Malattia di Danon: speranze da terapia genica


Malattia di Danon: in corso un trial per valutare una terapia genica per la malattia rara cardiaca. Si studia anche il funzionamento terapia cellulare sul cuore infartuato

Malattia di Danon: in corso un trial per valutare una terapia genica per la malattia rara cardiaca. Si studia anche il funzionamento terapia cellulare sul cuore infartuato

Le terapie avanzate appaiono all’orizzonte anche delle patologie cardiache. Una delle prime che potrebbe beneficiarne è la malattia di Danon, una condizione molto rara e fatale causata dalla mutazione del gene LAMP2, per cui un gruppo di ricercatori dell’University of California, San Diego School of Medicine, negli USA, ha testato una terapia genica in modelli murini. I risultati promettenti hanno aperto le porte a uno studio clinico. Nel frattempo, proseguono anche le ricerche sulle cellule staminali, campo in cui un gruppo di ricercatori della Mayo Clinic a Rochester, sempre negli USA, ha compreso i meccanismi con cui le cellule staminali possono riparare il cuore dopo un infarto. Fornendo un modello – testato su modelli animali – del loro funzionamento.

All’origine del problema
La malattia di Danon è una patologia da accumulo lisosomiale, anche detta glicogenosi da deficit di LAMP2 (lysosomal-associated membrane protein 2, una proteina di membrana associata ai lisosomi). È una rara miopatia in cui il processo biologico di rimozione e riciclaggio delle proteine non funziona correttamente. Questo causa un indebolimento dei muscoli scheletrici e cardiaci, disfunzione multiorgano e disabilità intellettiva. Poiché il gene LAMP2 si trova sul cromosoma X, la patologia è più comune nei maschi ed è ereditata generalmente dalla madre. I sintomi iniziano a comparire nella prima infanzia o nell’adolescenza. Al momento non esistono trattamenti e la maggior parte dei pazienti muore per insufficienza cardiaca o necessita di un trapianto di cuore entro i primi 20-30 anni di vita. Il trapianto di cuore però non è sempre disponibile e non risolve il problema degli altri organi colpiti dalla malattia, come ha confermato Eric Adler, cardiologo, direttore dell’unità di trapianti cardiaco della UC San Diego Health e coordinatore dello studio. “Sapevamo di dover trovare terapie progettate ad hoc per affrontare la causa sottostante la malattia” ha precisato Adler.

La terapia genica
Il gruppo di ricerca, della divisione di cardiologia della UC San Diego, ha messo a punto e testato l’efficacia di una terapia genica mediata dal virus adeno-associato 9 (AAV9), in grado di trasportare il gene LAMP2B umano. La terapia sperimentale, denominata AAV9.LAMP2B, somministrata in topi LAMP2 knockout (ovvero carenti del gene LAMP2 e modello animale per la malattia di Danon), ha ripristinato l’espressione dose-dipendente della proteina corrispondente nel cuore, nel fegato e nel tessuto muscolare scheletrico, migliorando le anomalie metaboliche e la funzione cardiaca e aumentando la sopravvivenza rispetto ai topi che non hanno ricevuto il trattamento. Inoltre, negli stessi modelli animali, non sono stati rilevati anticorpi anti-LAMP2.
Questi risultati, pubblicati lo scorso 18 marzo 2020 su Science Translational Medicine, suggeriscono che la somministrazione della terapia genica LAMP2B migliora la funzione metabolica e fisiologica – per ora solo in un modello murino – suggerendo che un simile approccio terapeutico potrebbe essere un’opzione terapeutica per i pazienti con malattia di Danon. “I topi che hanno ricevuto la terapia genica hanno mostrato risultati positivi nella funzione cardiaca, epatica e muscolare”, ha aggiunto Adler. “La funzione del cuore nel pompare il sangue e rilassarsi è migliorata, così come la capacità del corpo di degradare le proteine e il metabolismo”.

