Mieloma multiplo pretrattato: un nuovo studio


Mieloma multiplo pretrattato: l’aggiunta di isatuximab alla doppietta standard riduce quasi del 50% il rischio di progressione o decesso secondo un nuovo studio

Mieloma multiplo pretrattato: l'aggiunta di isatuximab alla doppietta standard riduce quasi del 50% il rischio di progressione o decesso secondo un nuovo studio

L’aggiunta del nuovo anticorpo monoclonale anti-CD38 isatuximab alla doppietta standard carfilzomib più desametasone (Kd) prolunga in modo significativo la sopravvivenza libera da progressione (PFS) rispetto alla sola doppietta nei pazienti con mieloma multiplo ricaduto o refrattario. A dimostrarlo sono i risultati della prima analisi ad interim dello studio di fase 3 IKEMA, presentati fra i late breaking abstracts durante il congresso annuale (quest’anno in modalità virtuale) dell’Associazione europea di ematologia (EHA).

Dopo un follow-up mediano di 20,7 mesi, la PFS mediana nel gruppo di pazienti trattato con la tripletta contenente isatuximab non è ancora stata raggiunta, mentre è risultata di 19,5 mesi nel gruppo trattato con la sola doppietta Kd, e l’aggiunta del nuovo anti-CD38 alla doppietta standard ha ridotto del 47% il rischio di progressione della malattia o decesso, rispetto alla sola doppietta (HR 0,531; IC al 99% 0,318-0,889; P = 0,0007).

La combinazione con isatuximab si è associata anche a un miglioramento clinicamente significativo della profondità della risposta rispetto al trattamento di confronto. Infatti, nella popolazione intent-to-treat (ITT) i pazienti che hanno raggiunto la non rilevabilità della malattia minima residua (pazienti MRD-negativi) sono risultati il 30% nel braccio trattato con il nuovo anti-CD38, contro 13% nel braccio di confronto (P = 0,0004).

Inoltre, la tripletta sperimentale ha mostrato un profilo di sicurezza gestibile.

Possibile nuovo standard di cura

Sulla base di questi risultati, «isatuximab più la doppietta Kd può rappresentare un nuovo standard di cura per i pazienti con mieloma multiplo recidivante» ha detto il primo autore dello studio, Philippe Moreau, del Centre hospitalier universitaire Hôtel-Dieu di Nantes, in Francia.

«Lo studio è nato dall’esigenza di trovare nuovi trattamenti per i pazienti con mieloma multiplo in recidiva o refrattari, perché, sebbene il trattamento di questo tumore negli ultimi anni sia migliorato enormemente, questi pazienti possono avere recidive di malattia e servono sempre trattamenti efficaci, alternativi a quelli già esistenti» ha dichiarato a Pharmastar Alessandra Larocca, dell’Università degli Studi di Torino-AOU Citta della Salute e della Scienza.

«Il vantaggio di PFS mostrato dal braccio trattato con isatuximab rispetto a quello di controllo è molto importante e significativo; inoltre, sia la profondità sia la qualità della risposta sono risultate superiori nei pazienti che hanno ricevuto la tripletta rispetto ai controlli, e questo è importante, perché quanto più profonda è la risposta, tanto più lunga sarà, probabilmente, la sopravvivenza dei pazienti» ha aggiunto l’esperta.

«Dato che aggiungendo isatuximab si migliorano in modo significativo i risultati sia di sopravvivenza sia di risposta rispetto a quello che già si otteneva con la doppietta standard, la nuova tripletta non potrà che diventare una nuova strategia terapeutica» ha sottolineato la specialista.

I punti chiave dello studio IKEMA
FocusIsatuximab aggiunto alla doppietta Kd in pazienti con mieloma multiplo recidivato/refrattario
Popolazione 302 pazienti con mieloma multiplo recidivato/refrattario, già trattati con da una a tre linee di terapia
Risultato chiaveRiduzione del 47% del rischio di progressione della malattia o decesso aggiungendo Isatuximab a Kd
SignificatoLa tripletta isatuximab più Kd può rappresentare un nuovo standard di cura per i pazienti con mieloma multiplo recidivato/refrattario


Isatuximab e lo studio IKEMA
Isatuximab è un anticorpo monoclonale IgG1 diretto contro un epitopo specifico del recettore CD38, altamente e uniformemente espresso sulla superficie delle cellule di mieloma multiplo.

