Dolore da mucosite orale: gabapentin funziona


Dolore da mucosite orale causata dal trattamento chemio/radioterapico: gabapentin ad alte dosi alternativa efficace agli oppioidi

Dolore da mucosite orale: gabapentin funziona

Nei pazienti con carcinoma della testa e del collo, gabapentin ad alte dosi ha dimostrato di poter ridurre il ricorso agli analgesici oppiacei per controllare il dolore associato alla mucosite orale causata dal trattamento chemio/radioterapico. Sono i risultati di uno studio prospettico pubblicato sulla rivista Cancer.

Gabapentin è un farmaco indicato nel dolore neuropatico periferico e nell’epilessia parziale resistente alle terapie standard. Agisce legando i canali del calcio voltaggio dipendente e riducendo l’attività di numerosi neurotrasmettitori come glutammato, noradrenalina e sostanza P, oltre ad amplificare l’attività del neurotrasmettitore GABA aumentandone la concentrazione intersinaptica.

«Nel corso della chemio e radioterapia, praticamente tutti i pazienti avranno bisogno di ridurre il dolore da mucosite orale in qualche modo, anche facendo ricorso a farmaci analgesici» ha dichiarato l’autore senior dello studio Anurag Singh, professore di oncologia e direttore della ricerca radiologica presso il Roswell Park Comprehensive Cancer Center. «Abbiamo cercato di individuare dei modi migliori per controllare il dolore in questa popolazione di pazienti, perché i classici narcotici non funzionano così bene. Questi soggetti tendono a farne un utilizzo intenso, ma nonostante questo provano ancora dolore e sono più assonnati».

Effetto dose-dipendente di gabapentin
I ricercatori hanno assegnato in modo casuale 60 pazienti con carcinoma a cellule squamose della testa e del collo a uno di due regimi di trattamento: gabapentin ad alte dosi (2.700 mg al giorno) in aggiunta allo standard di cura che perevede idrocodone e/o paracetamolo fino al fentanil quando necessario, oppure gabapentin a basso dosaggio (900 mg al giorno) più metadone a seconda delle necessità.

Sicurezza e tossicità costituivano gli endpoint primari dello studio, mentre dolore, bisogno di assumere oppiacei e qualità della vita erano gli endpoint secondari.

I risultati non hanno mostrato differenze nella riduzione del dolore tra i due gruppi di trattamento, ma un numero maggiore di pazienti nel gruppo gabapentin ad alte dosi non ha avuto bisogno di fare ricorso all’uso di oppioidi (42% vs. 7%, p=0,002). I pazienti nel braccio con gabapentin e metadone hanno avuto un miglioramento significativamente superiore della qualità della vita in termini di salute generale (p=0,05), physical functioning (p=0,04), role functioning (p=0,01) e social functioning (p=0,01).

«Di base abbiamo osservato un effetto dose-dipendente di gabapentin. Il fatto che i pazienti siano passati dal 7% nel braccio a dose più bassa (o dallo 0% senza gabapentin) al 42% nel braccio a dose più elevata, rappresenta una differenza decisamente evidente» ha detto Singh.

Nuove combinazioni in studio
«Abbiamo cominciato a utilizzare gabapentin come approccio di prima linea per trattare il dolore nei pazienti con carcinoma della testa e del collo. Adesso lo usiamo anche a dosi più elevate. Saliamo a 3.600 mg ed eventualmente aggiungiamo il metadone quando necessario, con risultati eccellenti. Attualmente stiamo cercando di capire se è possibile aggiungere un altro farmaco a gabapentin in modo da ridurre ulteriormente l’uso dei narcotici» ha aggiunto.

Il team di ricerca ha iniziato a valutare l’uso dell’antidepressivo venlafaxina, che in uno studio condotto in Europa ha mostrato di poter migliorare l’efficacia di gabapentin. «La venlafaxina è un inibitore selettivo della ricaptazione della serotonina e della noradrenalina (SNRI) simile ad altri farmaci, come la duloxetina, che sono stati usati per trattare il dolore neuropatico nel diabete. È un farmaco molto comune che viene utilizzato nelle cure primarie» ha riferito il primo autore dello studio Gregory Hermann. «Una volta completato lo studio saremo in grado di dire se la dose da 3.600 mg è più efficace dei 2.700 mg e se la venlafaxina dà un contributo».

Una nuova risorsa per i medici
«Anche se è risaputo che gli antidolorifici oppioidi possono causare dipendenza, se sono usati correttamente è meno probabile che i pazienti con carcinoma della testa e del collo ne abusino» ha commentato Heath Skinner dell’UPMC Hillman Cancer Center. «I pazienti possono migliorare in misura significativa entro poche settimane dopo aver completato il trattamento. In quella situazione, l’obiettivo è gestire il dolore per consentire ai pazienti di mangiare e bere il più possibile. Una volta che l’evento acuto che causa il dolore è almeno in parte risolto, iniziamo a ridurre l’uso degli oppiacei, quindi credo che nella gestione del dolore acuto questi farmaci abbiano un potenziale di dipendenza molto limitato».

Tuttavia, se prescritti erroneamente per un uso a lungo termine, potrebbero creare dipendenza, oltre a essere associati a una significativa tossicità in una popolazione di pazienti già malata. «Un effetto comune degli oppioidi è la costipazione, che può essere particolarmente gravosa nei pazienti con cancro alla testa e al collo che non mangiano molto e tendono a bere pochi liquidi, e questo potrebbe essere un problema», ha continuato.

«Gabapentin è un’alternativa promettente agli oppioidi e di facile accesso per i medici» ha concluso. «Può essere usato per controllare il dolore ed è di facile prescrizione. È positivo avere un’altra freccia al nostro arco».