La sperimentazione clinica
Altra particolarità della ricerca è stato il modello cardiaco su cui il team di Adler ha lavorato in precedenza: è stato creato a partire da cellule staminali ottenute dalla pelle di un paziente. Un modello che ha permesso loro di studiare la malattia di Danon a livello cellulare, fornendo nuove informazioni e portando infine all’idea di utilizzare la terapia genica. “Il nostro lavoro conferma anche che i modelli di studio creati in laboratorio a partire dalle cellule staminali hanno un grande potenziale per lo sviluppo di nuove terapie”, ha precisato Adler che ha ricordato anche come il prossimo passò sarà testare la terapia genica sui pazienti. Una sperimentazione clinica di fase I è infatti già stata avviata per testare la sicurezza e l’efficacia della strategia terapeutica su un totale di 24 pazienti. “Questo è il primo studio che utilizza la terapia genica per trattare un disturbo cardiaco genetico e tre pazienti sono attualmente in trattamento” ha concluso il cardiologo.

Comprendere le terapie cellulari
Sempre a livello di terapie avanzate utili per le patologie cardiache, un tassello importante sulla comprensione di come le cellule staminali riparino il cuore, arriva da un gruppo di ricercatori della Mayo Clinic. Il team guidato da Kent Arrell, ricercatore in ambito cardiovascolare presso il centro statunitense e primo autore dello studio, ha provato a decifrare – sempre su un modello murino – i meccanismi di guarigione attivati dalle cellule staminali somministrate dopo un infarto. Sebbene infatti la terapia a base di cellule staminali cardiopoietiche per il trattamento dell’insufficienza cardiaca sia in fase di valutazione clinica (qui e qui), non è ancora chiaro con quale meccanismo queste cellule riparino il cuore. Come conferma Andre Terzic, direttore del Mayo Clinic’s Center for Regenerative Medicine e coordinatore dello studio pubblicato lo scorso 12 marzo su NPJ Regenerative Medicine del gruppo Nature: “il modo in cui le cellule staminali intervengono nella riparazione di un organo malato non è stato finora ben compreso, limitandone l’applicazione clinica”.

La ricerca
Lo studio ha rivelato che le cellule cardiopoietiche umane (derivate da cellule staminali mesenchimali del midollo osseo) agiscono sulle proteine del cuore danneggiate, invertendone i cambiamenti causati dall’infarto. Per creare questo ipotetico modello di funzionamento, i ricercatori hanno confrontato i cuori di due gruppi di topi con modello cronico di infarto, di cui solo un gruppo aveva ricevuto il trattamento con cellule staminali cardiopoietiche umane. Hanno poi utilizzato un approccio di proteomica per mappare tutte le proteine nel muscolo cardiaco, identificandone circa 4 mila. Di queste, in base ai risultati dello studio, circa il 10% (450 proteine) erano state alterate dall’infarto. La terapia cellullare è riuscita a invertire la maggior parte dei cambiamenti provocati dall’infarto, ripristinando circa l’85% dei cluster proteici colpiti dalla malattia e riportando il muscolo cardiaco infartuato alle sue condizioni pre-malattia.

Un modello per applicazioni più ampie
“La risposta del cuore danneggiato in seguito al trattamento con le cellule staminali cardiopoietiche ha rivelato lo sviluppo e la crescita di nuovi vasi sanguigni e di nuovo tessuto cardiaco”, ha aggiunto Arrell che benché consapevole del risultato benefico che la terapia avrebbe prodotto sul cuore, si è detto sorpreso di quanto sia riuscita a spostare lo stato del cuore a un livello pre-infarto. Il modello fornito dai ricercatori su come le cellule staminali possono funzionare nel riparare il cuore, potrebbe fornire un quadro per applicazioni più ampie della terapia con cellule staminali, anche in altre condizioni.

Un’altra strategia, attualmente al vaglio dei ricercatori per stimolare la rigenerazione cardiaca in seguito a infarto, sfrutta una terapia genica basata su un microRNA sintetico per permettere la replicazione delle cellule muscolari del cuore e, di conseguenza, la riduzione del danno.

Ovviamente, i ricercatori sono solo all’inizio di un lungo percorso di ricerca e sperimentazione, occorreranno ancora diversi studi per valutare le potenzialità di queste strategie terapeutiche.