Osteoporosi: nuovi dati su efficacia romosozumab


Osteoporosi: romosozumab si dimostra essere efficace e sicuro indipendentemente dal grado di compromissione della funzione renale

Osteoporosi: romosozumab si dimostra essere efficace e sicuro indipendentemente dal grado di compromissione della funzione renale

Romosozumab si dimostra essere efficace e sicuro indipendentemente dal grado di compromissione della funzione renale, stando ai risultati di un’analisi post-hoc di due studi registrativi sull’impiego del farmaco in pazienti affette da osteoporosi post-menopausale, presentato in occasione del congresso EULAR 2020. Per queste caratteristiche, il farmaco sembra ampliare le possibilità di trattamento anche nelle pazienti per le quali i bisfosfonati sono controindicati.

Osteoporosi e insufficienza renale: una relazione pericolosa 
Nelle donne in post-menopausa è molto frequente la coesistenza di osteoporosi (OP) e di insufficienza renale. Le ripercussioni terapeutiche di questa associazione sulla prognosi di malattia ossea sono importanti da valutare in quanto i bisfosfonati sono generalmente controindicati nei pazienti con valore stimato di GFR (eGFR)<35 ml/min, indicativi di compromissione seria della funzione renale.

Di qui l’importanza di valutare l’efficacia di alternative terapeutiche a questa classe di farmaci in questo particolare set di pazienti.

Obiettivo e disegno dello studio
Lo studio, presentato al Congresso è un’analisi post-hoc degli studi registrativi ARCH (the Active-Controlled Fracture Study in Postmenopausal Women with Osteoporosis at High Risk) e FRAME (FRActure study in postmenopausal woMen with ostEoporosis) sull’impiego di romosozumab nell’OP post-menopausale, che ha valutato l’efficacia e la sicurezza del trattamento vs. placebo  e un bisfosfonato (BSF) di confronto in pazienti con livelli differenti di compromissione della funzione renale.

Nello studio ARCH, 4.093 pazienti erano stati randomizzati, secondo uno schema 1:1, al trattamento mensile con romosozumab 210 mg o settimanale con alendronato 70 mg per 12 mesi (età media: 74,3 anni; 96,1% con fratture vertebrali prevalenti (Vfx).

Nello studio FRAME, invece, 7.180 pazienti erano stati randomizzati, secondo uno schema 1:1, al trattamento mensile con romosozumab 210 mg o con placebo per un anno (età media: 70,9 anni; 18,3% con Vfx prevalenti).

Per procedere all’analisi, i ricercatori hanno stratificato i pazienti dei due trial sulla base dei livelli basali di eGFR (ml/min/1,73 m2) in 3 gruppi:
– pazienti con funzione renale normale (eGFR≥90)
– pazienti con insufficienza renale di grado lieve (eGFR: 60-80)
– pazienti con insufficienza renale di grado moderato (eGR: 30-59)

I ricercatori hanno valutato a 12 mesi dall’inizio del trattamento in doppio cieco e per ciascuna categoria di eGFR :
– la media quadratica minima (LSM) della variazione percentuale, rispetto al basale, dei valori di densità minerale ossea (DMO) a livello della colonna lombare, dell’anca in toto e del collo femorale
– l’incidenza di nuove Vfx e gli eventi avversi (AE)
– le variazioni della funzione renale

Romosozumab più efficace del gruppo di controllo in termini di incremento di densità minerale ossea, indipendentemente dal livello di compromissione renale
All’inizio dei due trial, la maggior parte delle pazienti era affetta da insufficienza renale di grado lieve/moderato (84% nello studio ARCH, 88% nello studio FRAME).

In entrambi gli studi, le variazioni rispetto al basale dei valori di DMO erano significativamente più elevate nel gruppo romosozumab, indipendentemente dalle categorie iniziali di eGFR (figura 1).

E’ stata documentata l’esistenza di un’interazione tra l’innalzamento dei livelli di DMO e la funzione renale e, per quanto l’incremento di massa ossea non sia risultato così ampio nelle donne con funzione renale compromessa, sono rimaste significative le differenze esistenti tra romosozumab e i gruppi di controllo (fig.1).

Incidenza di fratture vertebrali nel gruppo romosozumab pressochè inviariata in relazione al grado di compromissione renale
Nello studio ARCH, tra le pazienti con eGFR differenti, l’incidenza di nuove Vfx (romosozumab vs. alendronato) a 12 mesi è stata pari a:
– 3,3% vs. 7,3% per valori di eGFR≥90
– 3,2% vs. 3,9% per valori di eGFR compresi tra 60 e 89
– 3,4% vs. 6,2% per valori di eGFR compresi tra 30 e 59

Nello studio FRAME, l’incidenza di nuove Vfx (romosozumab vs. placebo) a 12 mesi è stata pari a:
– 0,5% vs. 3% per valori di eGFR≥90
– 0,4% vs. 1,5% per valori di eGFR compresi tra 60 e 89
– 0,6% vs. 2,1% per valori di eGFR compresi tra 30 e 59

Safety indipendente dal trattamento adoperato e dal grado di compromissione renale
In entrambi gli studi, l’incidenza di AE e di SAE (eventi avversi seri) è risultata sovrapponibili tra i gruppi di trattamento, indipendentemente dal grado di compromissione renale.

Si sono avuti casi di entità lieve-moderata di ipocalcemia in due pazienti dello studio ARCH(uno nel gruppo romosozumab [eGFR 60–89] e uno nel gruppo alendronato [eGFR ≥90]), e un caso in un paziente dello studio FRAME (romosozumab [eGFR 60–89]).

Cinque pazienti dello studio ARCH (tutti nel gruppo alendronato) e 19 dello studio FRAME (14 appartenenti al gruppo romosozumab e 5 a l gruppo placebo) hanno mostrato una riduzione della calcemia (aggiustata per albumina).

Nel gruppo romosozumab, i casi sono stati di entità lieve (<LLN–8.0 mg/dl) o moderata (<8–7 mg/dl).

Da ultimo, percentuali simili pazienti di ciascuno dei gruppi considerati nei due trial ha mostrato variazioni della funzione renale dopo 12 mesi di trattamento.

Riassumendo
I risultati di quest’analisi post-hoc hanno documentato l’efficacia e la sicurezza di romosozumab indipendentemente dal grado di compromissione della funzione renale. Per queste caratteristiche, il farmaco sembra ampliare le possibilità di trattamento anche nelle pazienti per le quali i bisfosfonati sono controindicati.