Il farmaco è attualmente approvato nell’Unione Europea, negli Stati Uniti, in Svizzera, Canada e Australia in combinazione con una doppietta diversa rispetto a quella utilizzata nello studio IKEMA, pomalidomide e desametasone a basso dosaggio, per pazienti adulti con mieloma multiplo già trattati con almeno due terapie, comprendenti lenalidomide e un inibitore del proteasoma.

I risultati dello studio IKEMA costituiranno la base del dossier registrativo per la richiesta di approvazione di isatuximab in combinazione con la doppietta Kd per i pazienti con mieloma multiplo ricaduto; la domanda, ha reso noto Sanofi (l’azienda che sta sviluppando l’anticorpo), sarà presentata alle agenzie regolatorie nel corso di quest’anno.

Lo studio IKEMA
Lo studio IKEMA (NCT03275285) è un trial multicentrico internazionale, randomizzato, in aperto, che ha arruolato 302 pazienti con mieloma multiplo recidivato/refrattario in 69 centri di 16 Paesi. Tutti i partecipanti erano stati trattati in precedenza con da una a tre terapie anti-mieloma, ma non dovevano essere stati già trattati con carfilzomib e non dovevano essere risultati refrattari all’anti CD-38.

I partecipanti sono stati assegnati secondo un rapporto 3:2 al trattamento con isatuximab, somministrato per infusione endovenosa al dosaggio di 10 mg/kg una volta alla settimana per 4 settimane, poi a settimane alterne per cicli di 28 giorni, in associazione con carfilzomib due volte a settimana al dosaggio di 20 mg/m2 per i primi 2 giorni e poi al dosaggio di 56 mg/m2 per 3-4 settimane, più desametasone al dosaggio standard per tutta la durata del trattamento, che è stato somministrato fino alla progressione della malattia.

La PFS era l’endpoint primario dello studio, mentre gli endpoint secondari comprendevano il tasso di risposta obiettiva (ORR), il tasso di risposta completa o migliore, il tasso di risposta parziale molto buona o migliore, il tasso di MRD-negatività, la sopravvivenza globale (OS) e la sicurezza. L’analisi ad interim dei risultati era prevista dal protocollo quando si fosse osservato il 65% degli eventi correlati alla PFS (progressione della malattia o decesso).

I fattori di stratificazione comprendevano il numero di linee di terapia effettuate precedentemente (una rispetto a più di una) e lo stadio della malattia secondo Revised Multiple Myeloma International Staging System (stadio R-ISS; I o II vs III vs non classificato).

Caratteristiche di base bilanciate nei due bracci
Le caratteristiche di base dei pazienti erano simili nei due bracci. L’età mediana dell’intero campione era di 64 anni (range: 33-90) e l’8,8% dei pazienti aveva 75 anni o più. Inoltre, circa un quarto dei pazienti in ciascun braccio aveva una citogenetica ad alto rischio al basale, definita come la presenza della delezione 17p o delle traslocazioni (4,14) e (14,16).

Le percentuali di pazienti con malattia in stadio R-ISS I, II e III erano rispettivamente del 53,2%, 30,2% e 15,4%. Inoltre, il 44,4% dei pazienti aveva già effettuato una linea di terapia precedente, il 32,5% ne aveva effettuate due e il 21,4% tre o più. Quasi il 90% dei pazienti (l’89,1%) era già stato trattato con un inibitore del proteasoma, mentre il 78,7% era già stato trattato con un immunomodulatore e il 33% era risultato refrattario alla lenalidomide.

Beneficio di isatuximab PFS osservato anche nei sottogruppi
Al momento del cut-off dei dati (7 febbraio 2020), i pazienti che erano ancora in trattamento (ed erano quindi vivi e senza segni di progressione del mieloma) erano più numerosi nel braccio trattato con isatuximab rispetto al braccio trattato con la sola doppietta: 52% contro 30,9%.

Il beneficio di PFS associato alla tripletta con isatuximab è risultato coerente nei vari sottogruppi di pazienti, «compresi i pazienti che sono difficili da trattare, come quelli con citogenetica ad alto rischio o i pazienti anziani» ha detto Moreau durante la presentazione dei dati.

