n = 4.372) tra agosto 2011 e agosto 2013. Ogni gruppo aveva un’età media di 65,5 anni e il 53% erano uomini. Il follow-up cardiovascolare è stato effettuato almeno ogni 6 mesi.

I test MoCA e DSST sono stati somministrati al basale e poi a intervalli regolari durante più di 5 anni di follow-up. Le analisi erano intention-to-treat. Anche se il risultato cognitivo proviene da un’analisi secondaria esplorativa, questa scoperta è comunque importante, si fa notare. Se alcune classi di farmaci anti-diabete sono superiori rispetto ad altre nella prevenzione della demenza, questo rilievo avrebbe implicazioni cliniche.

L’effetto si è mantenuto dopo aver tenuto conto delle variazioni di base in termini di età, grado di istruzione e origine etnica. L’aggiustamento per l’incidenza di ictus non ha modificato l’esito (HR aggiustato: 0,86, IC al 95%: CI 0,78–0,94; 0,0008).

Le analisi supportano l’ipotesi che dulaglutide, e alla fine gli agonisti del recettore GLP-1 in generale, possano essere efficaci contro il declino cognitivo, affermano gli autori. «L’effetto di questa classe di farmaci sulla demenza e sulle malattie correlate nelle persone con diabete e in quelle prive di diabete deve essere studiato con urgenza».

Lo studio aveva diverse limitazioni, fanno peraltro notare gli stessi ricercatori. Solo due test cognitivi sono stati utilizzati in un’ampia varietà di setting e culture. Anche se i punteggi standardizzati per paese e la soglia di deviazione standard di 1,5 sono stati prespecificati prima del termine della fase in cieco, l’adeguamento per i punteggi di base di ogni individuo è stato incluso in un secondo momento.

Inoltre, i testi MoCA e DSST potrebbero anche non valutare tutti i domini cognitivi affetti dal diabete. Infine, lo studio è stato limitato a persone con diabete affette da grave malattia cardiovascolare e includeva una serie di altri criteri di inclusione ed esclusione.