Sono state fatte analisi su diversi sottogruppi, considerando vari parametri, tra cui l’età (maggiore o minore di 65 anni), la funzione renale, il numero e il tipo di precedenti linee terapeutiche utilizzate per questi pazienti, come gli inibitori del proteasoma, gli agenti immunodulanti, la refrattarietà a lenalidomide, «che sta diventando sempre più frequente» ha spiegato la Rocca, il rischio citogenetico e lo stadio della malattia. «In tutti questi sottogruppi si è osservato un vantaggio della tripletta sperimentale contenente isatuximab» ha ribadito la specialista.

L’ORR non ha mostrato una differenza significativa fra i due bracci ed è risultato dell’86,6% nel braccio assegnato alla tripletta con isatuximab contro 82,9% in quello assegnato alla doppietta standard (P = 0,19); tuttavia, il tasso di risposta completa è risultato rispettivamente del 39,7% contro 27,6% e quello di risposta parziale molto buona rispettivamente del 72,6% e 56,1% (P = 0,0011).

Quando gli sperimentatori hanno valutato la profondità della risposta nei pazienti che hanno raggiunto una risposta parziale molto buona o superiore, il tasso di MRD-negatività è risultato del 41,4% con isatuximab più Kd e del 22,9% con la sola doppietta.

Dati di OS non ancora maturi
I dati relativi all’OS, ha riferito Moreau, non sono ancora maturi. Al momento dell’analisi i tassi di mortalità erano del 17,3% nel braccio isatuximab e 20,3% nel braccio di confronto. Inoltre, la durata mediana del trattamento è risultata più lunga nel braccio sperimentale: rispettivamente 80 settimane contro 61,4.

L’aggiunta di isatuximab, ha spiegato l’autore, ha permesso anche di ritardare in modo significativo il momento in cui i pazienti hanno richiesto un trattamento successivo a quello in studio, sebbene le mediane non siano ancora state raggiunte in nessuno dei due bracci (HR, 0,566; IC al 95%, 0,380-0,841).

I ricercatori stanno anche valutando in entrambi i bracci i risultati dei pazienti che sono stati poi trattati con una terapia successiva a quella sperimentale, che è consistita in agenti alchilanti (55,3% per i pazienti del braccio isatuximab contro 39,6% per i pazienti del braccio di confronto), inibitori del proteasoma (rispettivamente 34% contro 20,8%), immunomodulatori (83,0% contro 79,2%), anticorpi monoclonali (23,4% contro 54,7 %) e ulteriore trapianto (12,8% contro 9,4%).

Isatuximab ben tollerato
La sicurezza e la tollerabilità di isatuximab osservate in questo studio sono risultate in linea con il profilo di sicurezza evidenziato dall’anticorpo in altri trial clinici, senza che sia emerso alcun segnale nuovo su questo fronte.

Inoltre, ha sottolineato Larocca «l’aggiunta dell’anticorpo monoclonale alla doppietta standard non ha aumentato in modo significativo la tossicità, inficiando la fattibilità di questo trattamento».

I pazienti che hanno interrotto il trattamento a causa della progressione della malattia sono stati il 29,1% nel braccio trattato con l’anti-CD38, contro il 39,8% nel braccio di controllo, mentre quelli che lo hanno interrotto a causa di eventi avversi sono stati rispettivamente l’8,4% e il 13,8%.

Gli eventi avversi di grado 3 o superiore manifestati durante il trattamento hanno avuto un’incidenza del 76,8% nel braccio sperimentale e 67,2% nel braccio di confronto. Inoltre, il tasso di eventi avversi gravi correlati al trattamento è risultato simile nei due bracci (rispettivamente 59,3% contro 57,4%), così come quello degli eventi avversi fatali (rispettivamente 3,4% contro 3,3%).

Le reazioni correlate all’infusione si sono verificate soprattutto durante la prima infusione e sono state per lo più di grado 1/2, con un’incidenza complessiva del 45,8% contro 3,3%.

Infine, si è registrata ipertensione di grado 3 o superiore nel 20,3% dei pazienti trattati con isatuximab e nel 19,7% dei controlli, mentre l’insufficienza cardiaca di grado 3 o superiore ha avuto un’incidenza simile nei due bracci – rispettivamente 4% e 4,1% – e la trombocitopenia e la neutropenia di grado 3/4 si sono sviluppate rispettivamente nel 29,9% e 19,2% dei pazienti trattati con l’anti-CD38 e nel 23,8% e 7,4 % di quelli trattati con la sola doppietta standard.